Rivista "IBC" VIII, 2000, 4
musei e beni culturali / interventi
Le stanze europee
Era stato un anticipatore con Industrial Archaeology, a New Introduction che nei primi anni Sessanta aveva divulgato presso il largo pubblico un campo di ricerca e di azione del tutto in linea con le dinamiche della cultura del Novecento. Aveva visto lontano con Museums of Influence edito da Cambridge University Press nel 1987, aveva descritto scenari suggestivi con il rapporto 1992, Prayer or Promise? commissionatogli dalla Museums and Galleries Commission alla vigilia di una data di cui già ci siamo dimenticati, ma che ha segnato una tappa fondamentale nella storia dell'integrazione europea. Per certi versi era un uomo di altri tempi, soprattutto per quel suo incarnare i caratteri immutabili dello spirito britannico, nel comportamento, nel metodo, nel linguaggio (quest'ultimo forse l'elemento di maggiore fascino per chi è sensibile ai piaceri dell'eleganza linguistica). Ascoltarlo era, spesso, come sentir leggere le pagine più gustose dei Pickwick Papers, rese ancora più ironiche dalla totale irriverenza verso le convinzioni consolidate e verso pomposità e presunzioni di diversa origine.
Ma queste caratteristiche derivate dal passato si sono costantemente unite nella sua ricerca a una inarrivabile capacità di cogliere il nuovo e di comprenderlo con umiltà e senza pregiudizi. The Industrial Archaeology of the Consumer Society e Foods, Clothes and Shelters sono due libri che hanno aperto campi di ricerca ancora del tutto inesplorati. L'idea del premio europeo "Museo dell'Anno", da lui fondato nel 1977, resta una novità assoluta nel nostro continente. L'elenco dei temi su cui ha lavorato sarebbe troppo lungo se volessimo richiamare e commentare tutti i cinquantadue libri scritti, ai quali sarebbe da aggiungere una miriade di testi occasionali: articoli, conferenze, eccetera.
Nella sua lunga vita professionale il rapporto con l'IBC è arrivato tardi, con la prima edizione di EMF Workshop cinque anni fa. È stata l'ultima occasione di una sua visita di lavoro in Italia. Ma in tutti i successivi anni di collaborazione la scelta dei temi, i testi introduttivi, le idee che hanno dato un carattere così speciale a questo appuntamento europeo unico nel suo genere, sono costantemente venuti dalla sua intelligenza e dalla sua inestinguibile passione per il mondo dei musei e per le innovazioni che lo percorrono.
Kenneth Hudson è morto a pochi passi dal 2000, traguardo al quale teneva tanto. A Bertinoro ci è mancato moltissimo. Ma proprio questo ha dimostrato, se ve ne fosse mai stato bisogno, quanto grande sia stata l'influenza della sua azione e del suo pensiero sulle nuove generazioni di operatori museali in tutta Europa.
(Massimo Negri)
Le persone che lavorano nelle grandi organizzazioni internazionali hanno incarichi brevi e quando se ne vanno la loro opera viene presto dimenticata. È ingiusto ma è inevitabile. I pionieri e gli innovatori sono rimpiazzati da altri funzionari, che hanno nuove idee, fanno nuovi esperimenti, e sono ansiosi di crearsi una loro reputazione professionale, così da far passare in secondo piano i successi dei loro predecessori. Sfortunatamente la natura umana è fatta così.
Nel 1977 la Commissione europea decise di sostenere politicamente e finanziariamente un progetto per stabilire collegamenti museali più stretti fra i diversi paesi europei.
Robert Grégoire, responsabile del piccolo Dipartimento culturale di Bruxelles, mise a punto un progetto che prevedeva la creazione delle cosiddette "stanze europee" in alcuni musei selezionati.
Robert Grégoire era una personalità di grande rilievo, francese ma non parigino - credo provenisse da Bordeaux - amava la provincia e non le grandi capitali. Durante il periodo del suo servizio presso la Commissione egli fece il pendolare dal Lussemburgo, dove lui e sua moglie tenevano un maneggio. Si trattava di un personaggio interessante, non certo il tipico burocrate internazionale, e io ci andavo molto d'accordo.
Mi chiese di suggerirgli una città inglese importante, ma non Londra, con un buon museo e un direttore che ne fosse all'altezza. In questo museo avrebbe istituito la sua prima stanza europea, che doveva fungere da modello per le altre, e lui stesso avrebbe provveduto ai finanziamenti necessari. Scelsi Norwich, che aveva un eccellente museo e di cui conoscevo molto bene il direttore: Francis Cheetham, un uomo con una mentalità aperta alle esperienze internazionali e che si entusiasmò all'idea di Robert Grégoire.
La sua stanza europea fu inaugurata nel 1980. Si trattava di un progetto innovativo, ben disegnato e ben pianificato, che divenne popolare presso il pubblico. L'idea era di allestire un'esposizione, una mostra più o meno permanente, che avrebbe illustrato i collegamenti storici ambientali, sociali, culturali e commerciali fra Norfolk e il continente europeo. Il percorso aveva inizio dalla Preistoria, quando l'Inghilterra era ancora fisicamente unita all'Europa e continuava sino ai giorni nostri. Il libretto illustrativo che lo accompagnava comparve in diverse versioni: inglese, francese, olandese e tedesco.
L'esperimento ebbe successo e prometteva bene, ma sfortunatamente non ebbe seguito. Robert Grégoire alla fine lasciò l'impiego a Bruxelles e il suo entusiasmo non fu contagioso. Ma io sentivo profondamente, e sento ancora, che ciò che venne lanciato nel 1980 andava nella giusta direzione. L'esposizione era ben concepita, con ricerche accurate, una buona selezione di oggetti, dei quali molti erano stati presi a prestito da altri paesi, ed era presentata in maniera professionale e creativa. Soprattutto seguiva la regola collaudata di passare da ciò che risulta conosciuto e familiare a ciò che è sconosciuto e inaspettato, selezionando attentamente l'abbondante materiale disponibile senza operare forzature. Collocava la storia locale, l'elemento noto, nel suo contesto europeo più vasto e più significativo. Portò Norwich e Norfolk in Europa, ma non impose l'Europa a Norfolk. Rese, per così dire, Norfolk internazionalmente importante.
Se l'esperimento di Grégoire fosse stato esteso almeno all'Europa occidentale, come il suo creatore desiderava, oggi avremmo potuto avere da cinquanta a sessanta stanze europee nei musei di provincia, forse una a Bordeaux, una a Lione, una a Lilla, una ad Amburgo, una a Monaco, e così via. Ognuna di queste stanze avrebbe mostrato come una regione particolare influenzi e sia influenzata da un campo culturale e geografico più vasto, come si diffondano i costumi e le idee, come avvenga nella realtà il flusso degli scambi commerciali e migratori. In questo modo avremmo finito per costruire una sorta di grande puzzle costituito da tanti pezzi fra loro interconnessi.
Sfortunatamente tutto ciò è stato dimenticato sia a Bruxelles che anche, temo, a Norwich. Ciò che oggi sembra sia in fase di realizzazione è qualcosa in scala maggiore, un museo singolo, forse a Bonn, che comprenda e rappresenti la civilizzazione europea come un tutt'uno. Resta da vedere se quest'idea sarà possibile e praticabile. Dovrebbe essere creata infatti da un genio, non da un comitato. La grande scala del progetto è il principale nemico e ogni sforzo di produrre un'enciclopedia sarebbe disastroso. Essendo stato coinvolto in ciò che potrei chiamare l'esperimento di Norwich, o meglio l'esperimento di Grégoire, nutro seri dubbi che qualunque cosa che si avvicini all'idea di un museo permanente d'Europa sia una proposta fattibile.
Potrebbe funzionare se avesse un titolo più modesto, come "Indizi d'Europa" o "Gli ingredienti del budino europeo", ma in questo caso ciò che si potrebbe offrire sarebbe una serie di mostre temporanee su temi specifici, come "L'importanza della cultura ebrea", o "L'influenza dei Romani", o "L'Europa e gli Imperi coloniali". Di certo queste mostre, o persino un più grande museo d'Europa, potrebbero essere diffuse in tutto il continente tramite Internet, ma dubito che ciò avrebbe l'impatto delle stanze europee di Robert Grégoire.
Se invece il concetto base fosse più circoscritto, come ad esempio "La crescita dell'idea europea", l'intera scala del museo sarebbe diversa, perché l'intento sarebbe mostrare le radici e lo sviluppo del concetto di Comunità europea, con una finalità politica e culturale che Bruxelles potrebbe essere disposta a finanziare.
Ciò che in sostanza rendeva valido e giusto il progetto di Grégoire era che si fondava sul buon senso. Si basava su collegamenti reali fra i paesi, collegamenti che si attuarono realmente, non sui sogni dei politici, e forse non è ancora troppo tardi per pensare di farlo rivivere. Una cosa è certa: sia che si opti per un museo d'Europa o una rete di stanze europee, si devono privilegiare gli oggetti, non le fotografie e i testi. Ciò implica che si avvii un sistema ben organizzato di prestiti internazionali.
La creazione di un sistema siffatto, basato sulla fiducia reciproca, sarebbe in qualche modo il più grande successo del museo. Il suo quartier generale sarebbe essenzialmente un organismo di pianificazione e di servizio, capace di delegare tutto il resto alle gestioni locali. Ma nomi e titoli sono importanti: secondo me, ad esempio, una mostra sul contributo degli ebrei alla vita di Berlino o di Londra sarebbe molto più interessante di una sul contributo degli ebrei alla vita e alla cultura europea in generale. In termini museali il microcosmo ha un impatto molto più grande rispetto al macrocosmo, o così almeno credo.
Il V European Museum Forum Workshop, organizzato da IBC - Regione Emilia-Romagna, Regione Toscana ed European Museum Forum, si è tenuto a Bertinoro (Forlì) dal 10 al 14 ottobre 2000, ed ha visto come di consueto la partecipazione di circa cinquanta professionisti del settore museale, provenienti da venti paesi dell'area del Consiglio d'Europa.
Il tema dibattuto in questa edizione del workshop, "The Spirit of Europe", è stato ed è tuttora alla base del lavoro svolto da European Museum Forum (come dimostra l'articolo del suo fondatore Kenneth Hudson, qui riportato), ma risulta in sintonia con molte iniziative condotte in ambito regionale nell'anno trascorso, in particolare quelle legate al programma di "Bologna 2000, capitale europea della cultura", città in cui si è tenuta la sessione conclusiva del seminario.
Utilizzando il lavoro di gruppo come modalità privilegiata di scambio di informazioni e confronto reciproco, ci si è interrogati sull'esistenza e sul significato di una "cultura europea" e sul contributo che i musei possono fornire per la costruzione di un tessuto culturale sopranazionale, che tenga conto delle tradizioni locali ma le comprenda e le armonizzi in un contesto più ampio, che valorizzi le diversità attenuando al tempo stesso i conflitti che da queste possono scaturire. Per le loro caratteristiche di istituzioni che interpretano il passato, generando insieme idee e progettualità per il presente, i musei si propongono come luoghi ideali per l'incontro delle diverse culture e per la costruzione del concetto di "Europa"
A riprova dell'impegno concreto assunto in questo senso da alcune delle istituzioni presenti, è stata accolta l'idea di produrre all'interno dei musei stessi degli european corners (le "stanze europee" di cui parlava Hudson), intesi come momenti di approfondimento in cui si evidenziano i legami che collocano il museo e le sue collezioni in ambito europeo, e si crea una rete di connessioni capaci di fare comprendere la dimensione sopranazionale di un fenomeno. Maggiori informazioni su questo progetto, assieme all'elenco dei musei che vi partecipano, sono disponibili sul sito dell'IBC (www.ibc.regione.emilia-romagna.it). Le conclusioni del V European Museum Forum Workshop, presentate sotto forma di raccomandazioni al Consiglio d'Europa, sono invece disponibili sul sito Web dello stesso Consiglio d'Europa: www.stars.coe.fr.
(Margherita Sani)
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