Rivista "IBC" IX, 2001, 2

musei e beni culturali / pubblicazioni

"Apparire" nel '400

Iolanda Silvestri
[IBC]

Le forme dell'"apparire", ovvero la moda della società riminese della prima metà del Quattrocento, indagata in ogni sua espressione visiva, è il tema conduttore del bel libro di Elisa Tosi Brandi, giovane medievista e profonda conoscitrice di storia locale.

L'universo moda, allora come oggi più praticato che studiato, viene affrontato principalmente attraverso lo spoglio delle carte d'archivio di riferimento, leggi suntuarie, statuti e atti notarili (elenchi dotali e patrimoniali, prestiti e compravendite), messe in relazione con le testimonianze iconografiche dipinte dell'epoca (Piero della Francesca, Ghirlandaio).

Purtroppo la non sopravvivenza di reperti vestimentari antichi di quel periodo, presenti solo in qualche rarissimo esemplare nelle collezioni pubbliche e private, non ha permesso all'autrice di azzardare esami comparativi diretti tra le fonti documentarie scritte e quelle materiali.

Ben diversa, invece, risulta la consistenza del patrimonio tessile del periodo in questione, presente ancor oggi in un discreto numero di indumenti (liturgici) e di frammenti nelle chiese e nei musei, settore che, per la complessa natura tecnica dell'argomento, richiede competenze specialistiche diverse da quelle dell'autrice.

La vanità dell'apparire della società riminese tra 1400 e il 1468, nel periodo compreso tra la fine della signoria di Carlo Malatesta e la dominazione del nipote Sigismondo (1432-1468), non inferiore per lusso e pompa a quella delle corti italiane ed europee del periodo, viene messa letteralmente "a nudo" dalla studiosa che nel gioco di vestire e svestire alcuni esponenti delle categorie più facoltose e benestanti, documentate dagli inventari notarili (mercanti e artigiani in testa, cui seguono insegnanti, intellettuali, militari), permette al lettore di sbirciare nel guardaroba di questi personaggi e di capire in base alla foggia d'abito, al colore e al genere del tessuto (unito od operato in seta, lana e cotone) con cui è confezionato, al numero di capi e di accessori posseduti o presi in affitto per cerimonie particolari, il ruolo sociale ricoperto da ciascuno di loro.

La guardaroba maschile e femminile menzionata è la stessa in uso in Italia tra il tardo Medioevo e il primo Rinascimento e si caratterizza per due capi d'abbigliamento distinti, uno stretto e più modesto (camicia, camurra e cotta per le donne; camicia e farsetto per gli uomini), nascosto del tutto o in parte da quello esteticamente più importante e ricco di ornamenti, esibito al di sopra, più ampio e lungo, con o senza maniche (pellanda, giornea e mantello per le donne; veste e/o vestito, giornea e mantello per gli uomini). Parti d'abito importanti come le maniche intercambiabili di colore e stoffa diversa dal resto dell'abito, o come le calze solate e non multicolori, finiture in pelo più o meno pregiato (zibellino, martora, lince, vaio, volpe, lupo, faina e agnello) nei colli, ai polsi o come fodere dei "capi di sopra", accessori come i copricapi (berrette, cuffie, veli), cinture ed acconciature in tessuto a turbante (balzi), trecce posticce (coazzoni) ornate da gioielli distribuiti anche sulle cinture o come fermezze di mantelli, oltreché sugli incarnati, contraddistinguevano il rango sociale più o meno elevato di chi li indossava, a seconda del pregio e della quantità.

Su tutto e su tutti dominava incontrastato e inavvicinabile il signore della città, Sigismondo, che possedeva un luogo deputato per i suoi numerosi e preziosi abiti, la "stanza dei panni", e che non disdegnava affatto l'esibizione dello sfarzo e della pompa dentro e fuori dalla corte, a dispetto dei vincoli imposti dalle leggi suntuarie. La posizione di Sigismondo nei confronti di questa normativa (strumento di controllo dell'ambizione economica e sociale del signore e della classe dominante garantito da deroghe a favore di entrambi), rappresenta un segno di distinzione e di identificazione della signoria riminese, insieme alla possibilità di miglioramento sociale di alcune categorie che da manovalanza stipendiata potevano diventare artigiani proprietari di botteghe, ad esclusione comunque e sempre delle donne che continuavano a ricoprire un ruolo marginale nell'economia relegato alla manutenzione domestica della guardaroba.

Come giustamente rileva Pier Giorgio Pasini nell'introduzione, "il libro è efficace e piacevole sia per come è condotto e strutturato, sia perché parla di cose concrete": si spazia infatti dall'abito all'accessorio, delineando le attività artigianali che li hanno prodotti (dal tintore, dal tessitore, dal ricamatore, dal cimatore di panni, al sarto, all'orafo, al calzolaio e al mercante), coniugando tra loro aspetti diversi e variegati della vita quotidiana con la società multiforme e variopinta dello stato malatestiano tra Medioevo e Rinascimento.


E. Tosi Brandi, Abbigliamento e Società a Rimini nel XV secolo, Rimini, Panozzo Editore, 2000, L. 20.000.

 

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