Rivista "IBC" XXVII, 2019, 3

territorio e beni architettonici-ambientali / pubblicazioni

Il futuro delle colonie emiliano-romagnole tra cultura e ambiente, ricerca e tradizione.
Tempo di mare

Cinzia Leoni
[Ufficio stampa della Giunta, Regione Emilia-Romagna]

Le colonie. Costruzioni gigantesche, che spesso si affacciano sulla costa, seminascoste dalla natura che ha ripreso il sopravvento, tra pini, pioppi argentei, platani e rovi. Mostrano le ferite del tempo, che erode intonaci e infissi.  Guardandole dal mare, e passeggiando nel lungomare appaiono come un’interruzione improvvisa nella facciata continua di alberghi, case e servizi balneari, che affollano la “prima fila”.  Rappresentano quindi un orizzonte conosciuto per gli emiliano-romagnoli e forse anche per questo, oltre al fatto che fanno parte dei ricordi estivi di diverse generazioni, sono ormai radicate nell’immaginario collettivo, hanno acquisito il carattere di beni fortemente identitari.  

Ripercorrendo brevemente la loro storia le troviamo a partire dalla prima metà del XIX secolo in contesti marini o montani, come centri ricreativi o anche salutari e destinati al soggiorno di bambini e adolescenti. Nate in Toscana, si sono diffuse un po’ in tutto il territorio nazionale, ma soprattutto nelle regioni del nord.  Solo in Emilia-Romagna ne furono costruite diverse centinaia. Durante il fascismo ebbero il maggiore sviluppo, diventando il fiore all'occhiello del programma igienista del regime e di conseguenza anche oggetto della propaganda fascista, che voleva crescere giovani sani e atletici e soprattutto fedeli ai principi del regime. Per questo motivo le colonie si sono ulteriormente diffuse e dalle classiche strutture a padiglioni in mattoni rossi faccia a vista, si è passati alle linee geometriche e rigorose degli architetti razionalisti che vi hanno sperimentato le ultime innovazioni tecnologiche: dall'ottimizzazione degli spazi interni alla progettazione degli impianti idrotermici ed elettrici, fino all'adozione del cemento armato, con soluzioni progettuali antisismiche.

La colonia marina Costanzo Ciano di Varese a Milano Marittima, circondata da un’ampia pineta, è forse uno degli esempi più straordinari di tale tipo di architettura. Progettata e realizzata dall'ingegnere Mario Loreti venne utilizzata come Colonia solo nell'estate del 1939. L’unico tentativo di ristrutturazione avvenuto nel dopoguerra non fu mai portato a termine. Nel corso del tempo è stata utilizzata solo come set di due film: La ragazza di latta di Marcello Aliprandi, del 1970 e Zeder di Pupi Avati nel 1983.

Si tratta di strutture ancora moderne nella concezione ma non certo nell’aspetto… Secondo il fondamentale censimento, effettuato dall’Istituto Beni Culturali e oggetto della pubblicazione Colonie a mare, nel 1986 ne rimanevano 246. Ma dopo allora, alcune sono cadute per fare spazio a nuova cementificazione, mentre altre sono state riutilizzate, conservandone sì l’aspetto l’esterno, ma svuotando all’interno le tracce della loro struttura storica. Solo la colonia Agip di Cesenatico viene ancora utilizzata per lo scopo per cui era stata progettata, mentre la colonia Le Navi di cattolica ospita un acquario. Il resto delle strutture è in stato di completo abbandono. 

Lasciando perdere l’infelice idea di lasciarle crollare, magari per liberarsi da scomodi vincoli architettonici e poter riedificare liberamente, cementificando ulteriormente la costa, proprio perché appartengono al panorama affettivo della collettività è giusto pensare a progetti di rigenerazione urbana, di riutilizzo e riqualificazione partendo appunto da suggestioni provenienti dalla collettività stessa.  

Ed è proprio da un progetto di rigenerazione urbana che ha dato buoni frutti che vogliamo partire per vagliare le possibilità che si stanno sperimentando per riportare in vita questi giganti e restituirli alla collettività.

Il progetto Riutilizzasi – Colonia Bolognese, è nato proprio dalla volontà della società civile di prendersi cura di un bene storico e in stato di abbandono. Grazie all’associazione Il Palloncino Rosso la Colonia Bolognese di Miramare di Rimini nell’estate 2018 ha riaperto al pubblico una porzione dell’edificio, destinandolo (dal 24 giugno fino al 21 settembre) ad una serie di eventi culturali per coinvolgere la cittadinanza e allontanare il degrado. La Colonia, costruita nell’epoca fascista su progetto dell’ingegner Ildebrando Tabarroni, è stata così al centro di Tour delle Colonie, cinema all’aperto, concerti, ma anche di eventi sportivi.

Risale all’estate appena trascorsa invece, la mostra Storie di Colonia. Racconti d’estate dalla Bolognese, 1932-1977, un progetto che si è focalizzato sulla “memoria” della colonia, con la raccolta di testimonianze scritte e orali, di fotografie, filmati e documenti di oltre 40 anni di vita della struttura, facendo rivivere le storie delle persone che l’hanno frequentata in quelle estati lontane. Ne è risultato un grande affresco di ricordi, un’archivio work in progress, grazie anche alla diffusione dei socialnetwork che hanno ricostruito, attraverso il passaparola sul web le presenze di allora, le amicizie e quindi la memoria di chi è passato da lì.

Racconti, immagini, spesso in bianco e nero, la mostra a cura di Ilaria Ruggeri, Paola Russo e Luca Villa, è un piccolo esempio di cosa si puo’ fare per rivitalizzare questi grandi spazi.  

Ma altro si può immaginare negli ampi volumi che le contraddistinguono come nelle aree verdi che le circondano. Dalla restituzione delle aree verdi a parco urbano, come sarebbe possibile per la bella pineta che circonda la Colonia di Milano Marittima, alla ristrutturazione degli spazi da destinare ad iniziative e servizi legati al territorio, allo studio e ricerca degli ambienti marini, alla conservazione delle tradizioni della pesca, a lavori artigianali e anche a forme di turismo per giovani o anziani rivisitate ed aggiornate, con servizi comuni, e spazi creativi.

Ma “è necessario uno sforzo, un coinvolgimento collettivo”, come ci suggerisce già nella prefazione del volume dell’IBC l’architetto Pier Luigi Cervellati, che ha coordinato la parte scientifica, “per tentare di sperimentare nuove e autenticamente diverse soluzioni urbane ed ambientali”, che possano rivitalizzare questi poderosi spazi e restituirli alle comunità, soprattutto alla luce dei nuovi cambiamenti climatici e alla conseguente necessità di consumare meno territorio possibile.

 

 

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