Rivista "IBC" XXVII, 2019, 1

Recensione al libro: Tra Cinquecento e Settecento capolavori svelati nelle chiese di Capugnano e Castelluccio
Capugnano e Castelluccio

Elisabetta Landi
[IBC]

L’oro del Reno è il patrimonio artistico dell’Appennino bolognese. Lo scrive Angelo Mazza nella prefazione all’atlante fotografico di Stefano Semenzato che nelle chiese di Capugnano e di Castelluccio, come dice il titolo, svela capolavori. Riprodotti con immagini patinate, e di grande effetto, dipinti e oggetti di devozione ci invogliano attraverso il volume a metterci in marcia alla volta di un museo diffuso, funzionando come una “mappa” per una caccia al tesoro. Il premio è un livello qualitativo alto. Sono opere prestigiose che ci invitano alla scoperta di una montagna piena di sorprese, costellata com’è da “magnifici altari” che custodiscono pale monumentali, tramandando il ricordo di committenze di pregio.

“Si passa, valicando la Sela, pel villaggio di Castelluccio, poscia da questo si discende in poco men di mezz’ora a Capugnano…è una via d’accesso facile, e non tanto stretta” (Ruggeri, 1851). Poca fatica, quindi, e ben compensata. Capita, infatti, percorrendo un itinerario che parte da Lizzano, di imbattersi in tele e in dipinti importanti, sfuggiti ai manuali che abbiamo studiato a scuola ma non per questo meno significativi. La presenza dei nomi di Alessandro Tiarini, di Domenico Maria Canuti, del Brizio e probabilmente di Bartolomeo Cesi qualcosa vorrà dire. Quel territorio, unificato da Nicolò Albergati dal 1424, scatenò la competizione tra gli artisti, trascinati in una specie di gara per decorare gli edifici sacri con immagini suggerite dalla pietà religiosa. Le comunità e le compagnie del Santissimo Sacramento richiedevano opere d’arte, e con le famiglie più facoltose contribuivano, e non poco, ad arricchire quei luoghi. Perciò, come scrive Mazza, sull’esempio delle trasformazioni che a Bologna innalzavano nuove cappelle avviando progetti che rilanciavano il culto della Vergine e dei santi secondo le prescrizioni del cardinal Paleotti, anche in quelle zone furono intrapresi cantieri di rilievo che rinnovarono il volto, e il prestigio, del comprensorio. Come viatico per il viaggio c’è l’attività del Gruppo Studi dell’Alta Valle del Reno, guidato da Renzo Zagnoni, che con la sua ricerca infaticabile ci ha preparato il terreno. A Renzo, è giusto ricordare, va il merito della promozione di uno studio incessante che da trent’anni - e da Capugnano - irradia i suoi risultati grazie a incontri scientifici con specialisti ed esperti di settore. É una miniera di informazioni, e una mappatura alla quale si aggiungono una ricognizione su Castelluccio e Capugnano con le schede di Alfeo Giacomelli ( Capugnano e Castelluccio, una comunità e le sue chiese, Editoriale Nueter, 1993), e per l’aspetto che qui ci interessa due mostre, intese, entrambe, a illustrare la civiltà figurativa montana nella quale si inserisce -e si spiega- la produzione di quel territorio. Una, del 2013, ripercorreva per cura di Zagnoni e Nesi l’avventura periferica -ma di notevole spessore- di Pietro Maria Massari detto il Porrettano. Allievo dei Carracci, ma per lungo tempo dimenticato, Pietro fu un grande pittore. A Porretta, appena entrati in Santa Maria Maddalena, ci colpisce la gran macchia del panneggio del San Sebastiano che indica la Vergine del Rosario, mentre a Capugnano è forse suo - o del Ferratini - l’intenso Sant’Antonio Abate dell’oratorio del Crocifisso. Segue, poi, l’esposizione del 2015 dedicata da Zagnoni e Benati ai Dipinti della montagna bolognese, e in particolare ad Alessandro Tiarini. Anche lui, personalità interessante, attiva in Toscana con il Passignano e impegnata per largo raggio nel nostro Appennino, è finito sotto l’obiettivo di Semenzato. Straordinaria, in San Michele Arcangelo, la pala con il Cristo irato che scaglia frecce come un Giove pagano (1630): un’iconografia rara. Eppure, a questa divinità corrucciata, negli anni della peste, si affidavano i capugnanesi e quell’icona intrigante equivocata, talvolta, ma decodificata in occasione della mostra, funzionò; molti si salvarono, come vogliono le tradizioni locali, e il Tiarini la replicò a Castelluccio. Merita una visita, quella chiesetta in cima alla scalinata, perché oltre al dipinto gli scatti del fotografo ci incuriosiscono con il volo d’angeli del Canuti, quel sottinsù aereo sul quale lievita Santa Maria Assunta. Si provano le vertigini davanti a quell’opera che traduce su tela le virtù prospettiche per le quali andava noto il pittore, maestro dell’affresco.

Ancora, tra i “capolavori svelati”, il volume ci guida alla scoperta di gioielli d’arte meno conosciuti ma meritevoli di essere visitati. A Castelluccio i Misteri del Rosario inseriti in un’ancona fastosa da Pellegrino da Fanano, allievo del Reni (1660) e scendendo a Capugnano ciò che resta di un affresco impressionante, un Giudizio Universale staccato e restaurato, datato “1522”; poi il San Benedetto di Francesco Brizio e la Madonna di San Luca attribuita a Bartolomeo Cesi. Pale di grande formato, inserite in altari lignei dagli intagli preziosi. E varrà la pena, prima di ripartire, soffermarsi a osservare i paliotti secenteschi per cercare i dettagli - le infiorescenze dalle tonalità tenui, le figure minuscole - rivelati a tutta pagina dai primi piani di Stefano Semenzato.

Volume:
Stefano Semenzato, (con introduzione di Angelo Mazza), Tra Cinquecento e Settecento capolavori svelati nelle chiese di Capugnano e Castelluccio, Pioppe di Salvaro (Bo), AGV Studio, 2018.

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