Rivista "IBC" X, 2002, 4
biblioteche e archivi / linguaggi, mostre e rassegne
Fumetto, 741.5
"Il fumetto non è un genere! È un linguaggio!" continuano a ripetere gli esperti ai bibliotecari, che, per deformazione professionale, sono abituati a ragionare per generi e per classi: "Fumetto, 741.5". È il posto che riserva la Classificazione decimale Dewey ai fumetti, considerandoli una categoria artistica: in questo modo si prende in considerazione solo uno degli aspetti caratteristici del fumetto, quello grafico, trascurando così completamente l'altro aspetto, quello letterario.
Da qui nasce l'equivoco di partenza che rende così difficoltosa la collocazione del fumetto in biblioteca: quando diciamo che è un genere, in realtà intendiamo dire che, almeno concettualmente, andrebbe classificato fra la letteratura o perlomeno intendiamo sottolineare che, classificandolo fra le arti, si trascura un aspetto rilevante: il fumetto è nato anche per essere letto! Se è vero infatti che considerarlo un genere narrativo è limitativo perché in realtà si tratta di un linguaggio grafico-letterario nuovo, è vero anche che considerandolo soltanto un disegno, sia pure artistico, si perde la sua funzione di espressione letteraria.
Da queste riflessioni sono partiti i bibliotecari della "Valle dell'Idice" (il sistema che comprende le Biblioteche di Budrio, Castenaso, Loiano, Medicina, Molinella, Monghidoro, Monterenzio, Ozzano dell'Emilia, Pianoro e San Lazzaro di Savena, tutte in provincia di Bologna) per dare vita alla mostra itinerante intitolata "La Nona Arte. Il fumetto alla riscossa: le scuole, i personaggi, gli autori dalle origini ai giorni nostri, in Italia e all'estero". L'intento principale della rassegna è stato ribadire il valore letterario di un genere (in questo caso si conceda il termine) ancora considerato secondario, almeno nelle biblioteche tradizionali, avvertendo l'esigenza di incrementare e valorizzare la sezione fumetti, che generalmente è scarsa, poco visibile e ancor meno fruibile.
Un'altra finalità di questa esposizione era avvicinare alle biblioteche coloro che amano quest'arte, con la speranza di raggiungere un pubblico potenziale, quello degli adolescenti e dei giovani adulti che solitamente non frequenta la biblioteca se non per ottemperare ad obblighi scolastici. Se l'obiettivo era quindi sganciare l'immagine della biblioteca dallo stereotipo che tende ad identificare la cultura soltanto con ciò che è scritto, considerando secondario ciò che è ad esempio disegnato, filmato o su supporto audio, il fumetto - che per sua natura racchiude in sé due forme d'arte, la letteratura e il disegno, e che costituisce una lettura privilegiata, a volte l'unica, di alcune fasce giovanili - è apparso lo strumento ideale per veicolare un'immagine nuova della biblioteca giovane e per i giovani, aperta ad ogni forma d'arte e di cultura.
Individuate le finalità e identificati gli obiettivi, si è trattato di coordinare a livello di zona l'iniziativa nelle sue fasi operative e organizzative. Grazie al contributo di validi esperti del settore, in particolare di Franco Spiritelli, si è cercato dapprima di acquisire un'ampia ed esaustiva bibliografia sul fumetto contemporaneo e classico, italiano e straniero, che potesse servire sia come base per la formazione di una ricca e articolata sezione fumetti delle singole biblioteche sia per il reperimento di albi che, diventando oggetto espositivo principale della mostra, potessero essere visti, toccati e letti. Dalla bibliografia sono state poi selezionate le tavole più significative e rappresentative di ogni sezione per riprodurle sui pannelli espositivi.
Il progetto grafico e la comunicazione hanno avuto come protagonista Martin Mystère, il detective dell'impossibile, che per la sua nota e inveterata frequentazione di biblioteche e archivi, è sembrato fra i tantissimi personaggi dei fumetti, il testimonial più adatto per questa iniziativa. La mostra, nata come progetto interbibliotecario e pensata anche per rendere visibile il lavoro collettivo che da anni viene svolto in questo sistema, ha avuto carattere itinerante e dall'ottobre 2001 al novembre 2002 è stata allestita, per soggiornarvi circa un mese, in ognuna delle dieci biblioteche della zona. Gli ultimi appuntamenti sono stati a Molinella, nel mese di ottobre, e a Pianoro, in novembre.
Si è anche pensato di affiancare contestualmente ai singoli allestimenti una serie di iniziative culturali, rivolte all'utenza libera e a quella scolastica, quali incontri con autori/disegnatori, laboratori sulla tecnica del fumetto, proiezioni di fumetti "recitati", tavole rotonde con esperti del settore, allo scopo di conoscere meglio e in tutte le sue sfaccettature il mondo affascinante, divertente e significativo del fumetto.
Tutto ciò è stato possibile grazie alla fiducia accordata ai bibliotecari dalle rispettive Amministrazioni Comunali, al contributo economico dell'Assessorato alla cultura della Provincia di Bologna e all'apporto dell'IBC - Soprintendenza per i beni librari e documentari della Regione Emilia-Romagna, la quale, avendo creduto fin dall'inizio nel valore della proposta culturale, ha fornito grazie alla sua esperienza, un supporto materiale e organizzativo essenziale per la buona riuscita dell'evento.
La nona arte: che cosa è?
Il termine "nona arte" (l'ottava è la tivù) attribuito al fumetto si deve a Claude Beylie che lo usa in un articolo del 1964, La bande dessinée est-elle un art?" ("Il fumetto è un'arte?"). Pochi mesi dopo comincia l'uscita sulla rivista settimanale di fumetti "Spirou" di una serie di articoli dal titolo La Cronaca della Nona arte, in cui Morris, l'autore di Lucky Luke, e Pierre Vankeer presentano i classici del fumetto. Nel 1971 l'editrice Christian Bourgois pubblica un libro di Francis Lacassin (titolare di un corso sulla storia dell'estetica del fumetto alla Sorbona) che diviene il manifesto della bande dessinée: si intitola Per una nona arte, il fumetto, senza dover giustificare o spiegare l'appellativo che considerava come definitivamente accettato. E noi non possiamo che essere pienamente d'accordo.
Da oltre un secolo il fumetto fa parte della vita quotidiana di gran parte della popolazione del pianeta. Il messaggio che trasmette qualunque opera a fumetti è di solito di facile comprensione, questo perché i codici su cui il fumetto si basa sono quasi tutti di tipo istintivo, elementari per chi sappia leggere. Snobbato o osteggiato dalle istituzioni culturali, relegato nel campo delle letture per ragazzini con poca voglia di studiare, o di adulti con poca voglia di crescere, il fumetto ha subìto per lungo tempo l'ostilità di molte categorie sociali che non lo conoscevano nemmeno bene. Solo nel corso degli ultimi due decenni la situazione va gradualmente cambiando: si moltiplicano gli studi semiologici e filologici, le tesi di laurea, i saggi, le esposizioni. Ma per gran parte del pubblico le "strisce" restano una lettura disimpegnata e divertente, senza troppe pretese, il che, per certi versi è anche vero.
Il fumetto, come si diceva, non è un genere narrativo, bensì un linguaggio che, pur essendo inizialmente figlio di altri due linguaggi, la letteratura e la pittura, diventa ben presto un'altra cosa, un linguaggio assolutamente nuovo con sue specifiche peculiarità, con un suo vocabolario e una sua sintassi che, per la sua diffusione, diviene anche un medium, ovvero un mezzo di comunicazione di massa. Esistono molte definizioni di fumetto, ma tutte, o quasi tutte, prestano il fianco a qualche critica poiché il fumetto, nella sua natura di linguaggio, possiede moltissime sfaccettature. Accettando, fra le tante, la definizione articolata ma completa di Franco Spiritelli e Luigi Squizzato, possiamo dire che il fumetto è "un tipo originale di comunicazione in cui l'elemento narrativo (una storia, eventualmente - e solitamente - inclusiva di dialoghi), strutturato in sequenze, si raccorda e si esprime funzionalmente mediante l'elemento grafico costituito da pittogrammi (le immagini e i grafismi). Inoltre gli apparati di produzione e di distribuzione di cui si avvale, interagiscono col medium stesso".1
Più di qualunque altra forma di espressione il fumetto stimola la partecipazione attiva in chi lo fruisce: il lettore è chiamato a intervenire in prima persona, anche se non se ne rende conto, poiché i codici narrativi del fumetto sono quasi tutti di comprensione istintiva. Ad esempio può accadere che la narrazione richieda al lettore di completare con le sue esperienze quel che non vede. Analogamente può capitare, nel corso della storia, di incontrare una vignetta senza sfondo, mentre magari nella precedente ve n'era uno dettagliatissimo. È un espediente narrativo volto a porre l'attenzione solo sul personaggio: tocca al lettore ricordarsi dove si sta svolgendo la scena.
Tradizionalmente si sostiene che il fumetto solleciti solo due sensi del lettore: la vista e l'udito. In realtà, facendo leva sul ricordo inconscio delle esperienze citate prima, il coinvolgimento è assai maggiore.
I rumori, è noto, vengono resi con le onomatopee, quelle parole che hanno l'unico scopo di far capire a chi legge quando il personaggio parla, canta, sussurra o urla. L'uso corretto delle onomatopee fornisce al fumetto una vera e propria colonna sonora. Odori e gusto: basta poco per richiamare nel lettore il ricordo di un odore nauseabondo o, al contrario, appetitoso. Un personaggio con l'espressione disgustata che con una mano si tura il naso e con l'altra mostra, per esempio, un calzino maleodorante (con tanto di vapori fetenti), risveglia in noi l'esatto ricordo odoroso corrispondente.
A chi non viene fame vedendo i paperi far colazione allegramente quando Paperino sforna le sue proverbiali frittelle mattutine? Oppure, quando Tex entra in un fumoso saloon pieno di cow-boy dalla barba lunga e dagli abiti stazzonati, non ci sentiamo forse soffocare per il fumo, la polvere, il tanfo di vacca e di sudore? E che dire poi del tatto? A volte, sfogliando pagine contenenti scene particolarmente raccapriccianti o disgustose, non vi capita di usare la punta delle dita per toccarle il meno possibile?
Il massimo delle potenzialità espresse dal fumetto si raggiunge nella closure, lo spazio bianco tra due vignette, che, se usata consapevolmente, fa raggiungere vette altissime di tensione. Un pazzo ha seguito una donna, è riuscito a raggiungerla in casa e l'ha stretta in un angolo. Le si avvicina brandendo un coltellaccio. A questo punto le strade possibili sono tre:
a) gli autori ci mostrano in dettaglio il pazzo che fa scempio della donna con grandi spruzzi di sangue. Si ottiene una scena splatter, più disgustosa che paurosa;
b) l'autore ci mostra una scena più discreta: vediamo, un po' confusamente, la scena nell'ombra proiettata contro il muro. L'effetto è meno disgustoso e la tensione maggiore;
c) la lotta si svolge fuori campo (closure): vediamo un dettaglio del braccio armato che si solleva, magari seguito da un rumore: "Zock!". Un gemito soffocato, un urlo e un braccio alzato della vittima. Poi una gamba e un braccio scomposti della donna, mentre l'uomo in secondo piano se ne va. In quest'ultimo modo, più drammatico e coinvolgente, ogni lettore ha immaginato la scena secondo particolari noti solo a lui, rendendola molto più paurosa di quanto avrebbe potuto fare la rappresentazione.
Nel fumetto umoristico, tradizionalmente riservato ai bambini, ma che ha al suo attivo parecchie produzioni come iPeanuts o Calvin e Hobbes(per citare due esempi eclatanti), ci sono anche soluzioni importate dai cartoni animati: un personaggio può ricevere una terribile botta e sfoderare un ciclopico bernoccolo o appiattirsi come una sogliola e tornare normale nella vignetta seguente. Il lettore sa che Paperino può restare sotto un masso e presentarsi alto venti centimetri, per poi tornare alla normalità, mentre ad Asterix, più realistico, questo non può succedere.
Le origini
C'è chi sostiene che sia nato in America e chi in Europa. Chi lo fa risalire alla prima apparizione di Yellow Kid (1895) e chi invece alla comparsa nello stesso fumetto dei primi balloons (1896). C'è chi ne attribuisce la paternità al disegnatore svizzero Rodolphe Töppfer (1799-1846), chi richiama le vetrate delle cattedrali francesi che, accostando le figure con listelli di piombo, formavano delle vignette ante litteram, chi rievoca gli arazzi di Bayeux, chi ancora la Colonna Traiana, le ceramiche della Grecia Antica, i geroglifici e perfino i graffiti rupestri di Lascaux_
In realtà, se si accetta il presupposto che il fumetto sia un mezzo di comunicazione di massa, non si possono considerare precorritrici del fumetto le opere prodotte quando solo un'esigua minoranza della popolazione poteva fruire compiutamente del messaggio da esse trasmesso.
Roman Gubern sostiene inoltre che "la differenza tra i fumetti e i loro presunti antecedenti storici riguarda non solo i loro livelli quantitativi di diffusione, ma anche i decisivi fattori formali derivanti dal condizionamento dello spazio disponibile e dalla conseguente economia estetica, come tante altre esigenze tecniche ed industriali proprie della loro natura giornalistica". Dunque le esigenze della pubblicazione sui quotidiani (cioè i limiti a cui i primi autori si trovarono di fronte nel loro lavoro) contribuirono a creare le regole del fumetto. "Quindi" conclude Gubern "è importante affermare in maniera chiara e inappellabile che i fumetti, pur essendo sintesi e perfezionamento di procedimenti narrativi anteriori, figurativi o figurativo-letterari (come le serie di Gustave Doré o di Wilhelm Bush, e il cartoon politico anglosassone), acquisirono fin dalla loro nascita un'entità ed un'autonomia estetica peculiari grazie al veicolo dell'industria giornalistica...".2
Alcuni studiosi francesi, come si è detto, fanno risalire la nascita del fumetto al 1840 e a Rodolphe Töppfer ma, benché le opere di questo autore possano essere considerate parenti molto strette del fumetto, in quanto presentano già la narrazione sequenziale e la divisione in vignette, si tratta soltanto di "protofumetti", poiché il testo ed il disegno sono separati e non formano un corpo narrativo unico. Lo stesso avviene per le opere di altri artisti a lui coevi, Caran D'Ache o Wilhelm Busch (autore di Max und Moritz), in cui l'assenza di testo non può e non deve essere confusa con certi fumetti più o meno moderni, in cui alcuni autori fanno consapevolmente a meno dei balloons e/o della parte scritta.
Il fumetto è un fenomeno grafico-letterario assolutamente nuovo e originale giunto a maturità nei primi decenni del XX secolo in America, legato al grande sviluppo dei quotidiani e alla titanica lotta fra le varie testate per accaparrarsi nuovi lettori grazie al lancio del supplemento domenicale a colori. Quando si tenta una definizione di fumetto o se ne cercano le origini all'alba della civiltà, non si deve mai dimenticare che esso è nato per essere stampato e diffuso in molte migliaia di copie, che deve essere immediatamente fruibile e facilmente comprensibile alla maggioranza dei lettori e avere un contenuto il più possibile avvincente.
Il primo fumetto così inteso nasce dunque in America, quando il quotidiano "New York World", per aumentare la propria tiratura, decide di lanciare sul supplemento domenicale a colori i disegni di Richard Felton Outcault: è il 7 luglio 1895. Il protagonista della serie di disegni è uno strano personaggio, un bambino calvo, con le orecchie a sventola, poco più che neonato, con indosso un camicione giallo: Yellow Kid, il monello giallo. Le storie, ambientate in un quartiere popolare di New York, sono soltanto disegnate, ma la necessità di aggiungere dei testi per esprimere pensieri e sentimenti, portano l'autore a scrivere messaggi un po' dovunque: sui muri, sui manifesti, sulle insegne e soprattutto sul camicione giallo del protagonista. Soltanto l'anno dopo, nel 1896, compare il primo balloon: a questa data va fatta risalire la nascita vera e propria del fumetto.
Dal balloon al fumetto: la storia italiana
Il fumetto arrivò in forze nel nostro Paese con la nascita del "Corriere dei Piccoli" (1908), supplemento illustrato del "Corriere della Sera", anche se alcuni personaggi americani erano già apparsi. L'introduzione massiccia del colore e la novità dei personaggi presentati ne fecero subito un successo, arrivando a ben quarantamila copie di vendita! Ai classici americani, regolarmente ribattezzati con nomi nostrani, si affiancò ben presto una folta schiera di autori italiani che seppe ben figurare al fianco dei più titolati colleghi. Citiamo tra questi Attilio Mussino (Bil Bol Bul), Antonio Rubino, Bruno Angoletta (Marmittone), Carlo Bisi (Sor Pampurio), Sergio Tofano noto anche con lo pseudonimo di Sto (Bonaventura), Enrico Manca (Pier Cloruro de' Lambicchi) e tanti altri.
Il "Corrierino" presentava il testo - le caratteristiche strofette in rima baciata - sotto le vignette, in forma di didascalia. Per rispettare questa impostazione i fumetti americani venivano pubblicati senza balloons e declassati così al ruolo di racconti illustrati. L'operazione, fatta in buona fede, ebbe come terribile conseguenza quella di affermare il fumetto come fenomeno per bambini, spacciando all'interno del "Corriere dei Piccoli" serie che erano invece nate per un pubblico adulto.
Il successo riscosso dal "Corrierino" incentivò la produzione di moltissimi giornali per ragazzi, solitamente ricchi di racconti scritti, con qualche tavola a fumetti, ma sempre in didascalia. Il fumetto d'avventura arrivò sulle scene nel 1934 con "L'Avventuroso" (edizioni Nerbini) che, con Gordon in copertina, si rivolgeva ai giovani e agli adulti. Il successo fu enorme: cinquecentomila copie, che poi si stabilizzarono sulle trecentomila, tanto che il Ministero della cultura popolare del Governo fascista cominciò a interessarsi all'influenza che il fumetto poteva avere sui giovani. In periodo prebellico dunque i fumetti furono "sotto osservazione", fino al 1938, quando venne vietata l'importazione del materiale straniero (con l'esclusione di Topolino).
Anche "L'Avventuroso" produsse numerosi epigoni, come "L'Intrepido", dedito soprattutto a vicende sentimentali, o "Il Vittorioso", legato all'editoria cattolica, su cui nacque una nuova leva di fumettisti italiani, che avrebbe preso piede soprattutto nel dopoguerra. In questo periodo, molti degli autori italiani, quasi tutti giovanissimi, si ispiravano massicciamente ai grandi d'oltreoceano in particolare a: Alex Raymond, Milton Càniff e Harold Foster. In breve tempo però si affermò una scuola italiana con numerosi autori originali e di grande valore, fra cui: Rino Albertarelli, Franco Caprioli, Sebastiano Craveri, Benito Jacovitti e Walter Molino, per citare solo i più grandi.
Nel dopoguerra nascono nuove riviste come l'"Asso di Picche", creato da un gruppo di autori veneziani (Hugo Pratt, Dino Battaglia, Alberto Ongaro, e ancora Faustinelli, Pavone, ecc.) che daranno un forte contributo al fumetto nazionale. Il personaggio più famoso del periodo è Gim Toro (1946), scritto da Lavezzolo e disegnato da dell'Acqua, ispirato al Tyrone Power de Il figlio della furia, che riscuote un enorme successo. Nel 1948 nasce anche Pantera Bionda (Dalmasso & Magni), che scatena le ire della censura per il costume troppo ridotto. Nello stesso anno Gianluigi Bonelli e Galep (Aurelio Galleppini) danno vita a Tex che diverrà, alcuni anni dopo, il più grande successo nazionale. È il periodo degli albi a strisce, nati per risparmiare la carta, all'epoca rara e costosa.
Gli anni Cinquanta sono appannaggio dei western all'italiana, che ebbero grande seguito fra i lettori: Capitan Miki (1951) e Il Grande Blek (1954), entrambi realizzati dalla EsseGesse (Sartoris, Guzzon, Sinchetto), ma anche Pecos Bill (1949, Martina & Paparella), l'eroe senza pistola. Il già affermato Jacovitti crea sul "Giorno dei Ragazzi" il celebre Cocco Bill. Trionfa la nuova formula del tascabile, come "Topolino", ma anche "L'Intrepido" e "Il Monello", che insieme vendono circa un milione di copie settimanali! Nascono numerosi personaggi umoristici di successo: Cucciolo e Beppe, Tiramolla, Soldino, Geppo, Trottolino, Nonna Abelarda, Pepito, Baldo, ecc.
Gli anni Sessanta sono ricchi di eventi, dalla nascita del fumetto nero (Diabolik) a quello erotico (Isabella). Hanno un buon seguito i racconti di guerra di produzione inglese. Alcuni dei migliori esponenti del settore umoristico vanno a lavorare per la Disney, dando nuova linfa ai personaggi, ma provocando il lento, inarrestabile, declino del settore umoristico. In questi anni si afferma l'editore Sergio Bonelli, il quale, nato nel 1941, è oggi il maggiore del settore; fra i suoi personaggi, tutti di discreta e buona qualità, i più famosi e letti sono: Zagor (1961), Mister No (1974), Ken Parker (1977), Martin Mystère (1982), Dylan Dog (1986), Nick Raider (1988) Nathan Never (1991) e il recentissimo Gregory Hunter (2001).
Negli anni Sessanta si afferma il formato "alla Bonelli", grazie all'enorme successo di Tex. Nel 1965 nasce "Linus", la prima rivista fumettistica al mondo con ambizioni culturali. Nel 1967, sulle pagine di "Sergente Kirk" nasce Corto Maltese (di Hugo Pratt), che introduce la formula del "fumetto d'autore". Alan Ford (firmato da Magnus & Bunker) riscuoterà un grande successo a partire dal 1969 per tutto il decennio successivo e aprirà la strada alla satira all'italiana, cui si affiancheranno esempi come Johnny Logan, di Garofalo e Cimpellin. Gino D'Antonio lancia La Storia del West (1967), il primo western moderno.
Negli anni Settanta si affermano i supereroi Marvel, proposti dalla Corno, e i settimanali invadono il mercato: ne escono oltre una decina, di cui soltanto "Lanciostory" e "Skorpio" sono ancor oggi in attività. Proliferano in questo periodo le riviste d'autore, sull'onda dei fumetti che provengono da "Métal Hurlant", la rivista francese che nel '74, in maniera assolutamente rivoluzionaria, si poneva l'obiettivo di dare più risalto alla figura del disegnatore rispetto a quella dello sceneggiatore. Il risultato è la realizzazione di opere d'arte supportate da storie deboli. L'attualità è rappresentata dalla serie Il Commissario Spada di Gonano e De Luca. Nasce l'astro di Andrea Pazienza, forse il miglior interprete delle inquietudini della società giovanile degli anni Settanta. Il fumetto popolare vive una crisi di contenuti, salvo alcune eccezioni: Lo Sconosciuto di Magnus e la successiva Compagnia della Forca, come anche Lupo Alberto di Silver e Nilus dei fratelli Origone.
Alla fine degli anni Settanta si presentano i sintomi di quella grave crisi che scoppierà negli anni Ottanta e che porterà a una drastica riduzione dei settimanali e delle riviste d'élite, che si moltiplicano per poi sparire velocemente. In crisi anche l'umorismo, che vede ridurre sempre più i suoi spazi. Nascono vari personaggi bonelliani e nella seconda metà del decennio ritornano i supereroi, oggi di nuovo in crisi. Si sviluppano in questo periodo le librerie specializzate in fumetti.
Gli anni Novanta si caratterizzano soprattutto per l'arrivo del fumetto giapponese, la crisi del fumetto argentino e americano e il frammentarsi del mercato nei vari settori: chi colleziona tutto di Corto Maltese, chi legge solo manga (il fumetto giapponese), chi solo supereroi, chi solo fumetti bonelliani, ecc. Oggi i lettori italiani possono scegliere tra una produzione vastissima che ospita soprattutto il meglio del fumetto internazionale. Se da un lato ciò è indubbiamente positivo, dall'altro coincide con una tendenza consumistica volta alla promozione del nuovo a tutti costi, che non tiene conto della qualità effettiva delle proposte. Così paradossalmente si pubblicano manga di venti anni anni fa, mentre non ci sono ristampe dei grandi classici nazionali che almeno una generazione di italiani non conosce: Il Commissario Spada o la produzione di Jacovitti, ad esempio. Un atteggiamento superficiale che non trova riscontro in altri paesi, dove i buoni fumetti vengono generalmente ristampati, magari in veste ancora più curata.
Note
(1) F. Spiritelli, L. Squizzato, Il Fumetto ha 100 anni, Milano, Nuove Edizioni 50, 1996, p. 5.
(2) R. Gubern, Il linguaggio dei comics, Milano, Milano Libri, 1975, p. 13.
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