Rivista "IBC" XXVI, 2018, 1
Dossier: Le parole del restauro. La conservazione del patrimonio culturale in Emilia-Romagna
musei e beni culturali, biblioteche e archivi / editoriali, restauri
Il rapporto fra l’Istituto regionale per i beni culturali e il restauro rappresenta una costante nella vita dell’Istituto, sin dal suo sorgere. Le evoluzioni legislative hanno poi trasformato, col tempo, il profilo dell’impegno nostro, dall’intervento diretto al contributo in compartecipazione e all’affiancamento dei Comuni e delle Istituzioni locali: ma non è venuta meno la presenza qualificata della Regione in questo campo.
Abbiamo pensato di tirare le fila di un’attività snodatasi lungo alcuni lustri, per documentarne l’estensione e l’intensità; è giusto, credo, raccogliere questi dati e mostrarli all’opinione pubblica e alla platea degli addetti, degli esperti e degli amministratori, a titolo non solo di rendiconto, ma di testimonianza di una politica culturale.
Non era scontato, e non lo è tuttora, che una Regione italiana si occupasse in modo non episodico, ma sulla base di precise linee di finanziamento, di restauro; essa avrebbe potuto o potrebbe lasciare alle sole Fondazioni di origine bancaria, che destinano una quota cospicua delle erogazioni alla cultura, il compito di far fronte alla domanda territoriale, come pure meritoriamente accade. Qui da noi, invece, in Emilia-Romagna, si è creduto e si crede che il restauro, soprattutto quando preceduto da una seria programmazione e seguito da un’adeguata valorizzazione, sia un elemento decisivo della difesa “contestuale” del bene, della sua possibile “resistenza” nel tempo. Certo, l’approccio IBC non può essere quello del proprietario o di chi è chiamato a stabilire il grado d’interesse dell’oggetto: il restauro, per noi, si situa in un continuum che lega luogo, ambiente, atmosfera, “cose”, pubblico. In tale prospettiva, esso diviene un tassello prezioso dell’operazione culturale complessiva, e giustifica l’atto della spesa da parte di un soggetto terzo – la Regione – che del bene non è proprietario.
Il nostro intento, nelle pagine che seguono, è appunto quello di raccontare questa peculiarità, raccogliendo elementi qualitativi e quantitativi, collocandoli in una campitura temporale ampia, documentandone la disseminazione. Il nostro obiettivo, ad adeguata distanza dalle concrete azioni di restauro, è pure quello di comprenderne la tenuta, d’interrogarsi sulla validità di quanto materialmente realizzato. Il fattore tempo è determinante, tanto per il salvataggio delle “cose”, quanto per l’abbandono all’oblio; e non è detto che, nonostante la volontà di valorizzazione, l’esito non sia stato adeguato o semplicemente diverso da quanto ci si era proposti all’inizio.
Anche l’IBC, insomma, deve fare i conti con le “sue” cronologie, poiché esse ci permettono di mettere a fuoco politiche in avvenire più efficaci e più aderenti al progetto. Perché, in generale, questa verifica si fa di rado, al di là della mera (e pur necessaria!) congruenza contabile fra previsione e risultato? Perché, nel campo dei beni culturali, è così difficile elaborare indicatori fini capaci di registrare gli effetti nel medio-lungo periodo? Eppure, il patrimonio vive nel medio-lungo periodo: ha senso solo in quella scala temporale. Ebbene, questi quesiti non possono non interpellare direttamente un attore come l’Istituto, soprattutto nell’anno europeo del patrimonio. Per questo abbiamo voluto cominciare da qui.
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