Rivista "IBC" XXVI, 2018, 2
Dossier: La Regione e le sue lingue
Il poeta sassolese Emilio Rentocchini ha desiderato offrire, quale contributo al dossier, quattro ottave che – come ci ha scritto – coprono l'arco di 30 anni: la prima risale al 1988, la quarta, inedita – trecentesima e ultima, a coronamento della sua carriera poetica –, stesa pochissimi giorni prima del loro invio alla redazione dell’IBC. Le prime tre ottave (1, 218, 233) sono contenute nella raccolta Lingua madre. Ottave 1994-2014, Incontri editrice, Sassuolo.
Un grazie di cuore per questo graditissimo dono così inatteso!
1
Na léngua ch’l’an cress ménga, ch’l’as scunsóma
in el cuseini vedvi, ai let di vec,
bouna a ciamer soul quell ch’l’è dre ch’al sfóma
dre da la lus, deinter l’arseint di spec
in dóve premaveira l’an profóma,
premaveira spieteda con i vec
e al sô baioch ed léngua ch’an cress ménga,
ch’as scunsóma da lonedè a la dmenga.
Una lingua che non cresce mica, che si consuma
nelle cucine vedove, ai letti dei vecchi,
buona a nominare solo ciò che sta sfumando
dietro la luce, nell’argento degli specchi
dove primavera non profuma,
primavera spietata con i vecchi
e il loro baiocco di lingua che non cresce mica,
che si consuma da lunedì a domenica.
218
A per del volti ch'l'aqua d'na spricheda
in la bólla l'indvina n'andadura,
finchè al pócc an se suga in na buleda
apeina apeina un po' piò gounfia e scura;
atach ai ves, degli etri, na s.cifleda
d'aqua rósna l'invóia la natura
a fer gnir fóra quel anch da cla scusa.
Idem sta léngua morta in fourma s.ciusa.
Sembra a volte che una spruzzata d'acqua
nella pula indovini un'andatura,
finché la poltiglia non si asciuga in una chiazza
appena appena un po' più gonfia e scura;
accanto ai vasi, altre volte, una fischiata
d'acqua rugginosa invoglia la natura
a fare uscire qualcosa anche da quella scusa.
Idem questa lingua morta in forma schiusa.
233
Gióst e ingióst dir che chi dróva al dialett
l'è po' perciò girê a l'indrê, vést che
scréver l'è ander in seirca e chi ʼs ghe mett
-qualsiasi al sia cal seins interen che
lò a ciaparà- seimper al catrà nett
l'avgnìr. Bel dir in dialett ai can, se
apeina un bris randag, ai gat ch'i nàsen
a l'improvis su un mur, ch'i mort i arnàsen.
Giusto e ingiusto affermare che chi usa il dialetto
è volto al passato, visto che
scrivere è un ricercare e chi cerca
-in qualunque direzione interiore
lo faccia- troverà sempre e comunque
il futuro. Che bello dire in dialetto a cani
appena un poco randagi, ai gatti che sbocciano
all'improvviso su un muro, che i morti rinascono.
300
An a tor sò na léngua a la deriva
per derla a chi comunque an sa gnanch dirla,
la desfiuriva viva in cl’etra riva
dla storia: penserla l’era sintirla
salveda in un’oteva sensitiva
da pre-poeta tra profeta e pirla.
Sa dit Marioun, chissà, èmia cantê
in opse l’elegia ed l’opseitê?
Anni a raccattare una lingua alla deriva
per darla a chi comunque non sa neanche dirla,
sfioriva viva sull’altra riva
della storia: pensarla era sentirla
salva in un’ottava sensitiva
da pre-poeta tra profeta e pirla.
Che dici Marione, chissà, abbiamo cantato
in opse l’elegia dell’opseità?
Note
Opse: offside
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