Rivista "IBC" XXVIII, 2020, 1
musei e beni culturali / interventi
La seconda ondata pandemica che ha interessato, in Italia come altrove, musei, biblioteche e ogni luogo della cultura, nuovamente chiusi, pur se con qualche differenziazione, a partire dal 6 novembre, si è innestata su una situazione che, al contrario di altri settori, non aveva ancora neanche lontanamente recuperato una "normalità" nei pochi mesi di riaperture precedenti.
A livello internazionale, come dimostrano i dati dei numerosi report - dall’UNESCO all’ICOM - relativi ai mesi del primo lock-down, le chiusure avevano interessato quasi il 95% delle strutture museali nel mondo, seppure in tempi diversi.
Il blocco, parziale o totale, delle attività ha avuto e avrà ricadute gravissime per quanto riguarda la programmazione futura. Particolarmente colpito risulta il settore degli operatori free-lance e in generale non strutturati, anche se a queste tipologie di lavoratori vengono sempre più spesso affidati servizi vitali come quelli educativi o di comunicazione.
Il fenomeno pandemico, del resto, sta di fatto agendo come un detonatore rispetto alle molte fragilità di un sistema - quello italiano dei musei e del patrimonio culturale in generale - la cui endemica carenza di risorse è stata ora drammaticamente aggravata dal crollo del turismo internazionale (65 miliardi persi nel settore in Italia secondo i più recenti dati Federturismo).
Come noto e ampiamente pubblicizzato sui media, la reazione generalizzata delle strutture museali, nel mondo, per cercare di arginare i danni derivati dal lock-down e mantenere un rapporto col pubblico è stato l’adattamento e riconversione delle attività in modalità digitale. Un’esplosione di contenuti che ha senza dubbio avuto il merito di avvicinare anche pubblici normalmente non interessati: una ricerca specifica della Audience Agency, la charity finanziata dall’Arts Council England, sulla reazione del pubblico inglese ai contenuti culturali digitali ha rilevato come il 38% del pubblico on-line in periodo pandemico sia stato costituito da persone che hanno provato questa esperienza per la prima volta.
Anche in Italia, specialmente nelle prime settimane di lock-down, abbiamo assistito ad una vera e propria effervescenza dei siti e dei social gestiti dai musei: l’indubbio aumento dei visitatori è stato senz’altro un segnale positivo, anche se, come è stato segnalato da alcune indagini, il successo delle prime settimane si è presto ridimensionato, anche a fronte di un'offerta che scontava evidenti carenze in termini non solo tecnologici, ma in particolar modo di strategia comunicativa.
Per quanto riguarda la regione Emilia-Romagna, l’Assessorato alla cultura, in collaborazione con ARTER, IBC e l’Osservatorio culturale del Piemonte, ha promosso un “Monitoraggio degli effetti del Covid-19 nei comparti della cultura in Emilia-Romagna” relativo alla prima fase emergenziale e ai mesi immediatamente successivi (24 febbraio–15 giugno 2020) e che IBC ha seguito in particolare per quanto riguarda l’analisi dei dati su musei, biblioteche e archivi.
Sui circa 550 musei segnalati dal catalogo dell’Istituto hanno risposto ad almeno una delle 3 fasi dell’indagine, su base volontaria, 140 musei, rappresentati, in larghissima maggioranza, da strutture di dimensioni molto modeste (circa un terzo dei musei rispondenti hanno dichiarato meno di 5 addetti).
L’indagine ha evidenziato come il fenomeno pandemico abbia avuto ripercussioni a tutti i livelli.
Gravissimo l’impatto sulle attività: nei 4 mesi rilevati i musei partecipanti al questionario hanno segnalato l’annullamento di un centinaio di manifestazioni espositive in corso di svolgimento o di allestimento.
Altrettanto, se non di più, grave, il crollo delle attività legate ad eventi, visite guidate, laboratori: oltre 14.000 iniziative cancellate, in percentuale largamente preponderante rappresentate dalle attività legate all’utenza scolastica, elemento che ben si spiega con il fatto che in larga parte le strutture rispondenti, come detto, sono state quelle di piccoli musei, legate quindi al territorio più che ad un’utenza turistica.
Sul piano economico, le perdite complessive, nell’intero periodo considerato, ammontano ad alcuni milioni, cifre che, per musei di modeste dimensioni come quelli analizzati, hanno inciso in maniera drammatica su bilanci, per definizione, non floridi anche in tempi prepandemici. Il dato che, con evidenza immediata, sottolinea il crollo subito dai nostri musei è quello che attesta una perdita media di oltre il 70% in termini di utenza nel periodo considerato, dato del resto perfettamente in linea con le rilevazioni nazionali e internazionali.
Interessanti e indicativi di una situazione di sofferenza prolungata, sono anche i dati relativi alle riaperture, che registrano come solo poco più della metà delle strutture rispondenti abbia riaperto non appena sia stato possibile da un punto di vista normativo.
A ciò si aggiunge che, anche se le riaperture entro il mese di giugno assommavano al 91% del totale degli istituti rilevati, in moltissimi casi si è trattato di riaperture parziali in termini di tempi e spazi, al punto che al momento della nuova chiusura intervenuta con il DPCM del 3 novembre 2020, il sistema nel suo complesso era ancora molto lontano dal recupero di una piena normalità.
A questo shock inatteso e tuttora perdurante, anche per i musei emiliano romagnoli la risposta privilegiata è stata il ricorso al digitale: la larghissima maggioranza delle strutture rispondenti ha dichiarato di avere ampliato la propria offerta sia sui siti che sui social in termini, in particolare, di visite guidate/virtual tour, attività di approfondimento a cadenza ravvicinata, produzione di video e audio su tematiche connesse alle collezioni e alle mostre del museo, laboratori per scuole, tutorial, pubblicazioni, concorsi, quiz, conferenze ed attività in streaming.
Il potenziamento complessivo dell'offerta digitale dei musei rappresenta senz’altro uno degli effetti del periodo pandemico che si prolungheranno nel tempo, tanto più necessario di fronte all’evidente ritardo che le strutture italiane nel loro complesso scontano da anni in questo settore, continuando troppo spesso ad interpretare la presenza on-line come una semplice trasposizione di contenuti preformati.
Largamente condivisa - sia da parte degli operatori museali che dei visitatori (v., da ultimi, i risultati sia dell’indagine commissionata dalla DG Musei del Mibact su il “Il pubblico dei musei italiani durante il lock-down” che della recentissima ricerca della Fondazione Scuola dei Beni e delle Attività Culturali) - è la consapevolezza dell’opportunità di continuare ad investire sulle attività digitali, come ha registrato anche la nostra indagine in ambito regionale. Ancor più necessario, per i musei italiani, sarebbe impostare una strategia mirata ad un miglioramento decisivo sul piano dell'offerta in presenza, in grado di innescare quei processi di fidelizzazione ancora incompiuti nel nostro paese.
Se anche gli ultimi dati ISTAT continuano a segnalare come il 96% dei musei italiani si collochi al di sotto della soglia dei 100.000 visitatori l’anno e se le rilevazioni europee continuano a relegarci nelle ultime posizioni in termini di accesso ai luoghi della cultura (meno del 34% della popolazione residente), significa che il tema di una reale democratizzazione degli spazi culturali continua ad essere “il” tema per eccellenza.
È d’altro canto questa una direzione quasi obbligata di fronte all’accelerazione che la pandemia ha imposto, come ampiamente riconosciuto da operatori culturali e studiosi, alla ridefinizione del ruolo del museo come spazio di discussione e mediazione potenzialmente privilegiato nei confronti delle complessità del presente.
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