Rivista "IBC" X, 2002, 4

Dossier: Ben(i) comunicati?

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi, dossier /

Mai in prima serata

Vittorio Emiliani
[giornalista, già consigliere della RAI]

Una trentina di anni fa eravamo a Pomposa per un convegno dedicato al Parco del Delta del Po sostenuto con forza particolare da Giorgio Bassani, all'epoca presidente prestigioso di "Italia Nostra". In mattinata venne annunciata una "marcia" su Pomposa (e sul convegno che vi si teneva) da parte di gruppi di cittadini di Goro, i quali reclamavano a gran voce una bella strada litoranea che consentisse di ripetere a nord i "fasti" dei Lidi Ferraresi tranciando via tutto quanto si affacciava sull'Adriatico (Boscone della Mesola compreso, immagino). Fu l'allora presidente della Regione Emilia-Romagna, Guido Fanti, a bloccare quella minacciosa "marcia" contro il Parco - poi realizzato, soltanto in parte, decenni più tardi - e a sventare un pericolo decisamente serio.

Fu allora che ci contammo, noi giornalisti che ci occupavamo prevalentemente di questioni ambientali e culturali, e ci dicemmo che la "compagnia di canto" era abbastanza esigua, sempre la stessa. La guidava, ovviamente, il maestro di tutti noi, Antonio Cederna (già al "Mondo", allora al "Corriere"), sempre acuminato e appassionato. Accanto a lui c'era naturalmente Mario Fazio, per la "Stampa". E poi venivano, oltre al sottoscritto (a quel tempo al "Giorno"), Alfonso Testa per "Paese Sera" e Vito Raponi per l'"Avanti!". Qualche altro si aggiungeva, magari per riviste elitarie o per radio e TV (ricordo in particolare Piero Santi dei GR1), ma la compagnia di giro era praticamente tutta lì. Ci saremmo ricontati in pochi a Bologna per il grande convegno europeo sui centri storici che doveva sancire il lancio definitivo del progetto Cervellati per il recupero e il restauro del centro storico petroniano.

Poi ci sono stati altri "ingressi", quello di Fabio Isman, per esempio, che avevo con me, quale inviato, al "Messaggero", o di Paolo Conti sul "Corriere della Sera" e di Sergio Frau su "Repubblica" (dove si alterna con Francesco Erbani), ma temo che, nel complesso, la capacità di attenzione dei direttori dei quotidiani e dei settimanali (sto parlando di carta stampata, per ora) si sia, nel tempo, ridotta anziché accresciuta. Credo che sia doveroso, pur se doloroso, ricordare lo stento che incontrava, negli ultimi anni, Antonio Cederna a far "passare" i suoi temi, le sue proposte. Ci sono in proposito lettere assai amare al direttore del giornale al quale collaborava ("Repubblica"). Mentre era stata splendida la stagione vissuta da lui, e quindi dalla materia che trattava, al "Corriere della Sera", nell'ultima fase in cui ne fu proprietaria Giulia Maria Crespi. Parlo quindi del quotidiano diretto, negli anni Settanta, da Piero Ottone.

In quello stesso torno di tempo era aumentato il livello di consapevolezza generale. Soprattutto sui grandi temi della distruzione della natura, dell'inquinamento marino e fluviale, del dissesto idrogeologico (specie dopo le disastrose alluvioni del 4 novembre 1966). Ma, passate le catastrofi, svanito il fragore delle denunce più clamorose, il racconto, anche cronachistico, di quanto succedeva (o non succedeva) in Italia, nel Bel Paese, impallidiva, si faceva intermittente. Non parlo soltanto della denuncia delle inerzie (per esempio, la mancata attuazione del piano di riassetto idrogeologico definito dalla commissione De Marchi) e dei guasti continui, ma anche delle buone notizie, dei risanamenti, dei restauri, che assai faticosamente il nuovo Ministero per i beni culturali e ambientali, voluto con energia da Giovanni Spadolini, riusciva a realizzare. Attraeva (e attrae purtroppo) unicamente la cronaca dei disastri. Quella. Soltanto quella.

Eppure in quegli anni, fra sforzi spesso frustranti, oltre a crescere un movimento ecologista importante, si affermava comunque una politica riformista vera che avrebbe portato, soprattutto negli anni Ottanta e Novanta, ad alcune leggi: sui piani paesistici (detta legge Galasso), sui piani di bacino, sulle aree protette, cioè sui parchi, e così via. Leggi oggi inapplicate o a rischio di smantellamento, essendo prevalso sull'interesse generale l'interesse privato o locale, il "ciascuno è padrone a casa sua", quel senso fortissimo del proprio particulare che è alla radice dello scarso interesse, in fondo, per i beni culturali e ambientali.

Per radio e televisione il discorso era stato, in parte, diverso. La prima RAI aveva in sé una solida vocazione pedagogica, né era sollecitata sul versante commerciale essendo azienda monopolistica dotata di un canone per l'epoca cospicuo. Se mi rifaccio al volumetto curato da Luisella Bolla e da Flaminia Cardini,1 ne rintraccio tutti i segni, fin dal primo giorno di regolare programmazione televisiva, lo storico 3 gennaio 1954, quando alle ore diciannove andò in onda la prima puntata de "Le avventure dell'arte", dedicata a Giambattista Tiepolo e curata da Antonio Morassi. Furono spesso esemplari il lavoro pluridecennale di Anna Zanoli, quello di Franco Simongini, di Giulio Macchi e di tanti altri, la lunghissima serie di "Bellitalia" creata da Mario Meloni nel 1978 e alla quale ho lavorato io pure (col bravo Fernando Ferrigno) fra il 1992 e il 1993, il ruolo giocato, attivamente, da Leonardo Valente quando era a capo della struttura culturale di RAIDue (prima con Massimo Fichera, poi con Pio De Berti). Lo stesso Valente che con Vittorio De Luca consentì al regista Leandro Castellani e a chi scrive di realizzare nel 1988, in grandissima libertà, la sola grande inchiesta sui beni culturali fin qui giunta sul piccolo schermo (fronteggiando l'intromissione esplicita, perché non ricordarlo?, della potente Italstat). Tutto ciò col disfavore di direttori di rete che si chiamavano Luigi Locatelli e Giampaolo Sodano (subentrati a De Berti).

La sordità degli editori della carta stampata è stata grande (con le solite rare eccezioni). Quella della RAI, alla lunga, non è stata da meno, specie nei telegiornali, sovente molto evasivi. Specialmente, quindi, in sede di denuncia, dove cioè si andavano ad urtare le zone sensibili della politica. Con l'abilità tuttavia di crearsi alibi eleganti, persino raffinati, con trasmissioni che andavano ad ora tarda e che comunque raccoglievano, anche dopo la mezzanotte, il loro milione di telespettatori fedeli. Sordità editoriali tanto meno giustificabili, quindi, a fronte di un interesse tutt'altro che ridotto degli utenti (lettori, ascoltatori, spettatori che fossero) e di un patrimonio ambientale e storico-artistico di eccezionale importanza e capillarità.

Nel quadriennio che ho trascorso in Viale Mazzini, cioè alla RAI, in qualità di consigliere di amministrazione, mi sono adoperato con gli strumenti disponibili e con un'opera costante di "persuasione" e di sollecitazione affinché il grande tema dei beni ambientali e culturali venisse affrontato da molti versanti, dai TG e dai GR come dalle rubriche tradizionali, dalle inchieste come dai documenti di viaggio, ecc. Con risultati a volte distanti dagli sforzi dispiegati e tuttavia con non pochi esiti incoraggianti. Ma questo è un bilancio che non spetta a me trarre. Mi preme soltanto dire che ho trovato, in alcuni elementi, grandi disponibilità, e, nelle reti, vischiosità tuttora forti. Ne parlo diffusamente in un capitolo del libro che ho da poco pubblicato da Garzanti, intitolato Affondate la RAI. Viale Mazzini prima e dopo Berlusconi.

Ricordo con sincero piacere il lavoro per il documentario presentato al presidente Ciampi alla chiusura della Conferenza nazionale per il paesaggio, realizzato assieme a Fernando Ferrigno montando brani delle Teche RAI, utilizzando come apertura e come chiusura spezzoni del bellissimo viaggio lungo il Po di Mario Soldati (anno 1957) e percorrendo un quarantacinquennio di interventi negativi/positivi sul paesaggio italiano. Ricordo la forte inchiesta di Nino Criscenti sui "Paesaggi rubati", il livello spesso ottimo raggiunto da "Geo&Geo" che avrebbe meritato, qualche volta, quella prima serata accordata soltanto alla brava Milena Gabanelli e al suo graffiante "Report", persino in opposizione al "Grande Fratello" berlusconiano. Ricordo tanti servizi di Igor Staglianò per "Ambiente Italia" condotto da Beppe Rovera e il lavoro paziente, meritorio, svolto per "Bellitalia" dalla redazione toscana, con Stefano Marcelli e Marco Hagge (pur fra continui spostamenti: di orario e persino di giorno). Ricordo pure taluni coraggiosi "TG2 Dossier" (per esempio sulle alluvioni) ancora curati direttamente da Paolo Meucci. E non dimentico alcune inchieste quanto mai incisive della redazione di "Sciuscià", prima fra tutte quella sull'ipotizzato ponte sullo Stretto ed ultima (soltanto in ordine di tempo) quella sul problema dell'acqua in Sicilia, sulla quale si è conclusa la storica trasmissione di Michele Santoro. Mi duole non citare altri lavori, non perché non ci siano stati, ma perché il catalogo si farebbe lungo. Vorrei soltanto notare, amaramente, come le prime serate o le seconde "buone" serate siano state concesse con ostinata, puntigliosa avarizia a questi temi, anche quando la qualità della trasmissione era alta e la sua attualità di sicuro impatto televisivo.

Un recente, formidabile "test" sul muro di indifferenza contro il quale vanno a sbattere assai spesso denunce e proposte sulle tematiche qui in esame è stato fornito dalla questione, dibattutissima a livello politico-culturale, della Patrimonio dello Stato SpA, cioè della sostanziale privatizzazione, con prospettive di vendita o di cartolarizzazione (di fatto, di ipoteca), per i beni "disponibili e indisponibili" che fanno parte del patrimonio storico-artistico e ambientale del Bel Paese. Ebbene, la stragrande maggioranza dei nostri giornali nonché dei radio e telegiornali - a differenza di quelli stranieri - ha praticamente ignorato un tema così decisivo, così strategico, dalle mille implicazioni negative, anche sul piano della tutela costituzionale (articolo 9 della nostra Carta fondamentale). Ne ha fatto argomento di prima pagina soltanto quando il presidente Ciampi ha accompagnato la firma della molto controversa legge Tremonti con una lettera ricca di osservazioni penetranti nella quale veniva chiesta sostanzialmente una sua correzione normativa (che ovviamente non c'è stata, nemmeno in parte). Ma sono bastati pochi giorni per far ripiombare questa materia addirittura rovente in un limbo freddo e lontano.

Ancora una volta non si vuole "disturbare il manovratore". E tuttavia, far scendere il silenzio su temi così centrali della nostra storia e della nostra identità di Paese mi sembra un ulteriore passo avanti nello stravolgimento del mestiere di informare adeguatamente, criticamente, pluralisticamente i cittadini. Anzi, di informarli tout court. Stiamo passando dalla sordità prima descritta al buio fitto, rotto da poche voci forti, autorevoli? Come bilancio di un trentennio, sarebbe dei più amari. Mi auguro di doverlo rivedere, in positivo, fra qualche tempo.

 

Note

(1) La RAI, i beni culturali e l'ambiente, a cura di L. Bolla e F. Cardini, Roma, RAI-ERI, 1999.

 

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