Rivista "IBC" XXVII, 2019, 1

musei e beni culturali / mostre e rassegne, progetti e realizzazioni

Fotografia Europea e le committenze che arricchiscono Reggio Emilia.
I Legami della fotografia

Monica Poggi
[Studiosa di fotografia]

Dopo le rivoluzioni che hanno animato Reggio Emilia lo scorso anno, quest’edizione di Fotografia Europea, la quattordicesima, si declina attraverso il tema Legami. Intimità, relazioni, nuovi mondi. Da leggere secondo due interpretazioni possibili, “una di carattere individuale, l’altra di carattere collettivo, che spesso naturalmente confluiscono in un unico alveo”, ci spiega Walter Guadagnini, direttore artistico della manifestazione. La sfera delle relazioni umane, quindi, indagata in tutte le sue forme, partendo dall’intimità dei legami amorosi e famigliari per arrivare alla dimensione sociale che si struttura su tutta una serie di altri codici di comportamento più o meno condivisi.

La manifestazione, promossa e organizzata dalla Fondazione Palazzo Magnani insieme al Comune di Reggio Emilia e alla Regione Emilia-Romagna, e si conferma fiore all’occhiello della programmazione culturale della regione. Le tante mostre disseminate in vari spazi del centro e il ricco programma di conferenze, spettacoli e workshop sono stati in grado, ancora una volta, di animare la cittadina emiliana con una proposta dal respiro internazionale. Questo anche grazie all’individuazione del Giappone come paese ospite di quest’anno, da scoprire attraverso i molteplici punti di vista di artisti giapponesi, europei e asiatici. Una scelta che rispecchia l’apertura verso suggestioni extraeuropee che si avverte già da alcune edizioni.

Fin dall'inizio, invece, è stata forte la volontà di arricchire il territorio attraverso la costruzione di una collezione che nel corso degli anni è arrivata a contare più di 900 opere, conservate presso la Fototeca della Biblioteca Panizzi. Buona parte delle acquisizioni nascono dalle committenze che ogni anno Fotografia Europea affida ad alcuni artisti, invitandoli a lavorare sulle varie tematiche individuate dal comitato scientifico.

L’esito della commissione del 2018 sul tema Rivoluzioni. Ribellioni, cambiamenti, utopie, affidata a Francesco Jodice (Napoli, 1967), viene presentata quest’anno ai Chiostri di San Pietro. Coerentemente con le sue ultime ricerche, incentrate sul declino dell’Occidente e sull’incapacità dei paesi che ne fanno parte di confrontarsi con tale situazione, Jodice ha realizzato il film Rivoluzioni. A una riflessione di carattere geopolitico, l’artista ha voluto aggiungere anche l’interesse per ricerche scientifiche che indagano l’origine e l’evoluzione dell’universo. In entrambi gli ambiti, infatti, il termine ‘rivoluzione’ è ricorrente, seppur con accezioni e significati differenti. Nelle immagini che vediamo scorrere davanti ai nostri occhi questi due poli tematici sono perfettamente tenuti insieme dal concetto di circolarità, su cui si basa l’intero progetto che nasce da un fatto realmente accaduto: il 17 giugno 1989 l’agenzia spaziale cinese lancia, in totale segretezza, la sonda Kaiju 2 con lo scopo di raggiunge la soglia di un buco nero per vedere cosa c’è dall’altra parte. Lo stesso giorno Francis Fukuyama menziona per la prima volta il concetto di “fine della storia”, esponendo l’idea secondo cui tutti gli avvenimenti che stiamo vivendo, e vivremo, sono in realtà la ripetizione di qualcosa che ha già avuto luogo. Il futuro è finito. Il video è un percorso non lineare all’interno di queste suggestioni, accentuato dalla grande capacità di utilizzare frammenti visivi provenienti dalla memoria collettiva - come lo struggente dialogo muto fra Boris Karloff e Louise Brooks - in un continuo gioco di rimandi fra realtà e finzione cinematografica. Ad aggiungere fascino al tutto c’è il fatto che, proprio a pochi giorni dall’inaugurazione della kermesse, l'Event Horizon Telescop ha diffuso la prima immagine di un buco nero mai realizzata, già definita la “fotografia del secolo”.

Ai Chiostri di San Pietro vengono presentate anche le commissioni che Fotografia Europea ha assegnato quest'anno, una a Vittorio Mortarotti e Anush Hamzehian, che vedremo realizzata interamente durante la prossima edizione, e una a Jacopo Benassi (La Spezia, 1970).

Quest'ultima vede il proseguimento della collaborazione fra Fondazione Palazzo Magnani e Fondazione Nazionale della Danza - Arteballetto, iniziata lo scorso anno con il progetto In/Finito di Toni Thorimbert. Il rapporto fra le due istituzioni si concretizza nell’incontro fra le immagini di Benassi e la coreografia che Diego Tortelli ha pensato per un danzatore e uno schermidore paralimpico. Tutto ruota attorno all'idea di imperfezione. Lo vediamo chiaramente nelle fotografie di Benassi che, con il suo tipico sguardo tutt'altro che indulgente, ritrae sé stesso e altri soggetti concentrandosi sugli elementi discontinui, sgraziati, fuori posto, senza che questi siano camuffati da particolari orpelli estetici. A interessarlo sono proprio le crepe attraverso cui i soggetti mostrano la loro fragilità, come nelle immagini che lo raffigurano durante la convalescenza a seguito di una frattura. Anche quando ritrae statue, che per vocazione storica hanno lo scopo di rappresentare la perfezione formale del corpo e la vittoria della materia sul tempo, si concentra su quelle in restauro, rotte e crepate. Su questo concetto nasce anche la coreografia di Tortelli, intitolata Inter-view: Emanuele and Clément, che ha animato le sale dell’esposizione nelle giornate di apertura del festival. In dialogo con le opere esposte, il danzatore e l'atleta hanno impiegato i propri gesti e la propria presenza fisica per espandere il concetto stesso di bellezza, uscendo dai canoni riconosciuti per entrare in una dimensione di incontro totale con l’altro.

Bisognerà, invece, avere pazienza per vedere completato il lavoro di Vittorio Mortarotti (Torino, 1982) e Anush Hamzehian (Padova, 1980), prodotto in collaborazione con diverse istituzioni come l'Istituto Italiano di Cultura di Tokyo e l'Università Ca' Foscari di Venezia, oltre a Fondazione Palazzo Magnani.

In mostra quest'anno troviamo The First Day of Good Weather di Mortarotti, e una delicata anteprima di ciò che vedremo nel 2020: un’installazione sonora che avvolge i visitatori con le parole della lingua dunan, parlata da una manciata di persone sull’isola di Yonaguni. L’isola - è questo anche il titolo del progetto - è un piccolo pezzo di terra emerso dal mare, esposta alle correnti più forti dell’Oceano Pacifico. Qui vivono un migliaio di persone, non c'è lavoro, mancano le scuole e gli ospedali. “A Yonaguni non si nasce e non si muore”, dice un vecchio pescatore intervistato dai due artisti. L'unico cantiere attivo è quello della base militare che presto trasformerà questo luogo nell'avamposto strategico più occidentale del Giappone. Fra gli abitanti rimasti quasi nessuno parla più il dunan, estirpato dalle scuole giapponesi che negli anni Trenta si sono insediate sull’isola. Secondo una mappatura realizzata nel 2010 dall’Unesco, sono più di 250 le lingue scomparse negli ultimi cinquant’anni e 3000 in pericolo. Il dunan è classificato come “Severely Endangered Language”, nel giro di pochi anni è destinato a scomparire, e con esso le storie e la cultura unica di Yonaguni. Utilizzando diversi linguaggi – video, fotografie, registrazioni audio, ma anche documentazioni linguistiche ed etnografiche – Mortarotti e Hamzehian mettono in atto un tentativo, tanto poetico quanto inutile, per impedire che questo accada. Nonostante il progetto si strutturi – inevitabilmente – sul senso di inadeguatezza di chi, vedendo qualcosa che sta scomparendo, non può far niente per invertire il processo, il loro lavoro ha prodotto comunque un piccolo cambiamento. L'illustre sociolinguista Patrick Heinrich, che in passato di era occupato del dunan, ad esempio, si è riavvicinato all'argomento e sta collaborando con gli artisti per la realizzazione degli apparati scientifici della ricerca. Può sembrare poco, indubbiamente non abbastanza, eppure, di fronte a una sfida contro la globalizzazione che nessuno è ormai più in grado di vincere, chi, se non l'arte e gli artisti (e di conseguenza anche le istituzioni che li sostengono), dovrebbe assumersi il compito di custodire l'ultimo bagliore di una civiltà che scompare?

 

Mostre:

“Jacopo Benassi. Crack”
“Francesco Jodice. Rivoluzioni”
“Vittorio Mortarotti. The first day of good weather”
Fotografia Europea “LEGAMI. Intimità, relazioni, nuovi mondi”, edizione 2019
Reggio Emilia, Chiostri di San Pietro
12 aprile-9 giugno 2019

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