Rivista "IBC" X, 2002, 3
biblioteche e archivi / didattica, storie e personaggi
Con l'introduzione del sindaco di San Lazzaro di Savena, Aldo Bacchiocchi, pubblichiamo un estratto del volume Per non cancellare una storia (Bologna, Edizioni Consumatori, 1998), antologia delle ricerche svolte dalle classi quinte della Scuola elementare "Pezzani" e della Scuola elementare "Donini", e terze della Scuola media "Jussi-Rodari".
Nel corso degli ultimi vent'anni l'attività svolta dagli archivi storici comunali è andata progressivamente trasformandosi, prestando sempre maggiore attenzione ai temi della valorizzazione del materiale storico posseduto. Gli articoli apparsi nell'ultimo decennio sulle riviste specializzate evidenziano, in maniera particolarmente efficace, quanto, tra gli operatori del settore, sia cresciuto il dibattito sulle attività fondamentali da svolgere per promuovere gli istituti e i loro patrimoni documentari; una riflessione che ha portato alla individuazione di tre principali ambiti d'intervento: permettere un uso attivo del materiale storico anche da parte dei "non addetti ai lavori"; rendere maggiormente visibili i luoghi di conservazione e di studio; porre la massima attenzione al pubblico, anche non istituzionale, e ai suoi bisogni conoscitivi e informativi.
I primi passi concreti in questa direzione furono mossi, negli anni Ottanta, da alcuni istituti storici comunali e di Stato che puntarono alla realizzazione di una didattica degli archivi, ovvero di attività volte all'avvicinamento progressivo all'archivio e a un uso strumentale dei documenti posseduti, trattati però come cimeli museali, da mostrare più per colpire l'immaginario collettivo che per spiegarne l'uso pratico nella ricerca storica. Nel tempo questo approccio si è arricchito e diversamente connotato, così che si parla ormai di una didattica negli archivi, intendendo con ciò un ribaltamento dei ruoli tra archivio e documento: un approccio che prevede l'impiego virtuoso dell'istituto e dei suoi strumenti per compiere un vero e proprio itinerario di ricerca storica locale che valorizzi le carte conservate. L'attenzione, quindi, si è andata spostando dal contenitore al contenuto e le esperienze svolte in collaborazione con le scuole medie ed elementari stanno offrendo spunti interessanti per un ripensamento del rapporto tra didattica della storia e fonti disponibili per la ricerca.
Con questa consapevolezza, ma anche con la disponibilità a divenire partner di una "sperimentazione" didattica che vede nelle scuole d'ogni ordine e grado gli attori principali, l'Archivio storico comunale "Carlo Berti Pichat" di San Lazzaro di Savena (Bologna) ha, da un quinquennio circa, avviato un intenso programma di attività volto alla promozione del materiale storico conservato: ultima tappa, in ordine di tempo, di un percorso di valorizzazione del bene archivistico iniziato nel 1993 con l'avvio di un progetto pluriennale di riordino e inventariazione della documentazione storica. Progetto che ha portato alla pubblicazione cartacea dell'inventario (a cura di Mauro Maggiorani, direttore dell'Archivio comunale, e di Giampiero Romanzi del Servizio archivistico metropolitano della Provincia di Bologna), all'apertura di un servizio di consultazione, all'attivazione di rapporti costanti con l'Università e con le scuole di diverso ordine e grado, nonché all'allestimento di un sito internet (www.comune.sanlazzaro.bologna.it/archivio/setdiframarchivio.htm) e alla fondazione di un annale di studi storici locali ("Quaderni del Savena") giunto ormai al suo quarto numero.
Menzione particolare meritano i laboratori in corso di svolgimento da diversi anni sia con le scuole elementari che con le medie inferiori. Si tratta di una serie di attività strutturate in più giornate, che partendo da un tradizionale percorso di visita (fondamentale per innescare un primo contatto tra istituto culturale e scuola, nonché passaggio basilare per avvicinare le generazioni più giovani ai luoghi e agli strumenti archivistici), lascia poi che siano le classi (alunni e insegnanti) a individuare propri percorsi di approfondimento. Tutto questo senza tralasciare il programma generale di studi, ma anzi proprio a partire dai manuali in uso, che consentono di giungere a confrontare la microstoria con i grandi avvenimenti: facendo sì, però, che questi vengano collocati sullo sfondo, a vantaggio degli uomini (come singoli o come collettività), delle vicende di vita, delle passioni, delle imprescindibili necessità quotidiane. La dimensione locale della storia diviene, dunque, protagonista di esperienze che trasformano gli archivi da depositi di vecchi documenti a "fucine della storia".
In questo contesto va collocato il concorso scolastico "Per non cancellare una storia", rivolto agli studenti di quinta elementare e di terza media, iniziativa promossa tre anni fa e volta a favorire la riappropriazione, da parte delle generazioni più giovani, dell'identità storico-culturale cittadina. I risultati dell'indagine sono stati più che soddisfacenti; l'esperienza, infatti, ha favorito la crescita di un senso di appartenenza alla realtà civica nella quale noi tutti, in modi e con ruoli diversi, siamo inseriti e nella quale si svolge la nostra vita di relazione. Peraltro la Coop Adriatica ha creduto nell'esperienza sostenendo (con il coordinamento editoriale di Tito Cortese) la pubblicazione delle parti più significative di un lavoro che, nel suo complesso, ha coinvolto oltre duecento persone. È così uscito il volume Per non cancellare una storia. San Lazzaro di Savena negli anni della guerra, antologia delle ricerche svolte dalle classi quinte della Scuola elementare "Pezzani" e della Scuola elementare "Donini", e terze della Scuola media "Jussi-Rodari".
Quale è il contenuto del volume? In generale possiamo dire che le ricerche rievocano episodi accaduti a San Lazzaro una cinquantina di anni or sono. Si tratta di vicende spesso minori, legate all'ambito municipale o alla sfera strettamente privata delle persone coinvolte; nondimeno queste storie possiedono un interesse che travalica il dato locale, poiché si tratta di esperienze vissute e condivise da centinaia di migliaia di altre persone, sparse in paesi simili al nostro. A tenere insieme tutto, infatti, è la realtà terribile della guerra.
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Presentazione
L'elaborato redatto dalle classi quinta A e quinta B della Scuola "Pezzani" è costituito da un album in cui sono state riportate alcune pagine significative del diario di don Andrea Biavati, integrate ed arricchite da testimonianze, documenti, foto, illustrazioni. Si conclude con una raccolta di commenti ed impressioni degli alunni, relativi all'esperienza svolta e allo studio della seconda guerra mondiale.
I ragazzi hanno estratto dalle cronache parrocchiali di don Biavati, parroco di San Lazzaro di Savena in quegli anni difficili, le pagine in cui sono stati narrati alcuni eventi che hanno lasciato un segno nella storia del nostro Paese. Hanno poi rintracciato persone, menzionate nel diario, che hanno vissuto con lui quegli eventi e l'hanno conosciuto bene. Attraverso le pagine lette, i racconti che i protagonisti hanno generosamente donato venendo in classe a portare le loro testimonianze, i documenti di vario genere (filmati d'epoca, foto da album privati, immagini, scritti, ...), il film di Comencini Tutti a casa, hanno ricostruito la storia locale e nazionale recuperando anche gli aspetti quotidiani e il profilo della figura di don Biavati.
Per motivare il lavoro e trovare un collegamento al periodo storico che si stava trattando ad inizio quinta (San Lazzaro nel Medioevo), si è partiti dalla visita agli antichi edifici: l'ex ospedale dei lebbrosi (l'attuale Palazzone) e i sotterranei del Palazzo comunale. In quell'occasione si è appreso dell'esistenza dell'antica chiesa parrocchiale, andata distrutta nel bombardamento del 15 aprile 1945 che ha pure gravemente danneggiato i sotterranei e l'ex ospedale.
Le fonti da cui si sono reperite queste informazioni sono costituite dalle svariate lapidi che don Biavati ha lasciato nei siti in cui esistevano gli edifici. Ma chi era don Biavati?
Per saperne di più è stato interpellato don Domenico Nucci, attuale parroco, che ricevendo le classi in canonica, ha mostrato loro un documento interessantissimo, un diario, che don Biavati ha scritto per lasciare traccia degli avvenimenti principali accaduti in paese nel periodo in cui ha retto la parrocchia di San Lazzaro. È partito così il viaggio fra le pagine di quel diario, iniziando dal bombardamento, per poi arrivare a ricostruire quegli anni di storia.
La ricerca ha interessato diversi ambiti disciplinari: storia, studi sociali, religione, impegnando le classi da ottobre a febbraio mediamente per quattro ore settimanali. Gli obiettivi didattico/educativi possono essere riassunti: a) conoscere e capire gli avvenimenti e i personaggi riferiti al periodo della seconda guerra mondiale a San Lazzaro di Savena; b) prendere coscienza di alcuni valori fondamentali per una società civile come la pace, la democrazia, il rispetto reciproco; c) essere consapevoli dell'importanza dell'impegno personale per tutelare la salvaguardia dei suddetti valori.
I ragazzi hanno partecipato attivamente nella ricerca dei documenti e delle persone nominate nel diario, nella preparazione delle interviste, nell'organizzazione del materiale raccolto e nella sua stesura successiva, lavorando individualmente e per gruppi. Le testimonianze sono state ricche e sentite. Fra le persone intervenute ci sono stati nonni, famigliari e conoscenti. Alcuni, non potendo venire personalmente, hanno inviato le loro testimonianze per iscritto. L'ultima sezione dell'elaborato riporta alcune delle considerazioni espresse dagli alunni. Vi traspare l'interesse suscitato, la profondità degli stimoli promossi e un "seme" di spirito critico.
Le insegnanti
(Maria Alessandra Babina, Loredana Ferrini, Cristiana Pesaresi)
[...]
I bombardamenti
Dal diario di don Biavati
La guerra si avvicina
Sotto la Chiesa parrocchiale vi è un antico fornice, che in antico serviva di passaggio fra il Convento di San Lazzaro e l'Ospedale dei lebbrosi, oggi detto "Palazzone", che passa sotto la Via Emilia; il Comune lo fa sterrare e ne viene ricavato un grande rifugio per le eventuali incursioni aeree. Anche dalla villa Laura Rodriguez, l'Amministrazione ne costruisce un altro, così pure alla villa Maccagnani, alla Casa Donini, alla casa Canetoli-Pollastri, alla Fornace, alla Fiorentina, al ponte Savena.
Si chiude Bologna 1944
I bombardamenti si intensificano, più nel centro della campagna che nella città; non si è più sicuri neppure a San Lazzaro, tutti scappano in città, perché si è sparsa la voce che è dichiarata "città bianca" e tutti corrono con masserizie ed armenti a Bologna. Le cannonate arrivano sulla Via Emilia.
Passano i profughi: spettacolo miserando!
In quell'anno 1944, da inverno ad inverno, incomincia il passaggio dei profughi: vanno in parte verso la città, in parte oltre, nella speranza di salvarsi dal fronte che si affaccia dall'Appennino, sulla Via Emilia. Che fare di fronte a tanta miseria? Il parroco, i contadini rimasti, danno tanto grano, diversamente, non saprebbe a chi venderlo. Ed allora egli fa macinare al Mulino di Russo, ancora in efficienza, quintali di frumento. Coadiuvato dalla vecchia mamma, si confezionano in parrocchia e si mandano a cuocere, all'unico forno rimasto aperto, "grandi pagnotte" che vengono date in carità ai profughi che passano sulla strada. In canonica, in quegli inverni, il fuoco è sempre acceso giorno e notte: la legna non manca. Si fermano lì i profughi per un respiro, un pane, ed un piccolo riposo.
Estate 1944: le prime vittime delle bombe
Una bomba in Comune per la presa di Roma
Arriva la "Todt"
Nel primo bombardamento su San Lazzaro rimangono vittime due parrocchiani: Albino Ramazzotti e Romeo Cevolani. Una bomba durante la notte viene dai "repubblichini" gettata nel cortile del Comune, che arreca grande spavento e non pochi danni, fatti riparare alla meglio subito dal parroco. Arriva poi la "Todt", guidata dai tedeschi, che deve preparare le trincee e le piazzole per una eventuale resistenza sulla via Emilia: una parte dei parrocchiani rimasti deve prestarsi, ma in gran parte sono bolognesi, ingaggiati dai tedeschi.
Anno 1945 - il 15 aprile bombardamento su San Lazzaro
Ore 13,37 distrutta la chiesa parrocchiale
Ormai a San Lazzaro ci si sente sicuri; il fronte è passato. C'è una quiete, un'attesa speranzosa. È il 15 aprile; verso mezzogiorno, compare Ezio Raimondi, che era interprete presso i tedeschi, e mi dice: "La guerra è già finita, il Comando tedesco è già partito, io me ne ritorno a casa". "Bene", dissi io, "rimani intanto con noi a pranzo". Rimase, avevamo appena finito, che si sentì il rumore caratteristico degli apparecchi e contemporaneamente il segnale dell'allarme. Scendemmo in rifugio. Uno schianto, un terremoto infernale... un buio pesto. Poi un silenzio agghiacciante. Ancora vivi, per grazia di Dio, risalimmo. Spettacolo orribile; la chiesa era un cumulo di macerie fumanti. A tentoni, perché una nuvola di polvere aveva oscurato il sole pienamente, io e Raimondi scavalcammo le macerie, buttammo da parte, come potevamo, travi e pietre, e rinvenimmo intatto nel tabernacolo, che era ancora intero, il Santissimo Sacramento. Lo portammo in rifugio, quivi si è adunata altra gente; ci mettemmo a pregare; diedi l'Assoluzione a tutti e la Santa Comunione. Si sentì un altro schianto, un'altra scossa, come di terremoto, la seconda ed ultima, poi silenzio. Dopo una certa attesa uscimmo; il palazzo del Comune, era crollato per metà; il campanile pure, il "Palazzone", ex ospedale dei lebbrosi, un cumulo di macerie, tutte le case intorno al Comune, come rase al suolo. Anche la periferia era tutta una maceria.
Le vittime: la signora Anna Prandini, rimasta sotto le macerie della Chiesa parrocchiale, l'intera famiglia Biancoli [composta] di ben cinque persone, rimasta tutta sotto le macerie del "Palazzone", la bimba Cavallari, rimasta soffocata dalla polvere sotto le macerie del portichetto davanti alla chiesa, la signorina Rosa Pollastri, vittima nella sua casa in Via Emilia.
Con l'aiuto dell'UNPA, venuta subito da Bologna, furono estratti i corpi delle vittime. Il parroco diede loro l'assoluzione e furono portati, senza feretro, al cimitero, e seppelliti in due buche scavate dalle bombe, cadute anche là, nel medesimo giorno. La sera di quel giorno, non essendovi ormai più quasi nessuno in paese, il parroco, accompagnato dal dottor G. Berti, medico condotto, venuto dalla città per prelevarlo, fece con la mamma una breve visita ai suoi famigliari, che si erano rifugiati in via D'Azeglio. Racconta la terrorizzante incursione: i suoi lo trattengono, ma dopo due giorni egli fa ritorno a San Lazzaro con la mamma.
Non c'è che qualche famiglia, fra le quali i Samoggia, i Canetoli-Pollastri, i Mingardi, i Selvatici, e qualche altra.
Il parroco si mette in due stanze a pianterreno, le uniche rimaste in piedi della canonica, con i libri della parrocchia. Si comincia a scavare fra le macerie per ricuperare quello che si può. La maggior parte delle sacre suppellettili, compresi alcuni banchi, due confessionali e l'organo, erano stati portati in San Paolo Maggiore, accolti con tanta carità dal parroco don Schiassi, le suppellettili del Comune erano state portate nei locali della Provincia in via Zamboni, ma l'immagine venerabile della Madonna del Suffragio il parroco l'aveva voluta tenere a San Lazzaro, quale "presidio" in tanta e così lunga prova. Ora egli cercava quell'immagine angosciato, pentito di averla voluta trattenere, ma alla fine, oh! miracolo, venne trovata intatta fra le macerie. Il parroco, giubilante, senza badare al pericolo, suonò la campana, la gente si radunò, intorno alle macerie, ed egli fece vedere la bella Immagine: ancora intera, e disse: "Abbiamo ritrovato la Madonna"; fu detto l'Ave Maria, e portata nella stanza dove vi era l'altare provvisorio del Santissimo Sacramento. Temendo il crollo, il campanile sbrecciato e sfiancato venne puntellato con le lunghe travi tolte dalle macerie della Chiesa e del Comune. La campana può ancora suonare, ma l'orologio è fermo all'ora esatta del bombardamento: 13,37 del 15 aprile 1945.
Testimonianza di Ezio Raimondi
Ezio Raimondi, nato nel 1924, residente a Bologna, professore di letteratura italiana nell'Università di Bologna, presidente dell'Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna. La testimonianza è stata resa il 30 gennaio 1998. Qui viene riportata solo la parte riguardante specificamente il momento del bombardamento. L'intera testimonianza, durata quasi due ore, è stata videoregistrata e depositata presso la Scuola "Pezzani" e presso la Biblioteca comunale di San Lazzaro.
Quel 15 d'aprile andai a trovare don Biavati, come gli avevo promesso. Inforcai la bicicletta, pensando: "Ormai siamo vicini alla liberazione, è una bellissima giornata, godiamocela!". Io non mi ricordo, adesso, se ci fosse stata anche la messa e se don Biavati mi avesse invitato a pranzo. Può essere, sta di fatto che io ero in canonica con lui, a conversare, quando cominciò il bombardamento. Ci precipitammo nel cosiddetto "rifugio" (sotterraneo dell'antico palazzo comunale).
Quello che voi avete visto al cinema non dice niente di quello che è un bombardamento. Le bombe, srotolandosi, facevano come una specie di rosario in cielo; si sentiva una sorta di "sgranamento": era terribile; si capiva già che arrivavano addosso. Mentre dal basso i tedeschi sparavano, con i cannoni da 88, che, rinculando, davano anch'essi un rumore tremendo. Quindi c'era questo mondo di rumori. E poi, quando le bombe arrivavano, tutto si scuoteva.
Alla prima ondata di bombe la mia sensazione fu che il corridoio venisse come spostato. Mentre don Biavati era seduto, con intorno altre persone, io ero in piedi, non so perché, appoggiato ad uno di quei pali che venivano messi per puntellare i sotterranei. Ho dimenticato tante cose, come ho detto, ma questo invece è un ricordo fortissimo: il palo si spostò. Evidentemente a vent'anni si deve avere una sorta di disperazione vitale perché io ho ancora il ricordo di come, vicino al palo che scuoteva, avevo come il senso che l'avrei tenuto su. Il corridoio non era ampio: si salvò per questo.
Finì la prima ondata, i cannoni non sparavano più, c'era una specie di silenzio terribile. Una delle cose orrende in un bombardamento è il silenzio che viene subito dopo. È difficile da raccontare quel silenzio; se si esce poi da dove si era chiusi, si ha una sensazione altrettanto terrificante, perché gli edifici sgretolati danno un senso di polvere e di pietra distrutta, una strana sensazione che è nell'aria. L'aria diventa un poco impregnata di questa polvere, che è diversa dalla polvere della strada. E poi se c'erano, come c'erano, delle vittime, la pietra e la polvere si impastano con il senso del sangue. Nessun racconto, nessuna rappresentazione di immagine, può rendere questa sensazione. E tutto questo col silenzio.
Non ricordo perché don Biavati cominciò a piangere. Io lo accompagnai. Uscimmo da questa sorta di cantina e andammo verso la chiesa. Era lì di fianco. La chiesa era distrutta, era macerie. Solo l'altar maggiore, come in certi film, ma questa è la verità, era rimasto intatto. E don Biavati ritirò il Santissimo.
Ho anche questo secondo ricordo, che dice come possono sciogliersi certe situazioni quando le realtà sono così straordinarie. Mentre don Biavati piangeva, siccome giudicavo questo inutile, io, che non ho mai bestemmiato, credo di avere bestemmiato: perché non serviva a niente, dicevo io, piangere. Badate, non sto parlando di una situazione comune. Sto parlando di una situazione estrema, che è bene che voi non viviate mai, anzi non la vivrete mai per fortuna, avete soltanto delle immagini. In quel momento gli atteggiamenti consueti non servono più a niente. [...] In quel momento, così come prima credevo di tenere su il palo, così credo di aver aiutato don Biavati, anche proprio perché piangeva ed era un po' vacillante.
E quindi tornammo a scendere nel rifugio. E qui cominciò il mio dramma. Intanto portavano alcuni feriti perché la gente che era rimasta fuori era rimasta subito esposta alle schegge e ad altro. E ancora ricordo che arrivò un ferito sanguinante che piangeva, che dava il senso di come erano stati assurdi quelli che credevano di vedere uno spettacolo, mentre invece era un bombardamento che li riguardava così da vicino. "Accidenti! Come un topo resto sotto a questo bombardamento proprio mentre siamo liberati!". Nacque in me una specie di furore. E allora, sapendo che sarebbero arrivate nuove ondate, guardai i crateri, cioè le buche lasciate dalle bombe. Erano tutte intorno. "Se io riesco a correre di là dall'area dei crateri io me la cavo, poiché è verosimile che il bombardamento continui qui, sulla strada, sulla ferrovia". Da egoista, per un momento mi venne anche da dire: "Ma chi te l'ha fatto fare di venire oggi qui? Se tu restavi sulle colline, non ti succedeva niente." Ma questo non serviva a niente. Aggiungeva solo un po' di furore, ma di furore inutile. Alla fine dissi: "Be', torno come un topo dentro il rifugio", sapendo bene che era una gabbia e sapendo che l'alternativa era quella di cercare di liberarsi dal pericolo correndo.
Credo che le cose andarono avanti così per tre ondate, se ricordo bene. Con qualche altro ferito che arrivava, perché questo era uno dei luoghi che era rimasto intatto, finché il bombardamento finì. Ricordo che dissi a don Biavati che sarei tornato per un momento a Bologna, per avvertire i miei che mi ero salvato, e poi sarei tornato nel pomeriggio per aiutarlo a raccogliere quello che si poteva in mezzo alle rovine, alle macerie. E così feci, lo aiutai per alcune ore a raccogliere qualcosa fra le macerie e constatai quello che non avevo capito al mattino: ci eravamo salvati per puro caso, solo perché eravamo in quel corridoio così stretto.
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