Rivista "IBC" X, 2002, 2

Dossier: Un'estate che ricomincia

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, dossier /

Qualcosa è cambiato

Flavio Niccoli
[IBC]

Per riflettere sulle manifestazioni culturali estive, la loro collocazione nei luoghi dei centri storici e negli spazi verdi delle città, abbiamo ritenuto che uno spazio importante di questo inserto dovesse essere dedicato a una documentazione per immagini che restituisse silenziosamente i caratteri e la vitalità dell'incontro con l'estate.

La varietà delle situazioni che la storia ha saputo consolidare nel rapporto con il territorio, con i suoi tanti volti, conduce a proposte che si differenziano per stile e impatto con i beni culturali di cui la nostra regione è espressione. Su questi aspetti si sono concentrate le osservazioni, fra loro diverse nella valutazione del tema proposto, comunque nel segno unificante di un'interpretazione su quanto sta succedendo.

Voci diverse per opinioni diverse, che richiamano nostalgie per il passato o cercano nell'oggi le ragioni delle scelte.

 

Cominciamo dando la parola a Sandra Soster, già ricercatrice dell'IBC e assessore alla cultura del Comune di Bologna agli inizi degli anni Ottanta, quelli delle prime estati con gli spettacoli sotto le stelle.

 

Le estati romane inventate da Nicolini erano diventate modello di quella che fu chiamata la cultura dell'effimero, che avrebbe permesso di riconquistare i grandi spazi della storia, di recuperare quella socialità che stava assopendosi. Da dove muoveva nelle realtà della nostra regione, a iniziare da Bologna, quell'insieme di iniziative che avrebbe contribuito a rendere più viva la città soprattutto nella sua dimensione urbana, e che di lì a poco tempo sarebbe divenuto un'esperienza di rilievo della vita culturale di altri centri regionali?

 

Le manifestazioni culturali di quegli anni si collocavano nello spirito di quel piano di riscoperta, riappropriazione, recupero della città storica che portò il nome di Pier Luigi Cervellati, assieme alla salvaguardia degli spazi verdi e di tutta la collina di Bologna. La dimensione identitaria era ancora forte in quegli anni, ma l'apprezzamento dei beni culturali della città un fenomeno ancora elitario. Dopo le lacerazioni degli anni di piombo e l'emergere di nuove anime della città, specialmente nel campo della musica e della creatività giovanile, c'era forse bisogno di proporre sedi di riconoscimento comunitario e di commistione dei generi: la città che, in qualche modo, mette in scena sé stessa, i suoi abitanti, le sue vocazioni storiche assieme alle forze emergenti.

Paolo Monti ci aveva fatto rileggere dimensioni e spazi storici con le sue campagne fotografiche e Tito Gotti, parallelamente, riscopriva la musica in quegli spazi con le sue "Feste musicali": questi furono gli antecedenti di un'operazione che scatenò le polemiche contro l'effimero, ma che, specialmente a Bologna, non erano prive, esse stesse, di storia e di intenzioni un po' più serie.

Promuovemmo e organizzammo, con il contributo di realtà associative e cooperative culturali, spettacoli che erano prevalentemente gratuiti: nello stesso spirito della gratuità dell'autobus per gli anziani e dei musei per le scuole (che in quegli anni li adottarono come aule didattiche decentrate).

Ci interessava favorire un incontro fra i pubblici, fra le persone colte e informate e quelle che avevano difficoltà a partecipare alla vita culturale; con le prime proposte, siamo agli inizi degli anni Ottanta, speravamo di ridurre la frattura intervenuta coi tragici fatti del '77, contando sulla creatività, sulle sperimentazioni che alimentavano la ricerca nelle diverse espressioni dell'arte, sul dialogo fra produttori e consumatori.

Le manifestazioni piacevano, il pubblico aumentava, la città riconquistava, fra un concerto e uno spettacolo teatrale nella grande piazza o nel cortile di un museo, la funzione di luogo che favorisce la crescita di un'appartenenza comune. Nelle strade, nelle piazze, nei cortili, si respiravano nuove atmosfere: la luce artificiale li rivelava come straordinari scenari del gran teatro urbano. Penso al grande concerto dei Clash in piazza Maggiore o alla lectura Danctis di Carmelo Bene dalla torre degli Asinelli, con tutte le vie e le piazze adiacenti gremite di gente, o al giardino dell'ex Manifattura tabacchi con la musica elettronica, o al cortile di palazzo d'Accursio trasformato in sala cinematografica. Il pratone centrale dei Giardini Margherita ospitò un indimenticabile concerto per fuochi di Händel: ora c'è la mongolfiera che porta su e giù i turisti sopra una gettata di cemento_

 

Quali differenze si possono evidenziare tra quegli anni e il cartellone estivo di oggi?

 

Senza voler esprimer giudizi, che forse risuonerebbero di nostalgia per una stagione irripetibile, mi sembra che oggi si rifletta poco sulla specificità urbanistica e sociale dei luoghi in cui i progetti vengono realizzati e, soprattutto, che non ci sia più una regia e una committenza, con tutto il rischio della scelta che ciò comportava. Oggi tutto è un indifferenziato, plurimo appalto, che ricalca, in piccolo, ciò che è stato "Bologna 2000". Tante iniziative gradevoli e la possibilità di cambiare canale se non piace, come in un grande palinsesto televisivo in cui i luoghi della città sono semplici sfondi per le riprese: tanta apparente democrazia, poche scoperte, nessuna discussione.

Certamente oggi non esiste più la capacità di spesa che avevano gli enti locali tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, e non è più facile dare vita ad eventi culturali: i "grandi eventi" oggi sono altra cosa e ci sono società apposite che li organizzano, pret à porter.

Non è così solo a Bologna, credo siamo in presenza di un fenomeno che si manifesta in forme analoghe in molte città italiane. Forse, quello spirito lo si può ancora rintracciare nei piccoli paesi.

 

 

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