Rivista "IBC" VIII, 2000, 3

pubblicazioni, storie e personaggi

Le ballate di Tartaglia

Jonathan Sisco
[redattore della rivista modenese "Energie Nuove"]

Dove vive oggi la sensibilità religiosa? In quali forme? Chi segue ogni giorno il tumulto e il dialogo della società civile risponderebbe probabilmente che oggi la religione vive anzitutto in pubblico e in forme collettive, che le sfumature della devozione nella nostra epoca non vanno cercate negli strati oscuri e nascosti della personalità perché si sono spinte verso l'esterno, verso la politica e lo stato, dentro ciò che chiamiamo intuitivamente "cultura". Non a caso l'antropologo Clifford Geertz notava di recente che quando "nei media, negli scritti di uno studioso, perfino nelle prediche" incontriamo l'espressione "conflitto religioso" questa non indica per noi "uno scontro personale con dei demoni interiori", bensì "si riferisce ad avvenimenti del tutto esteriori, ad atti pubblici, a sentenze di tribunale". Ma era poi sempre Geertz, riprendendo il William James di Le varie forme della coscienza religiosa, che si chiedeva che fine avesse fatto "il morso individuale del destino", la religiosità "personale, privata, soggettiva, profonda" che conduce agli "stati di fede" e cercava un "resoconto circostanziato delle inflessioni personali dell'impegno religioso" come via d'elezione per "spingersi al di là del personale" e "raggiungere i dilemmi del nostro tempo".

Non è esagerato dire che il ritorno sugli scaffali delle novità librarie di Ferdinando Tartaglia, di cui l'editore Book ha fatto da poco uscire queste inedite Tre ballate, stimola e vivifica interrogativi come questi e conduce, anzi, al nocciolo più intimo dell'enigma religioso. In Tartaglia, infatti, la conflittualità religiosa si fa vivere davvero in tutta la sua estensione, dalle lacerazioni dell'individuo all'intervento delle istituzioni chiesastiche che nel 1946 vollero scomunicarlo specialissimo modo (ovvero con la più dura delle condanne), dalla fondazione nel 1947, insieme con Aldo Capitini, del Movimento di Religione, da cui si distaccò nel '49, fino al matrimonio e alla separazione con Germaine Mühlethaler e alla vita ritirata trascorsa a Firenze tra anni Sessanta e Ottanta, spezzata solo da qualche rara pubblicazione. Come ricorda Adriano Marchetti nella sua prefazione (da cui derivano anche le informazioni precedenti), elegante e discreta ma non priva di acume critico, il "leggendario sacerdote" nato a Parma nel 1916 "è oggi caduto nell'oblio o ignorato" sebbene nel periodo seguente la scomunica il suo nome rimbalzasse un po' ovunque ed egli venisse frequentemente invitato a incontri pubblici e dibattiti "organizzati dagli esponenti di partiti politici".

L'opera di Tartaglia resta sparsa e di difficile reperibilità. Rimangono un Discorso per la filosofia nuova, pubblicato sulla rivista "Inventario" nel 1946-'47, delle Tesi per la fine del problema di Dio in un volume collettaneo del 1949 e, soprattutto, i libri nati dal sodalizio editoriale con l'ancora modenese Ugo Guanda: il suo Progetto di Religione ma anche i volumi della "Collana di studi religiosi. Figli dell'uomo" curati e tradotti da Tartaglia e corredati di note postfative ancora oggi di una vivacità emozionante, in cui poteva accadere di incontrare sulla medesima pagina la "Grammar of absent" di Newman, "il Pater che vuole anch'egli 'to show the necessity of religion', la gioia enfatica di Claudel che depreda la 'joie' di Pascal, Port-Royal scaduto nel giansenismo mondano di Mauriac" tutti uniti nell'ipotesi che "forse la più vera conclusione della ricerca pascaliana dobbiamo vederla nella disponibilità di Gide". Oppure, sempre in quelle note, nel prendere le distanze dagli "scritti religiosi" di Gabriel Marcel, Tartaglia poteva citare agilmente, nel 1943, autori come "Whitehead", "Scheler", e "la fenomenologia di Husserl". Marchetti informa che rimane inedita una quantità enorme di materiale, "circa settemila poesie e altrettante pagine" in prosa "raccolte sotto il titolo di Proposte senza fine".

Le "tre ballate", risalenti tutte alla prima metà degli anni Trenta, mostrano un Tartaglia giovanile e forse inatteso per chi conosce la sua prosa, frastagliata ma inesorabilmente raziocinante. In questi testi la parola mostra tutto il suo valore sonoro, la sua ricerca di senso sprofondata nel pozzo del mistero religioso, come accade nell'esordio dello Sprecato: "Sono il cinghiato senza cinghia al corso / sono il fellato a faglia del mio dorso / sono mammella non palpata a l'orto / sono il latte cagliato de l'aborto / il coltello scolmato prima della cavata del colpo / l'anello gettato via nella prima notte di nozze / il calice vomitato nel giardino della prima messa / l'adige di promessa ricattato al tino / Sono la capriola di Cristo appena apparita poi dal greppo sparita". Viene anzi da ricordare alla lettera il "sentimento creaturale" e il "mysterium tremendum" che nel suo libro sul Sacro (tradotto da Ernesto Buonaiuti nel 1926 per la Zanichelli) Rudolf Otto descrisse come "momenti del numinoso", con i loro risvolti "energici" e "terrificanti". Capita per esempio leggendo gli ultimi versi della Ballata d'ogni dolore: "Numinore ominore: scrole stole. / Numinoso non sia più l'ominoso. / Nominato è il tuo orbe: come vuole: / se capovolge o se raddrizza il fiore".


F. Tartaglia, Tre ballate, a cura di A. Marchetti, Castel Maggiore (Bologna), Book Editore, 2000, 59 p., L. 18.000.

 

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