Rivista "IBC" VIII, 2000, 4

territorio e beni architettonici-ambientali / interventi, leggi e politiche

Per un DNA del bene architettonico

Franca Manenti Valli
[architetto, membro del Consiglio direttivo dell'IBC]
Il volgere del millennio, con riflessioni e attese, consuntivi e programmi, porta con sé, quasi naturalmente, un rinnovarsi dello spirito costruttivo. Il fervore edilizio che caratterizzava l'alba del precedente, quando "il mondo scuotendo e rinnegando la propria vecchiezza rivestiva di bianchi paramenti le cattedrali", è suggestivamente reso dall'immagine glaberiana. Le icone della fede, innalzate dall'uomo del Medioevo, erano espressioni di una politica comunitaria che vedeva nella manifesta bellezza delle opere, nel loro sotteso simbolismo, nel loro pregnante messaggio una risposta alle attese, non solo devozionali, ma, inequivocabilmente, culturali e sociali. Lo straordinario patrimonio immobiliare di cui è dotato il territorio della nazione richiede, in questo avvio del terzo, un'attenzione altrettanto corale e partecipata che proponga istanze unificanti laddove è continuo e disgregante il cambiamento della scena urbana.
Il passaggio al nuovo millennio si apre, responsabilmente, all'insegna di nuovi strumenti legislativi e del riordino di quelli esistenti, con un impegno dichiarato per la salvaguardia delle cose che hanno "dignità di cultura" e delle "testimonianze aventi valore di civiltà". Il "bene culturale", la cui espressione è formalizzata dalla Convenzione dell'Aia già nel 1954, diviene il tema coinvolgente su cui si esprime il divenire dell'identità storica in un'estensione cronologica che si avvicina ai tempi nostri.

Il nuovo clima inizia coi decreti "Bassanini", che prevedono e promuovono "forme di cooperazione strutturale o funzionale tra Stato, Regioni ed Enti locali" in una concertata sinergia di intenti. In attuazione del decreto legislativo n. 112 del 1998 vengono formulati:

- il "Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali", decreto legislativo n. 490, approvato il 22 ottobre 1999, che diventa "un punto fondamentale di partenza per la riforma complessiva della materia";

- la legge regionale dell'Emilia-Romagna n. 18 del 24 marzo 2000 sulle "Norme in materia di biblioteche, archivi storici, musei e beni culturali", che programma e attua progetti di valorizzazione di beni e istituzioni culturali.

Si affiancano, con un taglio del tutto nuovo e particolarmente stimolante:

- il disegno di legge "Melandri" (20 giugno 1999) sulla "Promozione della cultura architettonica ed urbanistica", orientato - finalmente! - a incentivare la formazione e la ricerca in campo architettonico;

- la proposta di legge "Restauro Italia", più operativa, nella quale lo Stato programma interventi di riqualificazione e recupero di singoli monumenti, edifici, manufatti di valore storicoartistico.

Il Testo Unico opera una notevole semplificazione procedurale con l'abrogazione di numerose precedenti norme, di cui all'articolo 166, e garantisce una più efficace azione di tutela con la razionalizzazione di quelle vigenti. Anche se lungo è stato l'iter di revisione e particolarmente attesa l'approvazione, il Testo non ha risolto taluni problemi: così ha puntualizzato il sottosegretario al Ministero per i beni e le attività culturali nel corso di un dibattito organizzato a livello di ordini professionali dalla Federazione regionale degli architetti e dall'Università, che si è tenuto a Reggio Emilia alla metà di giugno. Il professor D'Andrea rilevava anche l'occasione mancata di una più snella correlazione tra Testo Unico e leggi regionali, mentre sottolineava l'importanza della conferenza dei servizi - una chiara innovazione rispetto alla legge 1089 del 1939 - a cui demandare i momenti della programmazione. Il Testo rimane comunque aperto a modifiche, seppur di portata limitata, e a migliorie da attuarsi in un dialogo continuo con gli operatori del settore. Di qui l'esigenza, più volte ribadita, di un confronto da tenersi ai diversi livelli di competenza sulle tematiche e sulle finalità della conservazione e gestione del patrimonio culturale.
Anche da parte della Soprintendenza ai beni ambientali e architettonici è stato sottolineato come siano necessari e ineludibili gli accordi di programma con convenzioni su progetti specifici e, ancora, la definizione di una rete di informazione territoriale codificata secondo parametri comuni di catalogazione. In tal senso opera da tempo l'Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna.
Senza entrare in merito alle innumerevoli problematiche che il Testo pone, del resto ampiamente percorse e discusse nelle sedi deputate, e alle riserve sollevate per la sua scarsa capacità propositiva rispetto alla legge del 1939, decisamente innovativa per il suo tempo, ci atterremo ad alcune considerazioni sul bene architettonico. Di fatto quest'ultimo aggettivo qualificativo non è mai citato, ma rientra nella più generica voce "cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico..." di cui al comma I dell'articolo 2, ampliata con altre categorie di soggetti rispetto alla 1089.
Il decreto "Bassanini" precisava all'articolo 148, con più puntualizzante espressione, che sono "beni culturali quelli che compongono il patrimonio storico artistico, monumentale, archeologico". Seppure il termine "monumentale" appaia oggi obsoleto e ne venga invocato un sinonimo più efficace, esso suggerisce tuttavia una presenza emergente nel tessuto urbano, ne dichiara le alte valenze, ne sollecita conservazione, valorizzazione e promozione, soprattutto coinvolge il bene nelle attuali problematiche d'ambiente.
L'insieme di più soggetti con differenti prerogative, raccolti sotto un unico titolo dal Testo Unico, può ingenerare a nostro avviso possibili fraintendimenti.
Sembra ritornare sul problema l'ultimo strumento legislativo varato dal Ministero per i beni e le attività culturali il 4 agosto scorso, il regolamento di organizzazione, che completa la riforma avviata nel '98. Esso seleziona, con chiarezza, i centri di responsabilità amministrativa a cui afferiscono le soprintendenze di settore. Così "patrimonio storico, artistico", "beni architettonici e paesaggio", "architettura e arte contemporanea", "beni archeologici" sono necessariamente individuati perchè si attestano alle specifiche direzioni generali.

Tornando al Testo Unico, la genericità della definizione di cui all'articolo 2 sembra influenzare anche le modalità di intervento; viceversa la prassi operativa, a qualunque livello di attuazione, deve essere necessariamente peculiare e identificata per ciascun settore disciplinare.
Ancorché non competa al Testo Unico entrare in merito alla problematica del restauro, pure il legislatore ha ritenuto opportuno enunciarla sbrigativamente con locuzione ancora una volta non del tutto appropriata. L'articolo 34 recita infatti: "Per restauro si intende l'intervento diretto sulla cosa volto a mantenerne l'integrità materiale e ad assicurare la conservazione e la protezione dei suoi valori culturali". Una formulazione che richiama più l'opera plastico-pittorica-decorativa, che non quella architettonica dove le connotazioni spazio-temporali e, per contro, le relazioni che essa determina in un intorno d'ambiente, richiedono un costante confronto con la realtà del vissuto e del contemporaneo. La voce "integrità materiale" sembra suggerire una conservazione del bene, non solo oggetto di stratificazioni cronologiche che ne denunciano la vitalità nel tempo, ma anche di alteranti manomissioni che ne svisano la natura e la poetica. Sembrerebbe più appropriato parlare di recupero dell'identità culturale e di conservazione e protezione dei valori espressivi.
Ritorna a questo punto il pensiero di Giovanni Urbani, per il quale "la tutela si ferma alla manutenzione e alla prevenzione, mentre il restauro - per essere soprattutto l'atto della restituzione critica del testo figurativo originale - diviene un momento di conoscenza del manufatto, perciò un'attività di valorizzazione". Non sfugge, nella dizione citata, l'importanza di un atteggiamento propositivo nei riguardi del restauro. La riscoperta dei presupposti intellettuali e delle modalità operative del costruire antico diverrebbero, essi stessi, strumenti e suggerimenti per il recupero dell'opera, in un'ottica attualizzante.
È dunque nella direzione di una metodologia oggettiva, aperta a prospettive nuove e itinerari specifici nel campo architettonico, che si auspica maggior attenzione da parte degli strumenti legislativi.

All'interno del Testo Unico il titolo II sul "bene paesaggistico e ambientale" utilizza criteri di valutazione prevalentemente estetici e definisce, secondo un concetto di "bellezza", gli oggetti di tutela. Perché il legislatore demanda a un termine innegabilmente più labile e soggettivo l'individuazione dei beni paesaggistici, siano essi naturali o antropizzati o urbani? È estremamente importante, nella realtà d'oggi, ritrovare significati e potenzialità della categoria estetica. A maggior ragione essa dovrebbe essere richiamata per il bene costruito, quando però la bellezza sia definibile attraverso parametri oggettivi che recuperino le istanze umanisticoscientifiche della cultura coeva, la regola matematica che elaborava il modello estetico e verificava le condizioni statiche, le consonanze armoniche perseguite ad ogni livello progettuale, le forti significazioni emblematiche a monte del processo compositivo.
La qualità del progetto, e quindi la ricerca del bello, è richiesta anche nel disegno di legge "Melandri", che ha preceduto di pochi mesi il Testo Unico. Unanimi i consensi per la proposta ministeriale che riconosce "l'architettura come espressione di cultura", che ne favorisce ad ampio raggio i campi d'azione, che si interroga sulle tracce che lascerà al passaggio della propria epoca.
Lo spirito della proposta è necessariamente e opportunamente orientato al segno del contemporaneo, dopo decenni di quasi totale immobilismo. Per contro anch'essa rivolge un approccio un po' frettoloso all'esistente, nella convinzione che "nel campo della tutela dell'antico esist[a] una tradizione consolidata". Problema invece ancora scottante e controverso poiché, come dicevamo, mancano "del costruito" metodi unificati di valutazione, dispersi nei secoli con le prassi operative i corrispondenti moduli esegetici. I criteri non omogenei, le contraddittorie interpretazioni, l'applicazione a volte rigida del vincolo, o l'azione troppo permissiva, non agevolano quel dialogo "del nuovo con l'antico" che il ministro giustamente sollecita.
Qui verrebbe spontaneo un suggerimento: individuare modi e strumenti che, prima a livello didattico, poi critico, poi esecutivo, indichino la linea di ricerca più attendibile sulla "natura" delle fabbriche storiche, sul codice genetico d'identificazione, sul loro rapportarsi all'unità culturale di riferimento. Al solito il primo passo dovrebbe essere nel campo della scuola, soprattutto a livello accademico, in modo da educare all'ascolto del ritmo e dell'armonia, stimolare l'attenzione, acuire la sensibilità attraverso seminari, lezioni, incontri e convegni. Gli strumenti informatici, con le più immediate possibilità di approccio alla struttura, alle dimensioni, alle interazioni spaziali, agevolano i processi di ricerca. Una maggior consapevolezza consentirebbe di trovare, più facilmente, un accordo tra l'esercizio della tutela e l'apporto creativo del progetto, tra l'immagine consolidata e la rinnovata ma connaturale destinazione: la sola che ne consenta la salvaguardia.
È tempo di cogliere il messaggio della storia e avviare il terzo millennio con strumenti didattici, legislativi e normativi che si propongano di risolvere il perenne conflitto nel segno della misura rapportata all'uomo, al suo essere fisico, al suo ambiente, alla natura che lo circonda e che, insieme alla forma e al numero, definisce la triade agostiniana della bellezza.

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