Rivista "IBC" XXVII, 2019, 3

musei e beni culturali / mostre e rassegne

A Rimini la mostra di Rudy Cremonini "Del processo e dell'archivio". 
Una sottrazione che aggiunge

Annamaria Bernucci
[Musei comunali di Rimini]

Si potrebbe partire dal presupposto che il museo, riunendo una quantità di oggetti artistici diversi per epoca, per provenienza e per caratteristiche formali - come raccontava Andrè Malroux - possa liberare l’arte dal proprio contesto storico. E al di là del valore specifico di ogni singola opera, al di là del tempo e del luogo, il museo possa sciogliere la capacità di sprigionare idee, di dissertare, di mettere in discussione il mondo. Il museo può divenire spazio spregiudicato e contesto per un agire artistico col quale creare accadimenti, silenti ed enigmatici, e aprire nuove prospettive allo sguardo, rivelare confronti inaspettati. Al suo interno si può compiere insomma il primo passo per la diffusione di un sogno, per una rassicurante evasione. Lo spazio museale può trasformarsi in luogo mentale personale, per artista e spettatore, cambiando pelle, assecondando quel particolare immaginario che ciascuno ‘porta dietro le palpebre’, luogo in cui le opere manifestano pienamente la loro capacità di provocare veri e propri atti d’amore, giacché “sono loro a sceglierci, più di quanto non siamo noi a scegliere loro”.

Qualcosa del genere deve essere accaduto anche a Rudy Cremonini che nel Museo della Città di Rimini si è mosso e che ha attraversato, e, più ancora, esplorato i suoi depositi, traendone spunti profondi e inediti. Del processo e dell’archivio è la mostra che ha allestito nello spazio denominato Manica Lunga (sino al 22 settembre con finissage), curata da Massimo Pulini, e che mette in gioco più di una connessione tra il luogo - il museo, deputato alla conservazione delle opere - e il lessico della pittura contemporanea.

I magazzini dei musei godono di un’aura misteriosa con opere precluse alla vista del pubblico, una escludibilità di consumo visivo che in questo contesto è stata interrotta, dirottata per far fronte a un dialogo possibile, aprendo un ventaglio di scelte pittoriche che allargano la stessa disponibilità delle collezioni. Vale la pena ricordare, citando Antonio Paolucci*, che “i depositi stanno al museo visibile così come i nostri organi interni stanno ai nostri occhi e alla nostra pelle. Devono semplicemente essere ben tenuti e resi visitabili a chi ha ragione e titoli per vederli”.

L’interesse di Rudy Cremonini per questo patrimonio celato si è trasformato da subito in necessità, in occasione di crescita sia del processo creativo che di relazione progettuale con lo spazio allestitivo messo a disposizione per la mostra; i suoi interventi pittorici hanno trovato una sponda di riferimento in alcune opere e sculture di diversa epoca e stile provenienti da quella riserva, creando un rapporto fisiologico tra quanto conservato nei depositi e fatto riemergere con innegabile autonomia e il percorso pittorico da lui costruito. Ne è scaturito, al di là dell’espediente narrativo, un accostamento che diviene parte integrante di ciò che è chiamato a rappresentare, cioè un’opera nuova, un insieme coerente, funzionando come un vero e proprio dispositivo, a seconda, simbolico e spaziale. Né didascalico né immediatamente decifrabile. E gli “insiemi” sono capaci di far sprigionare enigmi e sollecitazioni formali. “Capsule del tempo” - sono state definite - che abbattono regole e fragilità, il fluire e le interruzioni della storia e i diaframmi della memoria. L'artista diviene un trasformatore che domina l’immagine (e il racconto) sia essa figura o paesaggio o oggetto. Una mise en scéne volutamente ricercata e messa in evidenza per simulare una realtà diversa, per rendere credibile una finzione, o anche solo per creare artificialmente una determinata atmosfera, dove singolari intrecci e inquadrature oblique creano solitudini e silenzi e la pittura ad olio, sotto la sua mano sicura, svolge un compito preciso, scivolando verso un sottile livello di astrazione, arricchita dal gioco di arabeschi, di figure e sfondi, sempre controllata e fluida. Cremonini incarna un cambiamento di paradigma nell’intendere la pittura, abbassa la temperatura tonale, la smorza, ma restituisce l'essenza delle cose. Sono volti, corpi, animali, ma anche giardini e piante e fiori, immersi in una sospensione temporale, nei quali tutto il visibile e il quotidiano perde il contingente mentre sulla superficie pittorica si emulsiona una sintesi formale, lieve come un brano musicale. “La sua – scrive Pulini – è una sintesi significante, una sottrazione che aggiunge, una diminuzione di peso pittorico e una addizione di franchezza espressiva”.

* Qui Touring, febbraio 2013

Mostra
Del processo e dell’archivio
Museo della Città di Rimini, 4 agosto-22 settembre 2019

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