Rivista "IBC" XXVII, 2019, 1
territorio e beni architettonici-ambientali / pubblicazioni
Il 14 settembre 1949 un gruppo di studiosi di varia fama (molti già noti a livello nazionale) ed età fondò a Cesena, con sede nella Biblioteca Malatestiana, la Società di Studi Romagnoli con lo scopo di “promuovere con spirito scientifico gli studi di argomento romagnolo”; l’anno di nascita è significativo e cruciale: le ferite belliche sono ancora fresche, le menti migliori comprendono che la ricostruzione passa anche dalla cultura. Fra i promotori troviamo eminenti personalità e neofiti della ricerca, laici e religiosi, artisti e liberi professionisti, lo stesso vescovo di Cesena: Augusto Campana, Delio Cantimori, Lucio Gambi, Giancarlo Susini, Cino Pedrelli, Antonio Veggiani, Giorgio Cencetti, Luigi Dal Pane, Piero Zama, Renato Zangheri, Pio Macrelli, Icilio Missiroli, Giuseppe Pecci, Augusto Torre, Alfredo Vantadori (sono alcuni dei più bei nomi della nostra cultura, regionale e nazionale); don Leandro Novelli, don Giandomenico Gordini, don Giovanni Lucchesi, don Mario Mazzotti, don Giuseppe Rossini (tutti eminenti studiosi ecclesiastici). Da allora la Società rimane fedele alla sua vocazione: con il sostegno e l’aiuto di soci, comuni e realtà varie continua a indagare e studiare un territorio ricchissimo di storia, arte e cultura qual è la Romagna, entro i confini fissati e dettagliati dai fondatori nello statuto.E dal 1949, ininterrottamente, promuove annuali convegni: un appuntamento molto atteso dalle amministrazioni comunali ospitanti per l’opportunità di focalizzare attenzione, ricerca e studio su temi, territori e protagonisti ignoti, ignorati o riscoperti. Ciascuna di queste assise confluisce negli atti, i volumi di “Studi Romagnoli”, che escono puntualissimi e nella consueta bipartizione fra “Studi su …” (la località di svolgimento) e “Studi vari” (ma la Società possiede altre importanti collane, come si può vedere nel sito: www.societastudiromagnoli.it).
Il convegno del 2017 si è svolto a Mercato Saraceno in valle Savio: dagli atti relativi, pubblicati nell’ottobre 2018 in “Studi Romagnoli” LXVIII, nasce il volume Studi su Mercato Saraceno, a cura di Marino Mengozzi e Alessia Morigi (la pubblicazione gode di contributo e patrocinio di Comune, Pro Loco, Regione Emilia-Romagna, Università di Parma e sponsor privati). Vi si trovano i risultati delle sedute mercatesi, scientificamente rilevanti: venti contributi che spaziano dalla geologia alla paleoclimatologia, dall’archeologia al Novecento: compreso un piccolo ma significativo inedito di Antonio Veggiani (Mercato Saraceno 1924-Cesena 1996), uomo di interessi scientifici ad ampio spettro – che Giancarlo Susini tratteggiò come “un umanista tra le scienze della natura” –, con una bibliografia vastissima pionieristicamente proiettata a gettare ponti tra discipline scientifiche e umanistiche, poi consolidati in quella che oggi è nota come geoarcheologia.
Una delle maggiori peculiarità del nostro patrimonio culturale è quella di essere diffuso: tanto a livello paesaggistico-naturalistico quanto storico, così come urbanistico e architettonico, artistico e religioso. Ciò vale per le grandi città e i piccoli centri, per le località maggiori e minori, molto, poco o affatto note. Il destino di talune è poi legato a percorsi conoscitivi programmati o imprevisti, talvolta con vere e proprie sorprese, legate alla scoperta o riscoperta di beni ignorati o caduti nell’oblio per le più svariate ragioni.Mercato Saraceno, centro direzionale della valle del Savio, vede la sua affermazione nel corso del Medioevo quale sede di fiera, mercato (appunto il mercatus Saraceni, cioè la piazza su cui si estendevano le proprietà del nobile ravennate Saraceno degli Onesti), mulino, transito lungo un comprensorio già topograficamente segnato dall’attraversamento della via romana Sarsinate, asse primario di collegamento tra i valichi appenninici e la pianura, e dei suoi diverticoli minori, proiettati a raccordare il distretto del Savio alle valli del Borello e del Marecchia. Se è solo nel Novecento che il soprastante colle di Paderno vive una certa notorietà a motivo della residenza di Arnaldo Mussolini, fratello maggiore di Benito, tutto il territorio mercatese restituisce comunque passaggi significativi e protagonisti indiscussi spalmati lungo l’intero arco della sua storia. Basterebbe citare gli insediamenti plebani di Monte Sorbo e San Damiano, risalenti rispettivamente ai secoli VI-VII (un edificio chiesastico di straordinaria bellezza e ricchezza, con ogni probabilità legato al protovescovo sarsinate San Vicinio) e X (un tempio che conserva la facies preromanica intersecata a interventi settecenteschi, documentato nei legami con gli arcivescovi ravennati).I contributi spaziano dalla geologia alla sismicità, dall’archeologia alla letteratura, dalla cronologia alla toponomastica, dall’architettura alle miniere di zolfo. Gli sviluppi specie architettonici del Paese connessi al fratello del Duce (direttore del quotidiano “Il Popolo d’Italia”, sulla sua scrivania campeggia tuttora il telefono diretto con la redazione di Milano) e al palazzo di famiglia Bondanini (una sorta di insula storico-paesaggistica, cimitero compreso, divenuta memoriale di un tempo che ha segnato l’Italia della prima metà del XX secolo ed esempio di coniugazione fra locale e nazionale) sul colle di Paderno (m 282, nel sito di quello che nel medioevo era il castrum Paderni o Paterni, citato già in un diploma imperiale del 1220 e parte delle Terre del Podere di proprietà dell’arcivescovo ravennate ma sottoposto alla giurisdizione ecclesiastica feretrana, e non sarsinate, della pieve di Santo Stefano in Murolo, poi detta di Usano, Montegelli) occupano spazi e approfondimenti significativi: com’era giusto che fosse per uno spicchio di storia italiana che conservare segni e memorie di un’epoca travagliata e tramontata ma che fu nostra.
Volume:
Studi su Mercato Saraceno, a cura di Marino Mengozzi e Alessia Morigi, Società di Studi Romagnoli, Cesena, 2018.
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