Rivista "IBC" VIII, 2000, 3

musei e beni culturali / corrispondenze

Visti dalla Manica

Elisabetta Cova
[collaboratrice dei Musei civici di Carpi (Modena)]

Mi chiedo se gli operatori dei Musei civici dell'Emilia-Romagna siano consapevoli di quanto "azzardate" e efficaci appaiano agli occhi dei loro colleghi britannici le scelte gestionali ed espositive da loro operate negli ultimi vent'anni, e di come queste siano l'esito di un rapporto con il passato affatto scontato, tutto italiano ed in particolare di una parte dell'Italia, quella settentrionale, di cui i Musei civici sono una realtà peculiare sin dall'Unità d'Italia. Dell'unicità dei nostri musei civici, sia per la storia della loro formazione, sia soprattutto per la validità degli approcci museografici ho potuto avere la consapevolezza durante le ricerche relative alla dissertation per il conseguimento del Master of Philosophy in Archaeological Heritage and Museums presso il Dipartimento di archeologia dell'Università di Cambridge.

L'argomento della dissertation era proprio quello del ruolo (o meglio dei ruoli) dei Musei civici nell'Italia Settentrionale, in particolare in Emilia-Romagna. Avevo preso in esame il Museo civico archeologico di Bologna, il Museo civico archeologico ed etnologico di Modena e i Musei civici di Reggio Emilia, in particolare il Museo Chierici di paletnologia. Ciò che mi interessava di questi musei era la conservazione, e in alcuni casi il restauro, degli allestimenti e dei criteri espositivi originari ottocenteschi. La scelta operata dai curatori dei musei appariva molto interessante e decisamente opposta alle tendenze britanniche: conservare a più di un secolo di distanza, preservare e in alcuni casi addirittura restaurare l'allestimento, gli arredi, le vetrine, i supporti e i criteri espositivi per tipologie e per cronologie, così come si presentavano nella seconda metà dell'Ottocento al momento della fondazione. Il museo, considerato negli allestimenti delle sue prime sezioni, diveniva così esso stesso un manufatto antico da preservare, giungendo ad una sorta di sua "oggettificazione".

Occorre precisare che queste scelte conservative furono anche condizionate dalle circostanze. I musei infatti subirono un lungo periodo di abbandono e di stagnazione soprattutto dalla seconda guerra mondiale fino agli anni Settanta e Ottanta, quando finalmente ci si pose il problema di rinnovarne il ruolo culturale, integrandoli nella comunità per il suo sviluppo culturale, sociale ed economico. Gli operatori museali dovettero allora risolvere il problema della frattura tra le conoscenze storiche, scientifiche, archeologiche e museologiche moderne e un allestimento museale datato, che rispecchiava concezioni e metodi fermi alla seconda metà dell'Ottocento. Merito degli operatori fu averne compreso l'importanza storica come testimonianza delle teorie e delle metodologie scientifiche, nonché del clima culturale che portò non solo alla formazione di questi musei ma anche alla nascita delle discipline preistoriche. Infatti proprio i fondatori e primi direttori dei Musei civici dell'Emilia, personaggi come Chierici, Boni e Crespellani, furono i padri della preistoria (o paletnologia) in Italia.

Esemplare dell'approccio conservativo è il Museo Chierici di paletnologia a Reggio Emilia, dove tutto l'allestimento è rimasto inalterato, così come Chierici l'aveva voluto e dove gli interventi si sono limitati a "restauri" degli arredi, dei supporti e degli spazi. I materiali provenienti da scavi recenti sono stati invece sistemati in nuovi spazi e allestiti secondo moderni criteri museologici con un completo apparato informativo e secondo criteri scientifici aggiornati. A Reggio Emilia poi, se da un lato si è restaurato il nucleo originario delle collezioni di paletnologia, dall'altro negli ultimi anni si è avvertita la necessità di creare nuovi musei di archeologia, come il Museo di preistoria e protostoria e il Museo di Reggio in età romana.

Nel corso della stesura della dissertation mi sono accorta che questo approccio di tipo conservativo risultava incomprensibile, quasi inspiegabile ai miei insegnanti inglesi. Il rispetto per il passato, il valore storico e culturale degli allestimenti non potevano essere più importanti del loro ammodernamento, di una semplificazione didattica degli stessi per una più accessibile e piacevole lettura da parte del pubblico. Risultava a loro difficile giustificare questo tipo di scelta, che pareva congelare il passato, non consentendo di rileggerlo e di reinterpretarlo, e preservandone un'unica lettura, ormai superata rispetto alle conoscenze odierne e incompatibile con le funzioni del museo moderno. Secondo le più diffuse tendenze in museologia infatti, il museo avrebbe dovuto essere al servizio del visitatore e non dello specialista, mentre nel caso dei musei civici solo lo specialista poteva comprendere l'importanza della conservazione delle collezioni ottocentesche e non certo il visitatore comune, al quale apparivano semplicemente "vecchie".

Queste critiche potevano essere condivise, ma il successo di questi musei in termini di partecipazione del pubblico e di integrazione all'interno della comunità cittadina parevano contraddirle. Alcuni docenti - tra cui Robin Boast, senior curator presso l'Archaeology and Anthropology Museum dell'Università di Cambridge e studioso di storia del "museo" - addirittura ammiravano la scelta della conservazione delle "stratigrafie" culturali lasciate nel corso dei secoli all'interno delle istituzioni museali, a loro avviso rischiosa e coraggiosa: grazie a queste testimonianze si consentiva una lettura della storia dei musei stessi e una riflessione sulle epoche che li avevano prodotti. Questo tipo di soluzione sarebbe stata improponibile in Gran Bretagna, dove la gestione dei musei dei musei segue criteri più pratici, quasi di mercato e comunque orientati sul grande pubblico.

Come si accennava, nonostante la scelta conservativa rispetto alle collezioni originarie, questi musei sono riusciti a elaborare e promuovere soluzioni alternative per presentarsi al pubblico come musei moderni, informativi e didattici, conservando al tempo stesso la loro natura civica. Infatti, nei Musei civici di Modena, Reggio e Bologna sono state realizzate o sono in progetto di realizzazione nuove sezioni archeologiche, in cui allestire secondo criteri attuali i materiali recentemente portati alla luce. Si è cercato inoltre di informare e coinvolgere il pubblico tramite una serie di attività collaterali: organizzando visite guidate, seminari, conferenze, attività didattiche per le scuole; favorendo la ricerca tramite l'accesso alle biblioteche e agli archivi; realizzando pubblicazioni e mostre; promuovendo scavi; ospitando spettacoli teatrali, rassegne cinematografiche, concerti; utilizzando supporti informatici e siti Web; creando postazioni multimediali; producendo CD ROM. A Reggio Emilia, inoltre, le numerose attività e gli eventi culturali offerti dai musei sono completamente gratuiti e pertanto accessibili a tutti i cittadini.

Queste istituzioni sono riuscite a conservare la loro natura civica, cioè ad essere musei della città per i cittadini, "mediatori" e "facilitatori" culturali per la comunità tutta. Sono stati in grado, senza per questo "tradire" o "dimenticare" la loro storia, non solo di informare in modo interessante e comprensibile sul loro contenuto, ma anche di presentarsi come centri di produzione, promozione e diffusione di cultura in senso lato, tramite iniziative e attività che hanno avuto riscontri molto positivi tra il pubblico.

Il tipo di gestione adottata dai Musei civici di Bologna, Reggio e Modena dovrebbe, a mio parere, costituire uno spunto e un suggerimento per i musei d'oltremanica, spesso ammirati come modelli di gestione. Infatti la maggior parte dei musei inglesi, tanto citati per la loro efficienza, produttività, capacità di promozione, offre in realtà ben poco al visitatore dal punto di vista culturale.

La cultura costa e non porta danaro e i musei inglesi di piccole o medie dimensioni possono contare solo in minima parte su finanziamenti statali o comunali, avendo per lo più una gestione privata. Diventa dunque fondamentale sostenersi tramite la vendita dei biglietti, il che significa cercare di attirare il maggior numero possibile di visitatori. È evidente che a questo fine il museo visitors oriented cerca di dare al pubblico quello che desidera, e cioè un piacevole passatempo, non troppo impegnativo, in cui le informazioni semplificate vengono comunicate con i mezzi più accattivanti (a volte anche scapito della correttezza). I musei entrano cioè in competizione con i parchi di divertimenti, i cinema, i luna park.

Caso estremo ed emblematico di questo approccio, per quanto ho potuto vedere di persona, è il Jorvik Viking Centre, nato da un'impresa privata sul luogo di uno scavo vichingo nel centro di York. Qui è stato realizzato un centro dove lo spettatore, salendo su un trenino, entra in un tunnel che lo porta a ritroso nel tempo fino a sbucare nel bel mezzo di un villaggio vichingo ricostruito in ogni dettaglio. Il visitatore si muove attraverso il villaggio lungo il percorso obbligato del trenino, osservando i vichinghi (di cera) intenti nelle attività e nei conversari quotidiani, disturbato dal belare delle pecore (di cera) o infastidito per il tanfo emanato dai maiali (sempre di cera). E al termine della corsa esce convinto di sapere come vivevano gli antichi vichinghi.


Bibliografia

P. Addyman, 1990. Reconstruction as interpretation: the example of the Jorvik Viking Centre, York, in The Politics of the Past. One World Archaeology 12, edited by P. Gathercole and D. Lowenthal, London, Unwin Hyman, 1990, pp. 257-264.

T. Bennett, The Birth of the Museum: History, Theory, Politics, London, Routledge, 1995.

L. Binni - G. Pinna, Museo. Storia e funzioni di una macchina culturale dal cinquecento a oggi, Milano, Garzanti, 1989.

A. Cardarelli, La formazione del Museo Civico e gli studi paletnologici a Modena, in Dalla Stanza delle Antichità al Museo Civico: storia della formazione del Museo Civico Archeologico di Bologna, a cura di C. Morigi Govi e G. Sassatelli, Bologna, Grafis Edizioni, 1984, pp. 499-510.

M. Desittere, Dal Gabinetto di Antichità Patrie al Museo di Storia Patria di Reggio Emilia (1862-1886), Reggio Emilia, Comune di Reggio Emilia, 1985.

Id., Paletnologia e studi preistorici nel'Emilia-Romagna dell'Ottocento, Reggio Emilia, Comune di Reggio Emilia, 1988.

R. Hewison, The Heritage Industry: England in a climate of decline, London, Methuen, 1987.

Il riordino dei Musei civici. Prima redazione sulla riapertura: metodologia, studi, progetti, Modena, Comune di Modena (Assessorato alla cultura - Assessorato ai lavori pubblici - Musei civici), 1987.

I Musei Civici di Reggio Emilia. Guida alle collezioni, a cura di S. Chicchi, E. Farioli, R. Macellari, A. Marchesini, J. Tirabassi, Reggio Emilia, Edizioni Diabasis, 1999.

R. Macellari, Gaetano Chierici, prete e preistorico, in M. Bernabò Brea - A. Mutti, Le terremare si scavano per concimare i prati. La nascita dell'archeologia preistorica a Parma nel dibattito culturale della seconda metà dell'Ottocento, Parma, Silva Editore, 1994, pp. 118-129.

A. Mottola Molfino, Il libro dei Musei, Torino, Umberto Allemandi & C., 1991.

 

BibliografiaP. Addyman, 1990. Reconstruction as interpretation: the example of the Jorvik Viking Centre, York, in The Politics of the Past. One World Archaeology 12, edited by P. Gathercole and D. Lowenthal, London, Unwin Hyman, 1990, pp. 257-264.T. Bennett, The Birth of the Museum: History, Theory, Politics, London, Routledge, 1995.L. Binni - G. Pinna, Museo. Storia e funzioni di una macchina culturale dal cinquecento a oggi, Milano, Garzanti, 1989.A. Cardarelli, La formazione del Museo Civico e gli studi paletnologici a Modena, in Dalla Stanza delle Antichità al Museo Civico: storia della formazione del Museo Civico Archeologico di Bologna, a cura di C. Morigi Govi e G. Sassatelli, Bologna, Grafis Edizioni, 1984, pp. 499-510.M. Desittere, Dal Gabinetto di Antichità Patrie al Museo di Storia Patria di Reggio Emilia (1862-1886), Reggio Emilia, Comune di Reggio Emilia, 1985.Id., Paletnologia e studi preistorici nel'Emilia-Romagna dell'Ottocento, Reggio Emilia, Comune di Reggio Emilia, 1988.R. Hewison, The Heritage Industry: England in a climate of decline, London, Methuen, 1987.Il riordino dei Musei civici. Prima redazione sulla riapertura: metodologia, studi, progetti, Modena, Comune di Modena (Assessorato alla cultura - Assessorato ai lavori pubblici - Musei civici), 1987.I Musei Civici di Reggio Emilia. Guida alle collezioni, a cura di S. Chicchi, E. Farioli, R. Macellari, A. Marchesini, J. Tirabassi, Reggio Emilia, Edizioni Diabasis, 1999.R. Macellari, Gaetano Chierici, prete e preistorico, in M. Bernabò Brea - A. Mutti, Le terremare si scavano per concimare i prati. La nascita dell'archeologia preistorica a Parma nel dibattito culturale della seconda metà dell'Ottocento, Parma, Silva Editore, 1994, pp. 118-129.A. Mottola Molfino, Il libro dei Musei, Torino, Umberto Allemandi & C., 1991.

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