Rivista "IBC" VIII, 2000, 4

Dossier: Misurare il tempo

musei e beni culturali, dossier /

Note sulla conservazione degli antichi orologi

Mara Miniati
[vicedirettore dell'Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze]

Parlare di strumenti scientifici antichi significa proporre un tema assai diversificato nei suoi contenuti: astrolabi, quadranti, orologetti solari d'avorio, sfere armillari e, in generale, straordinari manufatti, veri e propri oggetti da museo, ai quali si affiancano apparecchi più recenti, magari usati fino a pochi anni fa, poi dismessi perché superati dai perfezionamenti tecnici e dimenticati in polverose cantine, quando non distrutti del tutto, come le attrezzature da laboratorio, gli strumenti medici e i vecchi computer.1

Con queste premesse è chiaro che il problema della conservazione e della tutela di questi oggetti è veramente drammatico, non solo per la varietà dei materiali e per la difficoltà di capire, a volte, anche l'identità dello strumento, ma anche perché non è evidente cosa debba essere preservato, soprattutto quando ci riferiamo agli apparecchi più recenti. I criteri di conservazione non sono chiari: mentre, ad esempio, non sembrano esistere dubbi di fronte a straordinari strumenti rinascimentali, a preziosi lavori ricchi di incisioni e decorazioni, dorati e, nel loro genere, "unici", le macchine effettivamente usate suscitano non poche perplessità, a causa dell'ignoranza sui criteri di funzionamento, sulle possibili applicazioni e sulle modalità di impiego all'interno della disciplina di riferimento. Infatti, gli "oggetti da museo" sono affini a veri e propri "oggetti artistici": chiusi in vetrina, senza rapporto con il contesto storico, tecnico e scientifico che li ha prodotti, sono conservati secondo le regole consolidate che sovrintendono agli oggetti artistici, ma, contemporaneamente, perdono il legame con le motivazioni concrete, reali, "d'uso", che li avevano resi necessari e con la ricerca che li aveva pensati.

Per questo, mentre proprio il legame riconosciuto con l'arte salva e protegge gli strumenti di misura e di osservazione più antichi, tipici del gusto collezionistico rinascimentale e del mondo secentesco, gli strumenti effettivamente usati rimangono scarsamente considerati. In relazione a questo duplice atteggiamento, inoltre, duplice è anche l'occhio con cui gli stessi strumenti vengono trattati: attenzione e cura severissime, pazienti ricerche stilistiche e storiche, analisi dei materiali per i primi, restauri approssimativi o inesistenti, errori e trascuratezza nell'esposizione, disattenzione e superficialità nelle ricerche storiche per i secondi. Queste considerazioni, del resto, potrebbero anche estendersi alle fonti relative alla storia della tecnologia, alla archeologia industriale, alle cartelle cliniche, materiale sulla cui importanza non dovrebbero esserci dubbi e che, invece, ogni giorno è a rischio, quando non scompare del tutto. Perdiamo così la memoria della nostra "vita" tecnica e scientifica, cioè di una parte consistente del nostro sviluppo civile e culturale.

L'atteggiamento di conservazione del materiale storicoscientifico implica necessariamente un atteggiamento multidisciplinare: attenzione sì all'oggetto in sé stesso, ai problemi di funzionamento e uso, ai materiali che lo compongono e così via, ma anche ricerca storica sia sull'oggetto stesso, sia sull'epoca alla quale appartiene, sui gusti del momento, sull'economia di mercato ecc.

Occorre dunque la cooperazione tra professionalità diverse, come storici dell'arte e della scienza, scienziati e tecnici, che alla fine permette una conoscenza a tutto tondo dello strumento, ne perfeziona i criteri di conservazione, limita gli errori e arricchisce enormemente gli apparati informativi. Grazie alla riappropriazione di un patrimonio così importante anche le collezioni meno note e più modeste possono così divenire oggetto di interesse e di studio, rivelando pienamente il loro valore per la storia del nostro bagaglio culturale.

 

Spesso protagonisti e vittime degli atteggiamenti fin qui accennati sono gli strumenti di misura del tempo, oggetti di prestigio e d'uso, ora "da collezione", ora "a rischio", diversamente considerati e trattati a seconda dell'epoca, della collocazione, della tipologia. Esemplari significativi di questi strumenti di misura sono conservati nell'Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze, la cui collezione ha goduto sempre di una particolare considerazione:2 provenienti in gran parte dal patrimonio mediceo e risalenti soprattutto al Cinquecento e al Seicento, gli orologi, come gli altri strumenti di osservazione e misura matematici e astronomici, costituiscono un insieme straordinario che permette di apprezzare sia il significato di objets d'art di questi preziosi manufatti, sia la costante ricerca, tipica del Rinascimento, di strumenti sempre più perfezionati e capaci di fornire risultati attendibili. Inoltre la varietà e la quantità dei dispositivi di misura del tempo presenti nella raccolta consente di riflettere su quella "ossessione del misurare" e sull'ansia di "controllo" tipiche del XVI e del XVII secolo.

Gli orologi solari presentano dimensioni e disegni costruttivi diversissimi: piccoli oppure grandi, a forma poliedrica o a coppa, a libro o a colonna, a quadrante e così via, costituiti da materiali come l'avorio, il legno, l'ottone, essi si basano su una concezione del tempo ciclica, legata all'alternanza di luce e ombra.3 Gli orologi a polvere, ad acqua e gli orologi ignei tengono conto invece di un tempo lineare, un tempo che scorre e non ritorna: un recipiente che si vuota o si riempie, olio e petrolio che si consumano nelle lampade, candele e bastoncini di incenso che bruciano.4

L'orologio meccanico è invece caratterizzato da un meccanismo oscillatorio che segna lo scorrere del tempo e dallo scappamento che conta i battiti di questo stesso tempo.5 Ma il tempo che questo orologio misura è indipendente dalle condizioni atmosferiche, dalla diversa durata del giorno a seconda della stagione: la macchina misura e crea un tempo innaturale e astratto. I primi orologi meccanici sembra siano stati i grandi meccanismi da torre, di ferro, costituiti da complessi ruotismi e poi arricchiti da congegni destinati non soltanto a fornire l'ora, ma principalmente i movimenti e i rapporti tra i corpi celesti: esempi celebri sono il trecentesco "Astrario", costruito a Padova da Giovanni Dondi, detto a buon diritto "dall'Orologio", o il cinquecentesco "Orologio dei Pianeti", opera di Lorenzo della Volpaia, detto "degli Orioli", collocato in Palazzo Vecchio a Firenze, entrambi scomparsi, ma dei quali sono stati con non poche difficoltà costruiti dei modelli.6 Proprio nel Cinquecento cominciano a circolare anche le prime miniaturizzazioni degli orologi meccanici, orologetti da persona, che poi, nei primi decenni del Novecento, daranno vita agli orologi da polso.

 

La conservazione di questi strumenti non è problema dei più semplici: attenzione alle condizioni di calore e umidità, difficoltà poste dalla compresenza di materiali diversi, superfici dipinte o miniate impongono seri esami, ambienti climaticamente controllati e supervisione di esperti e specialisti nei diversi settori del restauro. Per gli orologi meccanici, inoltre, si pongono anche i problemi relativi al funzionamento e quelli sollevati dai diversi meccanismi.

I grandi orologi da torre solo in tempi relativamente recenti sono stati presi in considerazione, molti sono andati persi o distrutti: spesso il meccanismo è stato inopportunamente manomesso, le lunghe aste che connettono il quadrante esterno al meccanismo sono state tagliate e connesse ad un regolatore elettrico o elettronico, per sopperire alla mancanza ormai della figura del "temperatore" che un tempo regolava e controllava periodicamente l'esattezza dell'orologio.

I censimenti, gli interventi di recupero, le stesse ricostruzioni che si basano su ricerche d'archivio e su studi attenti rappresentano oggi non solo un'inversione di tendenza, ma anche una opportuna divulgazione di strumenti altrimenti trascurati e dimenticati. La cura collezionistica e il valore che il mercato antiquario ha riservato agli orologi non meccanici e a quelli meccanici da persona e da tavolo, da mensola e a "cassa lunga", adesso si stanno estendendo anche ai meccanismi di grandi dimensioni, con prospettive sulle quali il mondo degli studiosi, degli appassionati e degli specialisti è chiamato a riflettere. Per gli orologi, infatti, come per altre macchine e meccanismi, il rischio è quello di un forzato ripristino di funzioni non più possibili, di ricostruzioni arbitrarie di parti ai puri fini di una più "vendibile" completezza, senza però che si dichiarino gli interventi compiuti e con evidente falsificazione dei meccanismi stessi. E in questo caso, purtroppo, la conservazione è solo apparente.

 

Note

(1) Cfr. Instrumenta. Una realtà straordinaria: il patrimonio storico-scientifico italiano, a cura di G. Dragoni, Bologna, Grafis, 1991; G. Dragoni, A. Mc Connell, G. L'E. TURNER, Proceedings of the Eleventh International Scientific Instrument Symposium, Bologna, Grafis, 1994.

(2) Cfr. Museo di Storia della Scienza. Catalogo, a cura di M. Miniati, Firenze, Giunti, 1991.

(3) Per alcuni titoli di riferimento in una letteratura immensa, cfr. G. C. Rigassio, Le ore e le ombre. Meridiane e orologi solari, Milano, Mursia, 1988; A. J. Turner, Of time and measurement. Studies in the history of horology and fine technology, Aldershot, Variorum, 1993 (Collected Studies Series, 407); F. Maiello, Storia del calendario: la misurazione del tempo, 1450-1800, Torino, Einaudi, 1994.

(4) Sugli orologi a polvere e ad acqua, cfr. E. Junger, Il libro dell'orologio a polvere, trad. it. e note di A. La Rocca e G. Russo, Milano, Adelphi, 1994; sugli orologi ignei, S. A. Bedini, The trail of time. Time measurement with incense in East Asia, Cambridge, Cambridge University Press, 1994.

(5) Cfr. G. Brusa, L'arte dell'orologeria in Europa, Busto Arsizio, Bramante, 1978; D. S. Landes, Revolution in time. Clocks and the making of the modern world, Cambridge-Mass., The Belkamp Press of Harvard University Press, 1983. Per considerazioni più ampie sul ruolo degli strumenti meccanici di misura del tempo, cfr. C. M. Cipolla, Le macchine del tempo. L'orologio e la società (1300-1700), Bologna, il Mulino, 1981; J. Le Goff, Tempo della Chiesa e tempo del mercante, Torino, Einaudi, 1977; "Systema naturae", II, 1995, a cura di F. Leoni, numero monografico dedicato a Il tempo nella storia dell'uomo. Segnalo anche la rivista "La voce di Hora", interamente dedicata al problema dell'orologeria.

(6) Sui primi orologi meccanici, cfr. G. Brusa, Early mechanical horology in Italy, "Antiquarian Horology", Spring 1990; sull'astrario, cfr. E. Poulle, Johannis de Dondis Paduani Civis Astrarium, facsimile del ms. di Padova e trad. fr., Padova-Paris, Edizioni 1+1 - Les belles Lettres, 1987-1988; sull'orologio dei pianeti e la sua ricostruzione, promossa dall'Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze, cfr. G. Brusa, L'orologio dei pianeti di Lorenzo della Volpaia, "Nuncius. Annali di storia della scienza", IX, 1994, 2, pp. 645-669.

 

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