Rivista "IBC" IX, 2001, 1

territorio e beni architettonici-ambientali / restauri, pubblicazioni

Il Tempio Malatestiano

Orlando Piraccini
[IBC]

Una città d'arte, un monumento universale e... uno studioso. Anzi lo studioso. E non sembri fuori luogo cominciare questa nota sul più recente libro dedicato al riminese Tempio Malatestiano con un omaggio a chi sulle sigismondiane pietre ha impresso l'infaticabile, ostinata traccia della propria ricerca. Possiamo scrivere, insomma, che l' "annus mirabilis" dell'antico signore di Rimini, il 1450, da Antonio Paolucci considerato (nella sua introduzione al volume) come la data "simbolica in un certo senso scaramantica" della nascita del Tempio - coincidendo con l'anno zenitale di Sigismondo -, tale è anche di Pier Giorgio Pasini, giunto oggi al termine (ma chissà, poi...) di un arduo e complicato percorso esplorativo sul terreno Malatestiano e sui suoi dintorni. Di sicuro, siamo tra i tanti che, in questi decenni, di Pasini hanno provato a seguire il passo nel suo incedere fra gli spinosi enigmi templari. Infinite volte ne abbiamo perse le tracce, lui troppo dotato di fondo, con una tenuta allo sforzo che ci ha quasi sempre lasciati indietro, attardati in posizioni di retrovia. La pubblicazione di uno studio, l'uscita di un volume (guardare, a proposito, alla "voce" Pasini, la scheda bibliografica di questo odierno libro), l'illuminante conferenza hanno consentito rimonte, subito seguite però da nuove ripartente.

Non sappiamo se lungo i tanti itinerari della storia malatestiana tracciati nei passati decenni, riprenderà il cammino dello studioso riminese. È un fatto, comunque, che questa edizione 2000 del Tempio Malatestiano rappresenta per davvero un "monumento" per il "monumento". Al punto che del secondo la vera conoscenza sembra dipendere tutt'intera dalla accurata lettura dell'altro. Senza però dimenticare la finalmente raggiunta leggibilità stilistica della vecchia chiesa francescana trasformata da Sigismondo Pandolfo Malatesta nel ben noto fastoso "tempio" sepolcrale della sua dinastia, resa possibile al visitatore dall'appena ultimato restauro, promosso e finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini.

Certo, con il poderoso intervento di ripristino del Tempio (e con quello in corso di Castel Sismondo), anche il racconto di Pier Giorgio Pasini negli otto capitoli introduttivi del libro risulta ancor più illuminante, come colpite da una nuova luminosità sono le splendide immagini che accompagnano la guida al complesso malatestiano. Mai prima la scena lapidea, maestosa e variopinta, era apparsa così animata dai tanti personaggi dell'antica signoria riminese. E proprio ai Malatesti ed al loro mecenatismo Pasini dedica l'apertura del libro, cominciando dagli esordi nel contado, dal possesso di castelli e giurisdizioni nella vallata marecchiese e nel territorio montefeltresco, fino al costituirsi di quella solida base patrimoniale e feudale sulla quale si fondò di fatto il progressivo e sempre più incisivo controllo sul potente libero Comune di Rimini. Correva l'anno 1216 allorché i Malatesta, capi riconosciuti della fazione Guelfa, giurarono la cittadinanza riminese, in cambio della concessione da parte del Comune di particolari condizioni di privilegio. Condizioni ampiamente sfruttate dal già potente casato per divenire in breve ed effettivamente, almeno a partire dal 1295, i Signori della città di Rimini estendendo poi, via via, il loro dominio a quasi tutta la Romagna orientale, a vasti territori marchigiani di nord-ovest e del Montefeltro.

Pagina dopo pagina la storia narrata da Pasini s'infittisce di figure malatestiane, ma anche di altre dinastie signorili dell'Italia padana, tra parentele e amicizie, sodalizi e relazioni, per non dire delle corti, così nutrite d'ingegni come quelle dei Gonzaga, dei Visconti, degli Este, degli Sforza. Ma già al secondo capitolo del libro entra sulla scena Sigismondo Pandolfo Malatesta, il figlio naturale di Pandolfo, a dieci anni rimasto orfano, posto sotto la tutela dello zio Carlo assieme ai fratelli Galeotto Roberto e Domenico, meglio noto come Malatesta Novello. Morto Carlo nel 1429, morto Galeotto Roberto, il maggiore dei tre fratelli, nel 1432, trasferitosi Domenico a Cesena, Sigismondo diviene signore unico di Rimini e di Fano. Ed eccoci oramai, avviati i primi lavori nel vecchio complesso monastico e chiesastico di San Francesco, all'"annus mirabilis", a quel 1450 che il trentatreenne (l'età di Cristo, rileva Paulucci nella sua introduzione) Sigismondo Malatesta dovette considerare come l'inizio d'un glorioso futuro: per se stesso, per la sua dinastia, per la sua città.

Attorno alla figura del principe, accanto al quale compare l'amata Isotta degli Atti, ora che di Sigismondo può divenire sposa, dopo la morte di Polissena Sforza, recitano gli umanisti di corte e gli artisti impegnati a trasformare la modesta struttura medievale francescana in un edificio mai visto prima, tempio sacro ed insieme tempio profano, trionfo misto dello splendore cortese e di umanistico classicismo. Recitano Leon Battista Alberti, il grande costruttore, Matteo de' Pasti, Agostino di Duccio, Piero della Francesca, altri noti architetti, lapicidi, scultori, decoratori, letterati, umanisti, poeti, ma c'è sempre lui, Sigismondo Pandolfo Malatesta, al centro della scena. E Pasini ci dimostra, sempre nuove prove alla mano, come, in definitiva, anche il carattere del Tempio, nel suo processo costruttivo, finisca per rispecchiare perfettamente la complessa personalità del committente: mirabile scrigno, alla fine, nel quale sono stati riposti, i segni visibili della lunga tradizione mecenatesca della famiglia malatestiana, ma anche le prove manifeste, ancorché stupefacenti, dell'aggrovigliata ispirazione del signore, delle sue stesse "contraddizioni" di uomo del tempo rinascimentale e di uomo terminale della stagione medievale.

Nel 1461 sembra che ogni attività sia stata sospesa nel cantiere del Tempio, racconta Pasini. A questo momento, come è noto, le fortune sigismondiane, sono già declinanti. Il principe "aveva a che fare con ben altri problemi (la scomunica e la difesa dello stato) e si trovava costretto a sospendere i lavori, in attesa di tempi migliori", scrive lo studioso. Dunque, inizia il "dopo Tempio", un dopo lungo di secoli che Pasini, nei due capitoli finali del libro, risale lentamente, spiegando completamenti, trasformazioni, rimaneggiamenti, distruzioni (comprese quelle belliche) e restauri (fino al recupero dell'interno appena ultimato). Certo, afferma l'Autore, nel corso del tempo l'aspetto policromo del Tempio è quello che ha sofferto di più e che presenta qualche squilibrio: e "comunque si tratta di sciocchezze, tutto sommato: l'interno del Tempio, pur `incompiuto', continua a rimanere uno degli interni più completi e affascinanti dell'umanesimo, una delle manifestazioni più alte del tardogotico, uno dei capolavori più complessi dell'arte italiana". Anche su questo Pier Giorgio Pasini ha pienamente ragione.

 

P. G. Pasini, Il Tempio malatestiano. Splendore cortese e classicismo umanistico, Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, Milano, Skira Editore, 2000, 210 p., s.i.p.

 

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