Rivista "IBC" XXVII, 2019, 4

musei e beni culturali / progetti e realizzazioni

La nuova definizione ICOM. Verso il museo "attivista".
Nomina nuda tenemus

Maria Pia Guermandi
[IBC]

Il 2019 avrebbe dovuto rappresentare un anno di svolta per l’ International Council of Museums (ICOM), l’associazione non governativa dei Musei che sta elaborando una nuova definizione di museo attraverso un processo complesso e non privo di difficoltà.
Anche se tale definizione rappresenta il fulcro su cui ruota l’attività dell’associazione internazionale – il suo backbone come è stato definito − e anche se quest’ultimo ventennio ha registrato una vorticosa trasformazione in ambito museale in termini quantitativi e funzionali, l’attuale definizione ICOM ( 1) ha conosciuto negli ultimi decenni solo pochi e minori 'aggiustamenti’ e, pur datata al 2007, risale sostanzialmente alla seconda metà del secolo scorso, un’era geologica fa per quanto riguarda l’evoluzione museologica a livello mondiale.
Così, di fronte all’evidenza di un non più rinviabile allineamento della definizione ufficiale rispetto a quella che è la complessa e multiforme realtà dei musei del XXI secolo, il board dell’associazione ne ha intrapreso, nel 2016, il percorso di revisione. Le discussioni e i contrasti sono però stati così accesi da condurre ad un sostanziale stallo: durante l’ultima conferenza internazionale ICOM svoltasi a Kyoto nello scorso mese di settembre si è deciso così di rinviare la votazione che avrebbe dovuto ratificare la proposta di nuova definizione, riaprendo le consultazioni a tutto campo.

Questa impasse giunge in realtà dopo un processo di elaborazione in più fasi, gestito da un Comitato appositamente costituito, il Committee for Museum Definition, Prospects and Potentials (MDPP), che aveva adottato da subito modalità partecipative, avviando un sondaggio aperto non solo ai comitati, partners e singoli membri ICOM, ma a tutti gli interessati, invitati a proporre la loro definizione di museo.
Le proposte pervenute sono state oltre 250 da 69 paesi ( 2) e da questa prima raccolta – comunque espressione della cerchia degli addetti ai lavori – emergono, con le cautele dovute all’analisi di un insieme non omogeneo perché su base volontaria e nell’inevitabile diversificazione di visione e approccio, alcune evidenze molto significative che ripercorrono faglie geopolitiche non inaspettate. È il mondo del Centro e Sudamerica a dimostrare la maggiore effervescenza sia in termini quantitativi (le definizioni inviate dai paesi ascrivibili a quest’area, con in testa il Brasile, rappresentano circa un terzo del totale), sia per quanto riguarda l’innovazione dell’impostazione. Il museo disegnato − con forza − da quest’area del mondo diventa un attore privilegiato del cambiamento sociale, quasi uno strumento di lotta per l’emancipazione e la rivendicazione di diritti ed in generale della dignità umana, obiettivo ricorrente nelle definizioni. Tratto comune di molte delle proposte più radicali riferibili a questa area è il mancato riferimento a contenuti fisici (oggetti di qualsiasi tipo) che implica, inevitabilmente, l’abbandono o per lo meno l’accantonamento delle pratiche conservative come obiettivo primario del museo. In generale, quindi, il nuovo museo delineato da questo approccio ha un ruolo attivo, che va ben oltre le funzioni documentali ed educative tradizionali.
Non più (solo) ‘istituzione’, il museo è definito quindi piuttosto come una piattaforma, un’arena democratica che mira alla dinamizzazione/cambiamento sociale attraverso il pieno coinvolgimento delle comunità, vero e proprio termine guida nell’accezione locale e globale, assieme al nesso equità/giustizia sociale. Impostazione non per caso simile proviene anche dal mondo australiano, per il quale i musei sono definiti sì luoghi di produzione del sapere e di ri-affermazione di norme e identità collettive, ma allo stesso tempo divengono strumenti e spazi dove tali norme ed identità possono (debbono) essere messe in discussione.
Se questa impostazione che non a caso ha fatto parlare di un museo ‘attivista’, è stata condivisa anche da alcuni paesi di altre aree geografiche (ad es. India e Stati Uniti), su un versante decisamente più tradizionale si è collocata la maggior parte dei paesi europei ( 3) − Francia e Italia su tutti che hanno interpretato questo passaggio come un aggiornamento soprattutto linguistico della definizione attuale. In questa direzione nelle proposte europee sono stati inseriti alcuni termini di riferimento che rimandano al dibattito contemporaneo (sostenibilità, inclusione e partecipazione su tutti), mantenendo però inalterato l’impianto precedente, a partire dall’identificazione del museo come istituzione.
Elemento trasversale, anche se con rilievo molto diversificato, appare anche il problema ambientale connesso al cambiamento climatico, talora attraverso i riferimenti – più sfumati – alla sostenibilità o al well−being planetario − e in altri casi più esplicitamente evocato attraverso il richiamo all’ecologia e alla giustizia climatica.

In alcune proposte ascrivibili in particolare, ma non solo, al mondo anglosassone, emergono le istanze derivate dai postcolonial studies, frutto di un ripensamento radicale dell’immagine del museo come uno degli strumenti più efficaci (per gli obiettivi di dominio occidentali) della narrazione e affermazione dell’egemonia culturale coloniale.
Infine, residuale appare l’evocazione della nazione, anche se, in realtà, la funzione di nation−building costitutiva della museologia europea ottocentesca, ancora oggi, nella pratica di non poche aree geografiche − anche occidentali − non appare affatto tramontata. Sullo stesso piano si pone la ricorrenza, in molte definizioni, del termine ‘identità’, che, quando non esplicitamente associato all’idea di pluralismo e quindi riferibile ad un ben più aggiornato concetto di identità multiple, sembrerebbe rimandare ad un’accezione esclusiva ed escludente, univocamente connessa al concetto di nazione (e di ethnos).
Di fronte a questo quadro, fortemente contrastato e attraversato da veri e propri sommovimenti tellurici, per quanto privo di una vera e propria rilevanza statistica, il comitato ICOM MDPP ha elaborato la seguente proposta di nuova definizione:

"Museums are democratising, inclusive and polyphonic spaces for critical dialogue about the pasts and the futures. Acknowledging and addressing the conflicts and challenges of the present, they hold artefacts and specimens in trust for society, safeguard diverse memories for future generations and guarantee equal rights and equal access to heritage for all people.
Museums are not for profit. They are participatory and transparent, and work in active partnership with and for diverse communities to collect, preserve, research, interpret, exhibit, and enhance understandings of the world, aiming to contribute to human dignity and social justice, global equality and planetary wellbeing."

Più manifesto che semplice definizione, la proposta del Comitato registra innanzitutto la significativa scomparsa del termine ‘istituzione’: il museo è uno spazio, il luogo del confronto che non si sottrae alle sfide del presente, ma anzi diventa arena privilegiata per affrontare i temi cruciali della contemporaneità, a partire da quelli della disuguaglianza e del benessere del pianeta.
E ancora, il museo non è necessariamente ‘pubblico’, ma il suo ruolo sociale viene definitivamente consacrato, assieme ad una impostazione inclusiva e multivocale.
Come accennato, la proposta, presentata ufficialmente nel luglio scorso, ha sollevato fortissime critiche ( 4): un gruppo di comitati ICOM nazionali – fra i quali quello italiano – l’ha accusata di eccessiva ideologizzazione e soprattutto di oscurare quelle che sono le funzioni tradizionali del museo, prima fra tutte quella educativa.
In realtà, nella sua evidente diversità rispetto all’attuale definizione, la nuova versione ICOM cerca di riallineare la definizione di museo ad un dibattito, in ambito museologico, sempre più intenso negli ultimi anni. É del resto per lo meno dalle analisi di Tony Bennett della metà degli anni Novanta, che il museo è stato inserito appieno nello schema foucaultiano potere/sapere ed interpretato come strumento di gestione culturale della popolazione da parte delle istituzioni governamentali che, anche attraverso i musei, appunto, hanno riaffermato e consolidato norme generali di comportamento sociale. È questo il ruolo primario dell’istituzione − museo quale si configura pienamente nel XIX secolo, una cultural technology che diventa strumento politico a pieno titolo.
Da allora, anche sulla scorta del dibattito avviato dalla new museology a partire dagli anni Ottanta, il museo si è evoluto da testimone e organizzatore di una realtà univocamente intesa, in spazio delle rappresentazioni multivocali, più consone a rappresentare una società pluralista e multiculturale.
E infine, è ora il tempo di un museo, quello ‘attivista’, appunto, che si fa portavoce del cambiamento sociale: è la social agency reclamata da più voci, interne ed esterne al mondo museale, e che conta esempi sempre più numerosi. I musei stanno dunque gradualmente trasformandosi in hybrid fora della modernità (Sadighiyan 2017), in grado di avere un impatto positivo sulle vite dei singoli e delle collettività svantaggiate o costrette ai margini.
Allo stesso tempo è evidente che accanto ad un ruolo sociale a tutto tondo, il ruolo di governmental assemblages e quindi di istituzioni ‘specchio’ del contesto culturale e politico di riferimento continua ad essere quello prevalente per moltissime istituzioni in Italia e nel mondo.
Non si tratta di funzioni meno ‘politiche’ di quelle solo più esplicitamente espresse dal museo ‘attivista’: come ci hanno mostrato gli heritage studies da alcuni decenni ormai, i processi di patrimonializzazione sono sempre politici e conflittuali in quanto frutto di scelte politiche in sé, espressione di valori ed esigenze storicamente, culturalmente, socialmente determinati.

Per quanto riguarda poi l’accusa di scarsa aderenza a quelle che sono le funzioni museali primarie, occorre sottolineare come anche quelle proposte in alternativa dai Comitati nazionali critici sono piuttosto lontane dal restituire un’immagine del museo aderente alla realtà. Basti pensare a quella funzione di intrattenimento – o più pudicatamente edutainment − ampiamente sviluppata, e talora prevalente, in maniera geograficamente trasversale, per rispondere soprattutto – o quasi esclusivamente – alle esigenze dei consumi culturali turistici. Questi ultimi, esplosi a partire dall’inizio del nuovo millennio in coincidenza con il nuovo heritage boom stanno ormai trainando l’espansione della principale industria a livello mondiale, quella turistica appunto. Anche in questo caso si tratta di aspetti non certo apolitici, in quanto testimoniano una precisa scelta di campo secondo la quale il museo e il suo patrimonio culturale sono equiparati ad un prodotto di consumo e i visitatori diventano dei clienti, come è esplicitamente affermato, ad esempio, nella proposta di definizione proveniente dalla Finlandia. A parte questa eccezione, ben poco di questa funzione che tanto spazio va conquistando nelle pratiche museali di tutto il mondo, si riflette nelle definizioni attuali e proposte di ICOM e dei vari Comitati nazionali, a testimonianza del gap esistente fra prassi e teoria museale.
In questa stessa direzione, nell’insieme delle definizioni, frutto comunque della sola comunità di addetti ai lavori (con buona pace dei processi partecipativi citati ad ogni piè sospinto) si può ancora notare una sottovalutazione delle barriere culturali alla partecipazione, di cui già parlava Bennett nel suo fondamentale testo del 1995. Barriere che perpetuano la frattura esistente fra domanda culturale dal basso e offerta museale, in quanto ancora limitano fortemente l’accesso al patrimonio e all’esperienza museale di una parte complessivamente maggioritaria della popolazione, che continua a percepire questi spazi come non significanti per la propria esperienza di vita.
Lungi dall’essere eccessivamente ideologica, a parere di chi scrive, la definizione del comitato ICOM MDPP rappresenta una mediazione tra le prudenze di chi vorrebbe limitarsi ad un aggiornamento dell’impianto concettuale attuale e il radicalismo di alcune proposte che immaginano il museo non più come un’istituzione statica, e neppure come un luogo definito, ma come un processo, una rete fluida di connessioni caratterizzata da spazi in costante trasformazione i cui contenuti sono il risultato di cocreazione e incontro/scontro di esperienze molteplici. È questa, ad esempio, l’immagine proposta dalla definizione proveniente dalla Colombia: il museo come generatore di “unstable knowledge, unfinished thinking processes and anomalies, power of transforming of a life or an entire society”.Non sono più del resto isolate le proposte di organismi museali ben più flessibili e agili di quelli attuali, capaci quindi di meglio rispondere ai cambiamenti rapidissimi del contesto sociale e ambientale: musei in cui non esistono più specifici edifici, personale a tempo pieno e neppure più collezioni permanenti, come accade ad esempio nel progetto del Museum of movements di Malmö presentato nel 2017 (Kulturförvaltningen 2017).
È chiaro allora che in questa direzione e se si vuole interpretare l’istanza partecipativa in modalità non completamente superficiale e svuotata di carica innovativa, la funzione educativa reclamata da parte del mondo degli operatori museali, va profondamente ripensata così come lo sono, attualmente, in ambito epistemologico, le modalità di trasmissione monodirezionali del sapere.

Come si può comprendere, la discussione sulla definizione lungi dall’essere questione linguistica o formale riguarda l’alternativa, difficilmente conciliabile fra una funzione del museo incardinata in un sistema di società neoliberale e consumistica, e nella quale il consumo culturale è destinato a diventare fattore economico sempre più importante e quella di un attore − agent −  del cambiamento non più solo testimone – ontologicamente impossibilitato alla neutralità − dell’esistente, ma motore attivo di discussione e anche conflitto.
Nessuna definizione potrà quindi mai risolvere pienamente questa alternativa irriducibile, ma è auspicabile che ICOM, in quanto associazione non governativa nata dalla volontà di confronto e miglioramento di uno strumento, come il museo tuttora fondamentale nelle dinamiche sociali contemporanee, si faccia portavoce delle molte istanze innovative oggi in circolazione, appoggiando ed incentivando un’evoluzione in senso democratico, sociale, ambientale.
In questo modo potrebbe finalmente essere favorito quell’allineamento fra un’ampia collettività di operatori museali quale è ICOM e le più avanzate analisi dei museum e degli heritage studies secondo le quali i musei dovrebbero spingersi oltre il ruolo di fornitori di servizi culturale e diventare partecipanti attivi nella riabilitazione della fiducia sociale e della partecipazione democratica.
Dopo l’impasse di Kyoto, il dibattito è immediatamente ripreso: ICOFOM, il Comitato ICOM sulla museologia, sta ora elaborando i risultati di un sondaggio sulla proposta di nuova definizione, aperto ai membri dell’Associazione e terminato il 31 dicembre scorso. Superfluo sottolineare l’importanza della partecipazione, la più ampia e attiva possibile, a tale dibattito, del mondo italiano, necessaria sia per riallineare i nostri museum studies al dibattito internazionale e favorire, ad esempio, un’analisi non superficiale di un quadro che vede l’insieme dei nostri musei in una sorta di transizione dai contorni fortemente in chiaroscuro. È quanto emerge dai recenti dati diffusi da Istat sull’ultima rilevazione su musei e istituzioni similari relativa ai dati 2018. Se le performances quantitative sono incoraggianti e quindi i dati dei visitatori registrano consistenti aumenti (+8% rispetto al 2017) è però vero che permangono gravi lacune a livello di accessibilità fisica e sensoriale e per quanto riguarda la digitalizzazione del patrimonio (solo il 10% delle strutture hanno un catalogo scientifico digitale – seppure non completo).

NOTE

1 https://icom.museum/en/activities/standards− guidelines/museum− definition/

2 https://icom.museum/en/news/the− museum− definition− the− backbone− of− icom/

3 http://www.icom-italia.org/eventi/la-proposta-italiana-per-la-revisione-della-definizione-di-museo/

4 https://news.artnet.com/art− world/icom− museum− definition− debate− 1630312

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