Rivista "IBC" X, 2002, 1
biblioteche e archivi / mostre e rassegne
Il rapporto iconografico fra libri/biblioteche e pittura non ha catturato i bibliotecari come li ha catturati il rapporto fra biblioteche e letteratura, biblioteche e fumetti e, soprattutto, biblioteche e cinema.1 Lo stesso non si può però dire del libro, oggetto che, con significati iconografici mutevoli per natura e rilevanza, ha, si può dire, accompagnato la storia della pittura occidentale, almeno dal Medioevo a oggi.
Ciò è dovuto evidentemente alla possibilità, connaturata all'oggetto singolo "libro" o a piccoli gruppi di libri, di assumere funzioni simboliche di carattere religioso e spirituale e, successivamente, culturale e sociale (soprattutto nella ritrattistica dal Rinascimento in poi), ovvero funzioni connotative a livello psicologico o ambientale (soprattutto nella ritrattistica e nella pittura di genere dal Sette-Ottocento a oggi, ivi comprese le nature morte con libri), laddove la raffigurazione di esterni o interni di biblioteche non poteva forse andare oltre una funzione puramente decorativa e scenografica.
Le immagini forse più note, la celeberrima Libreria del Crespi (1710, Bologna, Civico museo bibliografico musicale), e il non meno noto Topo di biblioteca di Spitzweg (1850 circa, Schweinfurt, Sammlung Georg Schafer), confermano in qualche modo tale sensazione. La prima, con l'occupazione totale dello spazio del dipinto da parte delle scansie piene di libri e altri oggetti, non natura morta ma veduta perfettamente frontale di una libreria composta di otto scansie, crea un'atmosfera vagamente surreale, con i quattro lati della libreria che fungono in pratica anche da cornice interna al dipinto, come accade in certe vedute surreali di Pierre Roy degli anni Trenta del Novecento. Nell'altro, non dissimilmente che in altre figure o situazioni di genere eseguite da Spitzweg (si pensi al Poeta povero del 1839, Berlino, Nationalgalerie), è l'ambiente ad essere in funzione della figura, del personaggio rappresentato.
I due citati, insieme al celebre bibliotecario di Arcimboldo (Il bibliotecario, 1566 circa, Stoccolma, Skoklosters Slott, Styrelsen) sono i tre dipinti forse più noti e "popolari" aventi per oggetto biblioteche e bibliotecari. Ma la storia dell'iconografia libraria nella pittura occidentale è ben più lunga e antica e il suo percorso è stato ricostruito con molta passione e finezza da Alma Gattinoni e Giorgio Marchini.2
Si va da un Medioevo che presenta immagini di libri e di biblioteche, in funzione assolutamente ed esclusivamente simbolica e ammonitrice (libri come portatori di verità), a un Rinascimento che mostra il processo di trasformazione dell'oggetto libro in icona delle tensioni umanistiche prima e dello status symbol poi. Il Seicento, con le sue "nature morte con libri", con figure di studenti pigri e distratti ritratti accanto a libri sparsi in disordine su un tavolo, o addirittura addormentati sul libro che stavano studiando, ci avvicinano, sia pure per contrasto (essi non leggono, anzi.) a un soggetto che entrerà, nel Settecento, nell'iconografia del libro, per non uscirne praticamente più fino ai giorni nostri: la lettura, i lettori e, forse soprattutto, le lettrici, cosa molto significativa dal punto di vista delle nuove abitudini sociali e culturali portate dal secolo dei Lumi.
La lettura come emozione e piacere (dai romantici Spitzweg, Eybl, Hayez, Daumier, agli impressionisti Renoir, Manet, a Van Gogh) accelera in modo definitivo il processo di affrancamento dell'iconografia del libro e della lettura da ogni sia pur minimo e residuale pudore, culturale e morale. Il Novecento ricomprende in pratica tutti i significati che il libro ha di volta in volta assunto nella storia della pittura occidentale, sia pure con connotati, non solo figurativi, talvolta esasperati, fino ai libri "negati" e senza identità di De Chirico e a quelli ormai scompaginati e stravolti nella forma e nella dimensione di Gris, Klee e Picasso.
Anche i rapporti fra cinema e libri sono incredibilmente fitti e complessi. L'elemento fondante del rapporto si ritrova nello stesso statuto formale del cinema, sintesi di arti, linguaggi, tecniche, suggestioni sensoriali senza precedenti nella storia della cultura e della produzione artistica, se si eccettua forse il teatro in musica e in particolare il melodramma ottocentesco.
Il rapporto, originario, fra letteratura e cinema, il ruolo della sceneggiatura e dei dialoghi, l'immagine dei libri, della lettura, della lettura e degli scrittori, delle librerie, delle biblioteche nel cinema sono solo alcuni degli aspetti di questo grappolo di relazioni. Per soffermarci solo sull'ultimo, quello che dà il titolo, se non il tema dominante (che rimangono il libro e i lettori) al ciclo di Miria Malandri, si può provare ad andare oltre i topoi e i riferimenti citazionali e ambientali (peraltro puntualmente inventariati da un recente, documentatissimo saggio di Dario D'Alessandro).3
Le chiavi di lettura più interessanti dell'immagine delle biblioteche nel cinema fanno riferimento al concetto di libertà e a quello di memoria. Nei film dove la biblioteca si presta a contenuti simbolici e "ideologici", alti e positivi, ovvero degenerati e negativi, ma anche in quelli, non a caso spesso classificabili fra i thriller o i polizieschi, nei quali la biblioteca è presentata come il luogo naturale a cui attingere informazioni decisive per sciogliere enigmi, anche i più drammatici, o per mutare il corso degli eventi narrati, risalta un'idea: la biblioteca come luogo della memoria, passata e presente, memoria da trasmettere, da occultare o da distruggere.
Tra i primi si possono ricordare:Toute la mémoire du monde (Alain Resnais, Francia, 1955, film-documentario) il primo, e non solo in ordine di uscita, dei film nei quali il luogo "biblioteca" si associa a concetti come "memoria", "tutto", "mondo"; Quarto potere (Orson Welles, USA, 1941); Al centro dell'uragano (Daniel Taradash, USA, 1956); Fahrenheit 451 (François Truffaut, Francia, 1966); Zardoz (John Boorman, USA, 1974); Rollerball (Norman Jewison, USA, 1975); Orwell 1984 (Michael Radford, GB, 1984); Il nome della rosa (Jean-Jacques Annaud, Francia-Italia-RFT, 1986); Il cielo sopra Berlino (Wim Wenders, RFT, 1987), cui la Malandri dedica quattro delle tele esposte; L'ultima tempesta (Peter Greenaway, GB, 1991). Fra i thriller e i polizieschi vanno segnalati almeno L'ombra del dubbio (Alfred Hitchcock, USA, 1943); Il grande sonno (Howard Hawks, USA, 1946); Sono un agente FBI (Mervyn LeRoy, USA, 1959); I tre giorni del condor (Sidney Pollack, USA, 1975); Tutti gli uomini del presidente (Alan J. Pakula, USA, 1976); Ritorno al futuro III (Robert Zemeckis, USA, 1990); Seven (David Fincher, USA, 1995).
Proprio sui temi della memoria e della libertà nei loro sensi più lati e comprensivi si può concludere ricordando il film per ragazzi (ma non solo) Pagemaster, cult per (molti) bibliotecari per ragazzi, snobbato dalla critica cinematografica, in cui trionfa l'immagine della biblioteca che, conservando la memoria del mondo e i tesori dell'immaginazione, aiuta a liberarsi dalle paure e a credere ancora, in piena e perdurante rivoluzione telematica e multimediale, nell'utopia della funzione insostituibile del libro. Il concetto è delicatamente e splendidamente espresso dall'ammonimento rivolto con insistenza al piccolo Richard dal bibliotecario Dewey (un nome scelto non a caso): "Ricordatelo sempre: quando sei in difficoltà, chiedi aiuto ai libri".
Note
(1) Per approfondire l'argomento si rimanda al saggio di Rino Pensato incluso nel catalogo della mostra: La biblioteca dipinta. Un ciclo pittorico di Miria Malandri, a cura di O. Piraccini, Bologna, IBC - Editrice Compositori, 2001 (IBC - Immagini e documenti - Soprintendenza per i beni librari e documentari).
(2) A. Gattinoni - G. Marchini, Il libro dipinto, Lecco, Periplo Edizioni, 1998.
(3) D. D'Alessandro, Silenzio in sala! La biblioteca nel cinema, presentazione di M. Morandini, Roma, Associazione italiana biblioteche, 2001.
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