Rivista "IBC" XXVII, 2019, 2

Un'importante arteria stradale che collegava la Pianura Padana alla Tuscia.
La via Parma-Lucca

Nicola Cassone
[Civici Musei di Reggio Emilia]

In queste pagine si intende dare un contributo alla comprensione della storia, delle dinamiche insediative e degli assetti istituzionali del settore dell’Appennino emiliano gravitante sulla valle del fiume Enza e storicamente conteso tra Reggio Emilia e Parma; ciò alla luce di una serie di dati di natura documentaria, archeologica, topografica e toponomastica che vi attestano il passaggio, in epoca antica e medioevale, di un'importante arteria stradale che collegava la Pianura Padana alla Tuscia, la via Parma-Lucca menzionata nel cosiddetto Itinerarium Antonini Augusti, unafonte itineraria la cui compilazione risale alla tarda antichità* .

Ci si chiede se la presenza di questa via di comunicazione possa aver condizionato, e in che misura, la diffusione del popolamento, l’ubicazione degli insediamenti, la creazione di confini amministrativi, la vitalità dei flussi commerciali in un'area che, a partire dalla tarda-antichità, ha avuto per circa quattro secoli, indicativamente dalla metà del VI alla metà del X, una precisa fisionomia e identità istituzionale; tale identità si concretizzò nella creazione, in età longobarda, di un distretto amministrativo facente capo al centro di Bismantova: il nome di questo distretto ci è stato tramandato da due fonti documentarie di età carolingia come gastaldatus Bismantinus. Il gastaldato bismantino venne probabilmente creato ricalcando i confini di un più antico ambito amministrativo denominato ΚàστρονΒισιμαντòν, attestato in un'importantissima, anche se isolata, fonte romana-orientale di VI-VII secolo. In un momento cruciale della storia longobarda, quando nei primi anni del VII secolo re Agilulfo condusse una serie di operazioni militari tese alla riconquista del settore emiliano occidentale (dopo la defezione dei duchi di Parma, Reggio e Modena che passarono all’esarca di Ravenna), la conquista del distretto Bismantino consentì ai longobardi di controllare un percorso transappenninico di vitale importanza strategica che collegava la pianura Padana a Lucca, città che, di fatto, costituì la vera e propria capitale della Tuscia longobarda; questo percorso era assicurato dal controllo della antica strada romana Parma-Lucca, che, sino alla successiva avanzata longobarda in Liguria, condotta da Rotari nel 643, costituì il principale collegamento viario tra Langobardia e Tuscia. L’ambito geografico ricalcato dall'antico distretto bismantino comprendeva, da nord a sud, la sponda reggiana della media ed alta valle dell'Enza, le intere vallate del Tassobbio e della Lonza, la testata della valle del Tresinaro, l'alta valle del Secchia e si spingeva sino al crinale tosco-emiliano, nel tratto compreso tra il passo di Pradarena ed il passo del Lagastrello. La funzione di questo distretto amministrativo montano fu, nell’alto medioevo, quella di un vero e proprio centro di controllo dell’importante arteria stradale transappenninica che ricalcava, con le inevitabili deviazioni e rettifiche di percorso causate dallo scorrere dei secoli, l’ambito della più antica via romana. Nel corso del IX e X secolo, durante l’impero Carolingio e il regno Italico, la vitalità e l’importanza strategica di questa via di comunicazione sono sottolineate dalla creazione di una serie di curtes fiscali, sorte a suo presidio, ubicate lungo l’asse della valle dell’Enza ( gaium regio del Monte Cervario e curtis di Roncaglio), del Secchia ( curtes di Felina e Malliaco) e a ridosso del crinale tosco-emiliano ( curtis di Nasseta). A partire dalla metà del XII secolo la frammentazione dei poteri civili seguita alla fine del dominio canossano portò anche in questo settore montano alla comparsa di una molteplicità di attori che si appropriarono, più o meno legittimamente, delle principali funzioni pubbliche, tra le quali la wardia stratarum, con i conseguenti diritti di esazione di pedaggio e di altre imposte sulla viabilità. Ancora nel XIV secolo l’esistenza dell’antico percorso stradale è attestato dall’alleanza tra i comuni di Parma e di Reggio per la distruzione del castello di Crovara, occupato dalla consorteria feudale dei Da Palude, il cui possesso assicurava il controllo della “strada per la Tuscia”.

Dal punto di vista metodologico la presente ricerca si è basata innanzitutto sull’analisi delle immagini aeree e satellitari e della lettura analitica della cartografia storica dell’area geografica in cui si è ipotizzato il passaggio dell’antica strada: principalmente le carte topografiche dei Ducati di Parma e Guastalla e di Modena e Reggio in scala 1:86.400 (entrambe redatte negli anni ‘20 del XIX secolo) e la serie storica delle tavolette IGM in scala 1: 25.000; partendo da alcuni capisaldi attraverso i quali le fonti documentarie, archeologiche e toponomastiche potevano suggerire il passaggio dell’antica strada (come ad esempio il terminale padano del percorso, la città di Parma, la presenza lungo la sponda reggiana della val d’Enza di due località denominate la Strada, il vicus stradale romano di Luceria), si è cercato di collegare questi capisaldi seguendo un tracciato che rispondesse ai criteri della minor distanza tra due punti, miglior inserimento ambientale, minore pendenza e maggiore stabilità geomorfologica. Un’inaspettata scoperta, realizzata dall’autore dello studio, ha permesso di identificare nel passo di Cavorsella il valico utilizzato dalla strada per attraversare il crinale appenninico tosco-emiliano, circostanza che ha contestualmente rivalutato una preziosa testimonianza documentaria alto-medievale, che attestava il passaggio di una strada pubblica, sottoposta quindi all’autorità del fisco regio, proprio in questo settore montano, una strata che, significativamente, è detta giungere “ usque finibus Tusciae”. Si tratta di un grande blocco lapideo parallelepipedo rinvenuto sul versante toscano del passo di Cavorsella, a monte di Sillano (LU), denominato “Pietra Quingenaria”; il macigno appare squadrato ad arte ed è contrassegnato da una grande incisione cruciforme sulla faccia superiore; questa pietra, ormai negletta nel folto della faggeta, indicava, secondo gli abitanti del luogo, la linea confinaria tra i pascoli comunitari di Sillano e quelli di Dalli; la sua denominazione attesta però con evidenza anche la sua funzione di antico punto di riferimento stradale: l’appellativo quingenaria deriva infatti dal numerale latino quinqueginta (50) e non può essere frutto del caso che la Pietra Quingenaria si trovi a 50 miglia romane da Lucca (75,8 km), seguendo un itinerario che percorre la valle del Serchio e che tocchi le località di Diecimo, Valdottavo e Sesto a Moriano, tutte indicanti le rispettive distanze in miglia romane da Lucca.

Va infine posta un’attenzione particolare al fenomeno della lunga durata nel tempo del percorso stradale qui ricostruito; la via Parma-Lucca venne realizzata, con tutta probabilità, all’indomani della fondazione delle due città che ne costituivano i terminali: la colonia civium romanorum di Parma, dedotta nel 183 a.C. e la colonia latina di Lucca, fondata verosimilmente tre anni dopo, nel 180 a.C. Le due deduzioni coloniarie rientravano in un ben preciso piano strategico perseguito dai romani durante le guerre condotto contro le popolazioni liguri insediate sui due versanti dell’Appennino Settentrionale, piano che mirava a circondare, a nord ed a sud, la catena appenninica e a controllarne i valichi; tale azione non poteva non prevedere l’apertura di strade di arroccamento che, come la Parma-Lucca, ne mettessero in collegamento i capisaldi. La strada vide pertanto la luce durante le fasi dell’assalto romano all’acrocoro montano appenninico difeso dalle nazioni liguri dei Friniati e degli Apuani, assalto che si risolse in una lunga serie di operazioni militari che si protrassero ininterrottamente dal 187 al 173 a.C. La stessa denominazione della Parma-Lucca, che, nell’ Itinerarium Antonini è detta “ via Clodia”, potrebbe riferirsi alla realizzazione di una strada militare da parte del proconsole Caio Claudio Pulcro, che nel 176 a.C. radunò proprio a Parma un esercito per condurlo “ ad fines Ligurum”. Appare evidente la funzione strategica di una strada che attraversava, spezzandolo in due tronconi, il territorio dei Liguri Friniati e degli Apuani e, al contempo, metteva in collegamento i due capisaldi militari di Parma e Lucca, posti rispettivamente a nord ed a sud dell’area da pacificare. Per queste ragioni si deve pensare ad una sostanziale unicità del percorso stradale, progettato per esigenze militari e quindi giuridicamente controllato dallo Stato romano; questa unicità di percorso deve essersi mantenuta almeno sino alla tarda antichità, quando la Parma-Lucca risulta, assieme alla Faenza-Firenze-Lucca, uno dei due percorsi privilegiati, utilizzati dal cursus publicus, per collegare la Tuscia all’Emilia. Durante l’alto medioevo, e comunque per tutta la durata del Regno Longobardo, si può ipotizzare un sostanziale mantenimento del tracciato stradale antico, pur con le inevitabili e puntuali variazioni di percorso provocate dal trascorrere del tempo in un territorio ad alta instabilità idrogeologica come quello appenninico; a questi fenomeni naturali si deve aggiungere l’abbandono e quindi la scomparsa di antichi centri abitati che svolgevano funzioni di servizio alla strada, (come è accaduto nel caso del vicus romano di Luceria), e la defunzionalizzazione di infrastrutture stradali specifiche, come ponti e sostruzioni di sostegno nei tratti montani più impervi, circostanze che possono certamente aver contribuito a significativi mutamenti e parziali deviazioni del percorso originario. Nel basso medioevo, età caratterizzata da un quadro amministrativo notevolmente frammentato, più che ad un percorso univoco e ben riconoscibile si dovrà invece fare riferimento ad una vera e propria “area di strada”, dove interagivano numerosi tracciati paralleli, o meglio varianti di percorso, che si ricollegavano in punti nodali costituiti dai valichi montani, dai luoghi di riscossione dei pedaggi, da abitati (villaggi o castelli), da centri di mercato o da infrastrutture stradali (ponti, ospitali) che ne attiravano il tracciato, per poi tornare a ramificarsi.

 

*L’articolo nasce dalle ricerche svolte dall’autore per il libro Roma in Appennino. Storia e civiltà lungo la via Parma-Lucca, Aliberti Editore, Reggio Emilia 2018. Autori: Nicola Cassone, Chiara Dazzi, Filippo Fontana, Francesco Garbasi.

Il volume è stato promosso sostenuto dal Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano.

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