Rivista "IBC" X, 2002, 4

territorio e beni architettonici-ambientali / mostre e rassegne, pubblicazioni, storie e personaggi

A Boretto, nel cuore della Bassa reggiana, una mostra promossa dall'IBC illustra la storia e l'evoluzione tecnica degli attraversamenti del Po, senza dimenticare i racconti evocati dal Grande Fiume.
Ponti di carta e traghetti di parole

Davide Papotti
[lettore di italiano presso l'Università di Chicago, USA]

Dal 19 ottobre al 24 novembre 2002, la Casa dei Pontieri - Museo Dino Gialdini di Boretto (Reggio Emilia) ha ospitato "Attraversare il Grande Fiume", una mostra documentaria sulle modalità di passaggio del più grande fiume italiano, curata da Romano Gialdini e Sergio Venturi e promossa dall'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna e dal Comune di Boretto in collaborazione con il Museo Gialdini.

Insieme alle vicende storiche e tecniche delle forme di attraversamento e di navigazione dall'antichità all'età contemponea, l'esposizione ha raccolto una sorta di "antologia pontiera" della letteratura italiana novecentesca, di cui qui riproduciamo un estratto. Ringraziamo l'autore del contributo e l'Editoriale Sometti di Mantova (www.sometti.it), coeditrice del catalogo insieme all'IBC.

 

L'attraversamento del Po, fino alla metà del ventesimo secolo, costituisce un "rito di passaggio". Storico elemento di confine, il grande fiume rappresenta psicologicamente e fisicamente una cesura nel territorio della pianura, delinea chiaramente un "al di là" e un "al di qua", rinforza sensi di identità territoriale e, in parallelo, rivalità fra le opposte sponde. Con gli svantaggi, ma anche i vantaggi, della posizione in limine: "Non è proprio nei luoghi `di frontiera' che si realizzano gli stimoli più intensi? Non sono forse quelli i luoghi della `contaminazione' tra due realtà distinte che, comunque, si confrontano, si completano, si modificano l'una con l'altra e sovente si confondono?".1 Le pratiche difficoltà del transito del fiume, in un'epoca che ancora non conosceva i moderni ponti di cemento, assicuravano una concreta percezione della distanza fisica e spirituale fra le due sponde. I transiti davano allora origine di volta in volta a sentimenti e sensazioni che caratterizzavano un momento delicato e rilevante: apprensione psicologica, stanchezza fisica, diminuzione dei ritmi di movimento, soddisfazione nel passare un ostacolo, senso dello scampato pericolo e così via.

Le pagine letterarie riproducono l'immagine dei passaggi (e dei paesaggi) fluviali con la consueta, intrinseca parzialità. I fogli dei libri sono come gli specchi deformanti dei luna park: ingrossano, assottigliano, slanciano, abbassano, distorcono ma nondimeno riproducono costantemente il soggetto che in essi viene riflesso. Un'antologia di citazioni letterarie dedicata agli attraversamenti del fiume è cosa diversa dalla raccolta di testimonianze e di interviste.2 Non ambisce a ricostruire, ma contribuisce a colorare le immagini di sfumature e tonalità che magari rimarrebbero in penombra nello sforzo diligente di ricostruzione del passato. I testi letterari sono moltiplicatori d'immagini, funzionano come quei piccoli prismi di plastica o vetro che si trovano nei negozi di giocattoli: con un inganno ottico spezzettano l'oggetto che si sta osservando e lo riproducono in cento schegge roteanti, cugini semplici dei caleidoscopi che utilizzano però al posto dei vetrini colorati gli stessi elementi della realtà.

La letteratura novecentesca, sia detto subito, non è ricca di traghetti e di ponti in barche. E non solo perché questi sistemi di transito stanno, nel corso del "secolo breve", scomparendo a poco a poco per lasciare spazio ai ponti di cemento e di ferro. Scorrendo i libri di ambientazione padana, sono rimasto un po' deluso perché, complice l'imprecisione della memoria, mi aspettavo di trovare più immagini di traghetti e ponti. Senza pretese di esaustività, ovviamente, la seguente "crestomazia pontiera" si configura come un partito di minoranza nell'iconografia letteraria, e anche nell'iconografia letteraria padana più radicata. Ad un certo punto dell'investigazione mi è venuto in mente di cercare il profilo del ponte di barche o del traghetto nell'affascinante e ricchissima enciclopedia di Francesco Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura,3 ma anche lì - forse ponti e barche sarebbero "oggetti" fisicamente un po' troppo ingombranti - non ve ne è traccia. In tanti volumi ripresi in mano alla ricerca delle immagini che sono andate a comporre questa miniantologia mi sono scontrato con una cocciuta "terrestreità" della narrazione, che si sofferma ampiamente sulle campagne, sulle case coloniche, sui campi, sui fossi, sulle cavedagne, ma raramente si spinge, menzionando al massimo il fiume en passant, oltre la barriera degli argini. Oppure si può identificare e seguire un filone prettamente fluviale, già quantitativamente di minoranza rispetto alla letteratura "rurale", incentrato sull'elemento idrico in sé, sul Po, sui suoi elementi, sulle sue caratteristiche e sulle attività svolte sopra e intorno ad esso. Protagonisti diventano allora lanche, meandri, fili di corrente, spiagge, tronchi, caccia, pesca, navigazione.4 Anche in questa letteratura fluviale, tuttavia, rara è l'attenzione alle strutture che permettono il passaggio da una riva all'altra. La cartina al tornasole usata per individuare gli speciali reagenti "traghetto" o "ponte in barche" ha dato risultati solo di quando in quando, ma la ricerca nondimeno alla fine ha composto un atlante sufficientemente articolato. Si procederà dunque ad un'illustrazione del raccolto di citazioni relative a traghetti e ponti in barche, che disegnano un vario mosaico di occasioni, stati d'animo, descrizioni. Senza ordine cronologico preciso, la seguente "antologia commentata" procede per trapassi geografici, spigolando di qua e di là lungo il corso, e per transiti cronologici dispersi lungo il secolo ventesimo.

È la psicologia di chi transita, si diceva in incipit, che proietta diverse immagini sull'identità del passaggio fluviale. Come accade per Zemrude, una delle città immaginarie di Calvino ("è l'umore di chi la guarda che dà alla città di Zemrude la sua forma. Chi comanda al racconto non è la voce, ma è l'orecchio")5 così il fiume mostra diverse immagini a chi percorre i suoi traghetti, ponti, guadi. Una prima, importante distinzione. Esiste il transito di servizio, obbligato, richiesto da attività lavorative, parte di una radicata cultura dello sforzo. Ed esiste il transito del viaggiatore, di colui che si muove per diletto e per propria libera scelta decide di mettersi sulla strada. L'anima del Po si presenta sotto aspetti differenti a chi transita il fiume per necessità o a chi lo passa per puro piacere.

Caso esemplare di trapasso obbligato è quello che si effettua durante un trasloco. Il rito di passaggio che apre il romanzo di ambientazione padana Annalena Bilsini di Grazia Deledda (Nuoro, 1871 - Roma, 1936)6 è proprio quello di uno spostamento familiare che, nell'affastellarsi degli oggetti e dei personaggi sul carro da trasporto, ricorda le epiche carovane da Far West. La svolta nel destino della famiglia trova il suo perfetto correlativo oggettivo nella struttura di transito, il ponte di barche sul Po:

 

La moglie di lui ed il più giovane dei fratelli erano partiti la mattina presto per la nuova dimora con un primo carico di roba e gli attrezzi rurali. Adesso gli altri, con un carro di mobili, il biroccino, le biciclette, il cane, il gatto la gabbia con dentro un merlo, imboccavano il ponte di chiatte sul Po, procedendo lentamente verso la loro meta.

 

Quando la chiatta di un traghetto si stacca da terra, o quando si abbandona la terraferma e si mette il piede sulla prima tavola di legno del lungo serpentone a forma di mezzaluna del ponte di barche - dalla caratteristica panciuta curvatura dovuta alla corrente del fiume - si avverte l'unicità del momento all'interno del proprio itinerario. Il transito da una riva a quella opposta diventa facile metafora di un passaggio da un'esistenza ad un'altra, ed il ponte di barche si fa involontario caronte di cambiamento esistenziale:

 

Quando furono arrivati in cima al ponte, ed il carro coi bambini, il gatto, il merlo dai rotondi occhi idioti, le rosse materasse incendiate dal fuoco del tramonto, volse verso l'alto argine tutto verde e dorato, ella pensò dunque alla nuova grande casa dove c'era tanto da fare; e guardate un'ultima volta le acque splendenti del fiume dentro le quali cadeva e si scioglieva il sole, proseguì il viaggio con l'impressione di essere veramente approdata ad una riva della sua vita completamente opposta alla prima.7

 

La storia dei transiti dei fiumi è caratterizzata dalla progressiva accelerazione dei ritmi. La nostalgia per la lentezza - o anche solo la consapevolezza della propria velocità - non contraddistinguono solo il moderno viaggiatore abituato a sfrecciare sui ponti di cemento autostradali, o su quelli in metallo della ferrovia. Ogni epoca guarda a quella precedente con un pizzico di rimpianto per le compassate ritualità del passaggio. Il discorso si applica a catena, risalendo indietro nel tempo. Chi passa da una riva all'altra con una barca a motore può vagheggiare il silenzio e la misurata gestualità del traghetto cadenzato dai colpi di remo, di pertica o semplicemente trascinato dalla corrente lungo una fune tesa fra le due sponde. Chi transita su un ponte di barche recupera nella memoria il maggiore isolamento e la sensazione di essere in balia delle acque che si provavano nell'affidarsi al traghetto. Chi percorre un ponte di barche di cemento ricorda il colore scuro delle chiatte di legno. Chi valica un ponte di cemento può rimembrare la vicinanza sensoriale al fiume che offriva il passaggio su un ponte di barche.

[...]

Le variazioni sul tema possono trovare differenti esiti stilistici e diversi toni espressivi. Cesare Zavattini (Luzzara, Reggio Emilia, 1902 - Roma, 1989), nella biografia poetica del pittore Ligabue, si esprime con scabra asciuttezza:

 

Nel diciannove/ il distretto di Reggio Emilia/ lo chiamò per la visita militare./ Varcata la frontiera dava gomitate nello spazio/ che non gli si addiceva./ Cominciava il suo esilio/ in questa valle padana/ tra i ponti in legno di Brescello/ e Borgoforte quest'ultimo/ sostituito nel sessantasei/ dall'asfalto,/ il traffico ne guadagna ma/ a me dispiace più di un dente caduto.8

 

Guido Ceronetti (Torino, 1927), pellegrino che non si riconosce nei ponti moderni, svolge, solitario, le sue disilluse imprecazioni:

 

Il Ponte della Becca è una brutta ferraglia che bombardano incessantemente i motori, gettata sul pio abbraccio memorabile tra Ticino e Po. Lo attraverso a piedi con pena, senza che la vista dell'acqua larghissima riesca a commuovermi, per l'atrocità del rumore; ma già nell'ultimo tratto l'amplexus dei due fiumi non è più visibile. Non c'è che l'asfalto... Chi è dentro le macchine è senza occhi, ma chi va a piedi percorre inferni. Oh sogno! Come ti hanno massacrato bene! E poi cremato, le ceneri disperse...9

 

[...]

Ponti e traghetti non si escludono a vicenda. In un mondo preautomobilistico il ponte, se distante più di qualche chilometro, è quasi come se non esistesse, o comunque rimane un oggetto lontano frequentato solamente in occasioni speciali, mentre la quotidianità è ancorata al più aleatorio collegamento dei traghetti. Scriveva nel 1964 Dario Zanasi (Sassuolo, Modena, 1908 - Bologna, 1967): "Dove non c'è il ponte fanno servizio le lentissime barche-traghetto, cariche di uomini, di biciclette, di ciclomotori. Vanno da una riva all'altra, come nuvole nere attaccate all'acqua".10

Il traghettatore è personaggio conosciuto a tutti eppure socialmente periferico, quasi un reietto, presenza necessaria ma marginale nella sua dislocazione lavorativa fluviale. Vale la pena riprodurre per intero un racconto breve di Arnaldo Bartoli, che compone in una pagina un sintetico epitaffio alla figura del traghettatore di Guastalla, nella Bassa reggiana, omaggiando nel profilo del singolo il lavoro e il ruolo di un'intera categoria:

 

Il ponte più vicino era a Viadana, un vecchio ponte di barche, l'unico forse esistente da sempre per il raccordo delle due sponde del fiume. A Guastalla un servizio di traghetto due volte al giorno era fatto da un barcaiolo che sembrava partorito dal fiume assieme alla sua barca tutta rattoppi; un'età indefinibile, la pelle incartapecorita di un grigio-seppia ricordava una vecchia tartaruga. Nessuna nebbia gli aveva mai fatto paura; due spianate sulle rive avevano assunto il prestigioso nome di porto e negli ultimi tempi un bungalow di paglia riparava i passeggeri in attesa della pioggia. Il richiamo nella nebbia era un aaaaaaù urlato colle mani ad imbuto sulla bocca in direzione dell'altra sponda. Bagel, forse anche il nome d'anagrafe suo non esisteva o era stato dimenticato. Dal ripostiglio della barca, protendevano il collo sulla bottiglia della grappa e del fiasco del vino, in paese lo si vedeva raramente. Benvoluto da tutti raccoglieva i segreti e le confidenze dei passeggeri ed era al corrente di tutti i pettegolezzi che giravano per Dosolo e Guastalla. Nelle ore d'intervallo dei traghetti raccoglieva la legna trasportata dal fiume o trasportava coppiette nei luoghi più inaccessibili del fiume mantenendo il più grande segreto. Qualche volta lo si poteva trovare nel capanno dei cacciatori del gioco della caccia alle anatre col cacciatore Cisara e qualche ospite, ed erano allora le sue giornate di festa, cotechino sotto le brage salsicce cotte nel vino polenta abbrustolita fiaschi di mantovano grana e grappa ed in quelle occasioni la notte passava al riparo di un pioppo o nel capanno. Venne la guerra che lo rese partecipe del disastro di tutti, il fiume era diventato un confine e se la passò alla meglio col contrabbando notturno. La costruzione del ponte gli tolse il lavoro. Scomparve. Un cacciatore passando vicino al suo capanno, nel bosco, spostando la persiana sgangherata guardò dentro e lo vide sdraiato sulla branda, morto da quasi una settimana.11

 

[...]

Il passaggio di un fiume è momento saliente di un viaggio, che stimola le porte della percezione sul paesaggio fluviale e segna un momento di rilievo nell'esperienza itinerante. La rallentata velocità cui obbligano i ponti di barche offre il destro a vere e proprie filosofie perifluviali. È il caso di un viaggiatore primo-novecentesco che ha scelto per un tragitto classico, l'itinerario da Milano a Bellaria, un mezzo insolito, la bicicletta. Lo scrittore è Alfredo Panzini (Senigallia, 1863 - Roma, 1939), il libro si intitola La lanterna di Diogene (1907). Dopo poche pagine dedicate all'uscita e al progressivo allontanamento dalla città meneghina, e dopo qualche preliminare meditazione dedicata alla campagna lombarda, ecco che il ciclista arriva al momento topico, al passaggio del fiume:

 

Che piacere quando giunsi sulle rive del Po! Era un antico voto che scioglievo. Sa Iddio quante volte lo passai, ma sempre in treno, quel bianco Po, lento, fluente tra il meandro dei pioppi evanescenti. Ma il fragore del treno che fuggiva tra le sbarre del ponte faceva evaporare ogni fantasia. Ora avrei potuto fermarmi, o Po, in mezzo alle tue acque, sul ponte di barche. Mi fermai infatti a dispetto delle zanzare, che quivi sono molte e feroci, e attesi se per le acque lontane giungesse alcuna voce di antica epopea, alcun sospiro dell'idillio di Aminta in cui tu esalasti l'anima giovane, o Torquato! Ma il castello estense di Belriguardo non è più! Ad un tratto la scena mutò. Le bianche acque si erano fatte vermiglie: il sole tramontava; ma ciò non parve effetto del sole: parve invece che quelle acque rosse fossero come un fantasma dell'umano sangue che tu lavasti, o Po, nel corso dei secoli.12

 

La retorica letteraria di Panzini aiuta a definire uno degli attributi letterari che vengono assegnati al passaggio di un fiume: l'invito alla sosta. Arrivare sulle sponde del fiume, con la prospettiva dell'andare oltre, è un po' come arrivare a un crinale in montagna, quando, cambiando versante, si aprono nuove prospettive panoramiche. Si tratta di un punto importante del percorso, che invita alla celebrazione del momento attraverso una sosta. La sosta a sua volta immediatamente invoglia alla riflessione. La presenza del fiume costituisce, nella mappa mentale del viaggiatore, un momento di riconoscimento del proprio andare e della propria posizione. Un po' l'equivalente della freccia rossa che rassicurantemente indica "Voi siete qui" nelle grosse carte turistiche affisse su pannelli di informazione ed orientamento. Secondo un classico procedimento letterario di associazione ed evocazione il paesaggio reale sfuma nei paesaggi della memoria. [...]

La percezione sensoriale varia a seconda del mezzo di locomozione con il quale si viaggia. Nel suo celebre elogio della bicicletta contenuto in Straparole, Zavattini menziona i ponti di barche assumendo per un attimo il punto di vista del ciclista, che si accorge subito con piacere della levigatezza del tavolato di assi:

 

Se l'alba è dei pescatori, il crepuscolo è degli innamorati. Si sono allontanati dall'abitato incontro alla sera con un braccio dell'uno sulla spalla dell'altra; poi le luci repentine dei camion che trasportano l'uva e i tronchi dei pioppi più tardi li illuminano abbracciati, con le biciclette abbandonate sull'orlo dei fossi. Sono anche le ore nelle quali le balere diventano luoghi fatati, e i ballerini arrivano a centinaia anche dalla riva lombarda attraverso i ponti di barche che hanno il legno compatto quasi come quello dei velodromi [...].13

 

Sempre Zavattini offre, in un paragrafo intitolato Il fotografo Strand e datato 13 aprile 1953, un'altra immagine serale legata ai transiti del ponte di barche visti come parte integrante dei percorsi del divertimento. In una tecnica vicina alla variazione musicale, il testo - raccolto poi nello stesso Straparole, libro allegramente enciclopedico fatto di mille appunti e argomenti - ripropone l'immagine del pendolarismo ciclistico tra le sponde del fiume:

 

Nel pomeriggio si andò a Boretto, ballavano nel baraccone sulla riva destra, dalla sinistra arrivavano esagerando il trillo di campanelli centinaia di giovani in bicicletta sobbalzando sulle assi del ponte, quelli del deposito delle biciclette mettevano i cartellini su ciascuna così in fretta che parevano farfalle, le ragazze si davano colpi fugaci alle sottane per staccarsi le vesti dalle cosce, state a lungo sulla sella, Strand e sua moglie a braccetto accennarono un passo di danza.14

 

L'improvviso riavvicinamento delle due rive che segue l'allestimento di un ponte di barche dà origine a nuove territorializzazioni, inserendo un asse trasversale che incrina il dominio longitudinale delle prevalenti frequentazioni pre-ponte. Le differenze fra le rive rimangono, eccome, ma si innescano meccanismi di contatto e di osmosi, come se i due vasi delle regioni frontaliere fossero diventati realmente comunicanti solo attraverso questo tubo di collegamento fatto di assi poggiate su barche galleggianti. Non senza, anche nelle precedenti note di Zavattini, la velata sensazione dell'essere "invasi" da "quelli dell'altra sponda", entità collettiva semibarbarica che sciama a rapire le bellezze locali in un paesano ed incruento ratto delle Sabine.

[...]

L'apertura sensoriale concessa dall'attraversamento di un ponte può aprire le porte anche a fantasie quantitative d'immaginaria ingegneria, che coniugano la ribalda creatività del pensiero con la materialità degli elementi:

 

Dopo paesi di case a un piano e manifesti di circhi equestri forse mai esistiti (posti tristi: ci si fermò a comperare dei fiammiferi e il tabaccaio era allegrissimo) si arrivò a Boretto, sul ponte di barche su cui transitano a passo d'uomo automobili e camion, un cigolare lento e fondo di legno avventuroso, le assi sotto le ruote dei rimorchi stanno sempre per schiantarsi, reggono fino a cento quintali, se metto un foglio di carta oltre i cento quintali il camion sprofonderà? Non può essere per un solo grammo, metto il foglio di carta sul camion e lascio passare del tempo (è un accorgimento, poiché a metterli uno dopo l'altro in fretta si ha l'impressione che facciano più massa) e aggiungo un altro foglio di carta, una farfalla: arriverà il momento del crollo, ma se aspettavo ancora, se fra il penultimo foglio e l'ultimo fossi andato all'estero?15

 

Il paradosso zavattiniano sottolinea una delle caratteristiche più ricorrenti nella descrizione letteraria dei ponti di barche, la sensazione di precarietà da essi trasmessa. Un ponte di barche è struttura flessibile per definizione, costretta a convivere con la corrente, a seguire i cambiamenti di livello del fiume alzandosi ed abbassandosi, ad assorbire i pesi dei mezzi di trasporto sfruttando la spinta di Archimede delle barche. Una schematica classificazione teorica del brivido di passaggio: il pedone attraversa il ponte con agio, guardando la corrente che passa e godendosi la consistente natura del tavolato ligneo; il ciclista si preoccupa solo dei sobbalzi e del tenere diritto il manubrio; il motociclista semplicemente decelera un poco, ma non possiede stazza sufficiente a creare timori; la carrozza tutt'al più sobbalza svegliando i passeggeri ("Si appisolò dopo Suzzara e si risvegliò al risonare dei passi del cavallo sopra il ponte gettato sul Po; erse la testa, guardò stupefatto l'acqua lutulenta che travagliava tra chiatta e chiatta e fuggiva canterellando [...]"16), è solo con l'automobilista che si entra in un blando dominio del timore, con le assi del ponte che tremano e si lamentano ad alta voce schiacciate dal peso al passare delle ruote. Ed è il guidatore di camion, infine, che si avventura con timore sulla struttura galleggiante cercando di ricreare l'equivalente motorio di un leggero passo felpato.

[...]

Una prospettiva inedita che, spostando l'ottica di osservazione, delinea una diversa identità del ponte è quella di chi naviga. L'approccio è, in un certo senso, capovolto: non si tratta più di attraversare il fiume indirizzandosi sulla direttrice del ponte, ma di seguire il flusso del fiume e "attraversare il ponte" trasversalmente. I ponti di chiatte dovevano essere aperti in una loro sezione per far passare barche di una certa dimensione ("A Guastalla dovettero staccare quattro chiatte del ponte per lasciarci passare" ricorda Zavattini nel suo Viaggetto sul Po, 1963), ma i barchini da pesca potevano passare da un pertugio appositamente predisposto, senza dover interrompere il traffico.

Ci dà una testimonianza di questa prassi navigatoria ed insieme di ginnastica nautica Mario Bonfantini (Novara, 1904 - Torino, 1978). La sua navigazione avviene in un contesto storico particolare, durante la seconda guerra mondiale, per la precisione nel 1944. Il suo viaggio sul Po si inscrive nell'attività resistenziale dell'Italia occupata, e serve a portare messaggi e informazioni da Milano a Bologna. La navigazione dura due giorni, da Santo Stefano Lodigiano, in sponda sinistra, a Sacca, nel parmigiano, in sponda destra. Il resto del percorso verrà compiuto in bicicletta. I paesaggi della guerra ribaltano i valori associati agli elementi del territorio. I ponti di barche, che di solito sono, per i naviganti, occasioni di soste, di incontri, tappe fisse della navigazione, nel contesto di un viaggio clandestino (il protagonista deve sembrare un pescatore locale) diventano pericolosi punti di controllo e di presidio militare, luoghi in cui il transito, sia sul ponte che sul fiume, viene controllato dalle autorità:

 

Il ponte di barche di San Nàzzaro mi riscosse. Un campanile invisibile suonava mezzogiorno. Vidi subito che c'era una sola sentinella, un tedesco con il fucile in spalla e la baionetta innestata (quindi un territoriale) che ciondolava indolente presso una spalletta: barche attaccate alla riva da una parte e dall'altra, una o due in movimento, e sul polveroso assito del ponte un certo traffico. Dunque c'era soltanto da preoccuparsi di seguir bene le istruzioni di Avesani: individuare, fra gli stretti spazi che intercorrono tra le coppie di chiatte affiancate, il varco un po' più grande ("Poco più di un metro, sai?! Dev'essere sulla sinistra per chi scende") riservato appunto alle barchette come la mia; indirizzarvi bene la prua, remare forte e dritto fin quasi al momento di infilarvisi dentro, e poi ritirare i remi e stendersi bocconi: "Perché i travicelli del ponte sotto cui devi passare, di solito son così bassi che non puoi fidarti nemmeno a stare seduto sul fondo della barca: devi buttarti giù!". Il più piccolo errore di manovra mi avrebbe mandato a sbattere contro l'uno o l'altro dei due "elementi" fra cui si apriva il varco, con la probabilità di un naufragio dalle più deleterie conseguenze... Era, in sostanza, l'unico rischio autentico di quel mio viaggio ma, per un novellino, abbastanza grave.

Infatti, mentre remavo svelto e vedevo avvicinarsi rapidamente quelle massicce prue di cemento alte e grigie, così paurosamente vicine l'una all'altra, mi batteva forte il cuore. Ma insomma, ce l'ho fatta; e quella vittoria mi diede più coraggio per il resto.17

 

[...]

La situazione si fece ancora più confusa e tragica durante l'ultimo periodo di guerra, in particolare negli ultimi giorni dell'aprile del 1945, quando molti soldati tedeschi trovarono la morte proprio nel disperato tentativo di attraversare il Po passando dalla sponda meridionale a quella settentrionale con i mezzi più disparati. Ce lo ricorda Zavattini nel testo di Un paese:

 

I ponti durante la guerra li hanno fatti saltare e quando arrivò il momento della ritirata i tedeschi sembravano matti perché non sapevano come passare di là; non c'erano barche, non c'era niente, molti correvano dai contadini a prendere tutto quello che galleggiava, le bigonce dove si pigia il vino, i mastelli del bucato. [...] Quelli di là chiamavano con quei gridi che vanno da una sponda all'altra lenti come cornacchie, e sono sempre sinistri, cosicché l'ansia di chi era ancora di qua cresceva e molti si buttavano in acqua su assi e fascine o vi entravano al galoppo coi cavalli e morivano.18

 

Il mondo dei traghetti è anche un mondo di precarietà, di transito, fatto di picchi stagionali e di personaggi mobili, che vanno e vengono in un brulicare di attività più o meno all'ombra della legalità. La marginalità dell'area golenale rende il fiume quasi una zona franca, in cui spesso si aggirano i membri della ligèra, della malavita di piccolo cabotaggio, quella che vive di furtarelli, espedienti, truffe. Il Po, i boschi di golena, le osterie sulla piarda, le barche galleggianti utilizzate come giacigli più o meno permanenti, sono elementi primari delle avvincenti narrazioni raccolte da Danilo Montaldi (Cremona, 1929 - Alpi Marittime, 1975) nel suo straordinario reportage etnografico Autobiografie della leggera (1961).19

[...]

Nell'ambito di quella civiltà contadina e rurale che si esprime in una straordinaria capacità di riuso dei materiali e della loro conservazione - quasi un'artigianale conferma della legge fisica del "nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma" - anche i materiali dei ponti di barche seguono quei destini di metamorfosi e di riutilizzo che Francesco Guccini (Modena, 1940) sintetizza nelle sue memorie d'immediato dopoguerra: "La guerra appena finita, perché è finita [...], ha lasciato dietro di sé un mucchio di materiali vari che, se opportunamente adattati, risolvono i mille problemi del nuovo vivere, come le casse, appunto, che ne disfi tre per farne una nuova a tenuta sicura con scritte da una parte in americano e dall'altra in tognino".20

Così anche i materiali dei dismessi ponti di barche confluiscono nel perenne riciclaggio materico e incontrano nuove forme di utilizzo. Una chiatta, ad esempio, può diventare abitazione:

 

Un grosso barcone di cemento del vecchio ponte in chiatte, ancorato al mostro di cemento che l'ha sostituito: su terrazzo bottiglie vuote [...], tegami e asciugatoi ad asciugare al sole, una piccola scaletta che conduce sul fondo all'imbocco della porta, all'interno una stufa a legna, che il fiume agli amici non fa mai mancare, e senza spendere; una tavola di pioppo, già vista in qualche osteria dei dintorni, che l'ha sostituita con un orrendo laminato plastico verde [...]. Attorno reti da pesca, oggetti di plastica, festoni da sagra, quadretti appesi alle pareti.21

 

Oltre al riuso dei materiali, che regala una sorta di seconda vita alle vecchie strutture di transito del fiume, le inerzie della storia assicurano a traghetti e ponti anche qualche sopravvivenza. Così nel basso corso del Po, fra Berra (Ferrara) e Villanova Marchesana (Rovigo), si trova ancora oggi un traghetto, che trasporta trattori, macchine, biciclette, pedoni e quant'altro da una sponda all'altra. Lo incrocia Ermanno Rea (Napoli, 1927), che per celebrare l'occasione ricama un sincero "elogio del traghetto":

 

Mi suggerisce di arrivare a Berra traghettando da lì sulla sponda veneta [...]. Ed eccomi a Berra. Traghettare è sempre un divertimento, un'avventura, perché lungo il Po si fronteggiano dappertutto mondi diversi, costumi, culture, gastronomie spesso senza alcuna parentela fra loro. E poi l'argine, si sa, è quasi sempre confine geografico. Sulla sua sommità si celebrano insomma tutti i riti della separazione, il che non concorre certamente a determinare, in chi abita da queste parti, una visione culturalmente omogenea del fiume ma, anzi, a frantumarlo in mille schegge.

Per il turista naturalmente nulla esclude che la frantumazione si traduca in allegria, in festa, o per lo meno in gioco: che ci sarà dall'altra parte? come si parlerà dall'altra parte? che cosa si mangerà dall'altra parte? come la penserà la gente dall'altra parte?

Ed eccomi, con la mia vecchia automobile, dall'altra parte.22

 

Nel delta si trovano ancora alcuni ponti di barche su diversi bracci del fiume. Nel medio corso c'è un piccolo ponte di barche non direttamente sul Po, ma appena scostato. Risalendo per circa un chilometro il corso di un suo affluente di sinistra, l'Oglio, si incontra infatti il ponte di barche di Torre d'Oglio, apparizione così inaspettata che si presta ad un'ambientazione da letteratura noir nel racconto Fantasmi a Borgoforte di Gianni Celati (Sondrio, 1937), che inizia con questa descrizione:

 

C'è una strada che a Borgoforte, provincia di Mantova, segue l'argine del Po fino ad un punto in cui il fiume Oglio si innesta nel Po, e lì sull'Oglio c'è uno dei rari ponti di barche rimasti in piedi, tra i tanti che esistevano in queste zone.

Questa strada non è asfaltata, tranne che per un tratto iniziale. Intorno ci sono molte vecchie case coloniche in rovina, altre ancora intatte ma non più abitate, e passando di lì dopo il tramonto è piuttosto difficile incontrare qualcuno, soprattutto nei mesi invernali quando quel viottolo sassoso lungo il fiume è avvolto nei banchi di nebbia.23

 

Il patrimonio letterario contribuisce a far sopravvivere, nella memoria, queste immagini fluviali d'antan e, nella realtà, ad apprezzare queste eredità sporadiche - veri e propri "fossili viventi" - della storia. I traghetti e i ponti di barche erano e sono legati ad un sistema di trasporti in cui il tempo viene misurato in termini meno nervosi e le distanze conservano uno spessore spaziale tangibile. In parallelo all'iconografia artistica e fotografica, il "c'era una volta" narrativo ("A Sermide un tempo esisteva un ponte di barche che attraversava il Po e portava a una fabbrica con ciminiere di mattoni non ancora anneriti"24) contribuisce a moltiplicare le immagini di una memoria che, per galleggiare durante il traghetto tra i vissuti individuali e la condivisione collettiva della coscienza storica, si avvantaggia di ogni mezzo a disposizione, anche dell'elaborazione letteraria, sempre pronta a miscelare testimonianza, invenzioni, riscritture, omissioni, ricreazioni.

 

Note

(1) F. Miani Uluhogian, Oltre i confini. Strategie di genti e di poteri, con la collaborazione di M. Dall'Acqua, Parma, PPS, 1996, p. 9.

(2) L'unico "florilegio pontiero" letterario di mia conoscenza è il paragrafo "I ponti del Po" contenuto in G. Negri, I misteri della Bassa per terra acqua aria fuoco. Antologia della civiltà letteraria padana del Novecento, Messina-Firenze, D'Anna, 1982, pp. 222-233. Per alcune esemplificazioni di analisi del mestiere di pontiere all'interno del secondo genere narrativo sopra menzionato, quello delle interviste e delle inchieste etnografiche, cfr. Storie del Po, a cura di L. Beduschi, Mantova, Sometti, 1999, pp. 123-125; D. Papotti, Il pontiere, in Gli uomini del fiume. I mestieri del Po, a cura di E. Azzi e A. Salarelli, Mantova, Sometti, 2000, pp. 23-40.

(3) F. Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, Torino, Einaudi, 1993.

(4) G. Negri, I misteri della Bassa per terra acqua aria fuoco, cit., pp. 141-252; Il Po del `900 arte, cinema, letteratura, Bologna, Grafis, 1995, pp. 325-344; D. Papotti, Geografie della scrittura. Paesaggi letterari del medio Po, Pavia, La Goliardica Pavese, 1996, pp. 113-136.

(5) I. Calvino, Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972, p. 143.

(6) Anche se gran parte dei lavori della scrittrice, premio Nobel nel 1926, è ambientata nella natia Sardegna, Grazia Deledda scrisse tre romanzi (Nostalgia, 1905; L'ombra del passato, 1907; Annalena Bilsini, 1927) ambientati nella Bassa mantovana, terra che conobbe grazie al marito Palmiro Madesani, originario di Cicognara.

(7) G. Deledda, Annalena Bilsini, Milano, Mondadori, 1955 (prima edizione 1927), p. 9, p. 13.

(8) C. Zavattini, Opere 1931-1986, a cura di S. Cirillo, Milano, Bompiani, 1991, p. 779. Il poemetto Toni Ligabue venne pubblicato per la prima volta nelle edizioni Franco Maria Ricci di Parma nel 1967, poi fu ripubblicato a Milano presso Scheiwiller nel 1974, poi da Bompiani nel 1984. In altri punti della sua multiforme e copiosa produzione Zavattini sfiora il tema della scomparsa dei ponti di barche. Fra le altre occasioni l'introduzione ad un libro di un accanito ricercatore storico recentemente scomparso: "Adolfo Ghinzelli è di Viadana, il cui lungo ponte una volta era di barche e adesso di cemento armato" (C. Zavattini, Opere 1931-1986, cit., p. 981).

(9) G. Ceronetti, Viaggio in Italia, Torino, Einaudi, 1983, p. 201.

(10) D. Zanasi, Lettere d'amore al Po, in D. Zanasi - E. Quiresi, Il fiume della memoria. 50 anni di storia del Po dal Monviso al Delta, Cremona, Tipolitografia Fantigrafica, 2000, senza paginazione.

(11) A. Bartoli, Battello pazzo. Racconti, piccole storie e altri versi, a cura di D. Papotti, Reggio Emilia, Diabasis, 2000, p. 71.

(12) A. Panzini, La lanterna di Diogene, in Sei romanzi fra due secoli, Milano, Mondadori, 1943 (prima edizione 1907), pp. 8-9.

(13) C. Zavattini, Opere 1931-1986, cit., p. 608.

(14) Ibidem, p. 458. Paul Strand, fotografo statunitense (New York, 1890 - Orgeval, 1976) formatosi nella città natale alla scuola di Alfred Stieglitz, si recò a Luzzara per lavorare al progetto del volume Un paese, che uscì per i tipi di Einaudi nel 1955, con testi di Zavattini.

(15) Ibidem, p. 736.

(16) Il passo è di Adone Nosari (Tabellano, Mantova, 1876 - Mendoza, 1957), dal romanzo Gran mondo del 1926 (in A. Ghinzelli, Vecchia Padania. Il Po, presentazione di C. Zavattini, Viadana-Mantova, Castello, 1987, p. 21).

(17) M. Bonfantini, Sul Po, Torino, Einaudi, 1974, pp. 60-61.

(18) La citazione è tratta da G. Negri, I misteri della Bassa per terra acqua aria fuoco, cit., p. 227.

(19) D. Montaldi, Autobiografie della leggera, Torino, Einaudi, 1961.

(20) F. Guccini, Vacca d'un cane, Milano, Feltrinelli, 1993, p. 9.

(21) A. Bartoli, Battello pazzo, cit., p. 70.

(22) E. Rea, Il Po si racconta. Storie di uomini, paesi, città dal Delta al Monviso, Roma, Gambero Rosso, 1990, p. 84.

(23) G. Celati, Narratori delle pianure, Milano, Feltrinelli, 1985, p. 60.

(24) Ibidem, p. 81.

 

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