Rivista "IBC" XXVII, 2019, 1
territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / pubblicazioni
È introdotta da Andrea Emiliani la nuova monografia sul palazzo Malvezzi de’ Medici edita dalla BUP per la Città metropolitana di Bologna. L’altra, del 1981, aveva la presentazione di Giulio Carlo Argan. Due firme prestigiose per due volumi di pregio; con in più, in questa pubblicazione, uno degli ultimi scritti dello storico dell’arte recentemente scomparso.
L’occasione per ritornare sulle vicende dell’edificio, una “storia da rivivere” per parafrasare il titolo scelto dagli autori (Bergamini, Demaria e Maini), è il restauro che dopo quattro anni ha restituito all’antico splendore uno dei palazzi più gloriosi della città, sede della Provincia nel 1934. Qui, in questa dimora senatoria dove fu ospite Leopardi, si giocò una parte della vita politica di Bologna, quando ancora la via Zamboni si chiamava strada San Donato. Ce lo raccontano i saggi di Giancarlo Roversi e di Elena Gottarelli pubblicati nell’81 e qui riproposti per il rigore della ricerca storica e la piacevolezza della lettura. Così, attraverso le pagine del Roversi rivive la saga della famiglia detta “dal portico buio”: non perché angusto fosse il porticato del palazzo ma per la penombra del loggiato di fronte, quello dei Manzoli che anche oggi, quando scendiamo verso piazza Verdi, ci avvolge nell’oscurità ricordata dalla toponomastica popolare. Luminosa, invece, e monumentale fu la residenza dei Malvezzi (de’ Medici dal 1520). Il progetto per il “palazzo da San Giacomo” da costruire “a decoro e ornamento della città di Bologna” come si legge - in latino - nel rogito del 1559, era opera di Bartolomeo Triachini, uno degli architetti più rappresentativi del ‘500 locale. Prima, però, i Malvezzi avevano dovuto trattare con gli agostiniani per assicurarsi una porzione del terreno antistante la chiesa. Nel XVI secolo piazza Rossini era coperta da un tappeto erboso e lungo la via che conosciamo con il nome di Benedetto XIV transitavano i cavalli che si dirigevano in San Vitale. Oggi non ci raccapezzeremmo, anche perché siamo abituati ad ammirare il sagrato di San Giacomo come uno degli scorci urbanistici più eleganti della città, chiuso com’è dalla quinta classica del palazzo: una facciata elegante, scandita dagli ordini che dal basso verso l’alto - dal dorico al corinzio - si alleggeriscono per conferire slancio al prospetto. Enfatizzare sul lato libero il fronte dell’edificio che da strada San Donato non sarebbe stato possibile apprezzare era necessario; così, con un’operazione sola, i Malvezzi avevano innalzato un palazzo magnifico intervenendo sul decoro della città.
I cantieri proseguirono con il ramo della famiglia che si era insediato in quella residenza a inizio ‘600, rimanendovi fino al ‘900. Al 1725 risale lo scalone monumentale disegnato da Ferdinando Bibiena e realizzato da Alfonso Torreggiani: per tutto il secolo, e fino all’arrivo dei francesi, quelle rampe furono lo scenario dei rituali senatori che a Bologna erano così precisi da condizionare l’architettura. Non sappiamo come fossero organizzati, all’epoca, gli appartamenti di parata: nel 1852 Giovanni Malvezzi li aveva ristrutturati. Senatore del Regno, sindaco di Bologna, consigliere provinciale, questo nobile liberale che combatteva gli austriaci era nemico di ogni “cascame passatista”. Così, fece piazza pulita e spazzò gli orpelli senatori del suo casato. Per i progetti scelse Francesco Cocchi, uno scenografo di formazione europea che con il decoratore Andrea Pesci adeguò gli interni del palazzo allo stile storicista: una regia degna del Gattopardo, curata in ogni dettaglio (i disegni per i battenti sono conservati al Cooper Hewitt di New York). Lungo gli ambienti, sfila un’antologia della decorazione dell’800. Si incontrano, percorrendo il piano nobile, la Sala Rosa, o degli Amori, affrescata da Girolamo Dalpane e decorata dallo scultore Putti in un neo-rococò che ricorda quello di palazzo Spada e di palazzo Bonasoni, sede dell’Istituto Beni Culturali; il Salottino Verde dipinto da Luigi Samoggia, la Biblioteca, la Sala Verde e la Sala delle Ninfe. Qui Teresa Malvezzi riceveva gli ospiti nel salotto letterario. I festeggiamenti avvenivano, invece, nella Sala dello Zodiaco (Sala del Consiglio), l’ex sala senatoria trasformata dal Cocchi e aperta su una volta di cielo da Onofrio Zanotti. Nel vasto ambiente una grande tela di Ferdinando Bibiena, la Prospettiva architettonica con corteo, testimonia i fasti dei Malvezzi e la tradizione della scenografia emiliana: è un’opera rappresentativa, confluita nel patrimonio artistico che la Città metropolitana ha ereditato dalla Provincia con i dipinti che si allineano nelle sale contigue. Nel palazzo, ottocento pezzi fra quadri, sculture, stampe, disegni, mobili e oggetti della liturgia raccontano la storia di realtà importanti e tra queste, oltre alla Provincia che aveva sede in Palazzo d’Accursio con il Comune e la Prefettura, l’Ospedale dei Bastardini e la memoria stessa dei Malvezzi de’ Medici, rappresentata dagli arredi ceduti, con il palazzo, dal marchese Aldobrandino. L’atto di vendita, del 1931, costituisce una documentazione straordinaria, descrivendo le decorazioni e la disposizione dell’arredamento.
Ancora, tra gli elementi d’interesse del volume, andrà ricordato il saggio di Gian Carlo Grillini sul restauro del materiale lapideo del palazzo: una caratteristica di questo edificio nobile messa in dialogo, qui, con la tradizione, e la tutela, dell’arenaria bolognese.
Volume:
Davide Bergamini, Grazietta Demaria, Serena Maini (con prefazione di Andrea Emiliani),
Palazzo Malvezzi de’ Medici a Bologna. Una storia da rivivere, Bononia University Press, Bologna, 2018.
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