Rivista "IBC" XXVI, 2018, 1

musei e beni culturali, biblioteche e archivi / progetti e realizzazioni, pubblicazioni

Le fotografie di Giovanni Valbonesi in mostra a Santa Sofia.
L’utopia del passato nelle immagini di una comunità

Roberta Cristofori
[IBC]

Il catalogo della mostra, conclusasi lo scorso 11 febbraio alla Galleria “Vero Stoppioni” di Santa Sofia, Giovanni Valbonesi. Fotografie del dopoguerra, a cura di Giuseppina Benassati, è occasione di ponderate riflessioni in merito al trattamento della fotografia e suoi dintorni.

Le fotografie di Giovanni Valbonesi, un corpus di 100.000 scatti accumulati in oltre 45 anni di attività, selezionate da chi sa guardare, restituiscono il periodo del dopoguerra di una comunità -  riconducibile all’area geografica di Santa Sofia e della Valle del Bidente -, in una prospettiva che non ci si aspetta, non scontata, che merita una considerazione attenta poiché induce a riflettere sulla sapienza e la capacità di leggere le immagini, per certi versi una lezione di umiltà, perché nulla è già assodato, nulla si può liquidare con disinvoltura affidandosi con prevenzione a definizioni convenzionali. 

Sono un po' del mestiere, lavoro anch'io 'con e sulle' immagini, spesso grafica e in misura marginale fotografia, sono vicina alla curatrice, ne ho spesso affiancato l’attività, eppure, a una sommaria e certo disattenta occhiata, ho supposto di non poter trarre nulla da quelle centinaia di migliaia di scatti, fatto salvo il riverbero di sentimenti, un’enfasi di miseria, onestà e autenticità, illustrazione della vita dura di una zona economicamente depressa, contraddistinta da forte povertà ed emigrazione, istintivamente propensa a rinviare a un prontuario di luoghi comuni trasversali a ogni archivio di siffatta specie. E, in merito alla valorizzazione, avrei detto indirizzata a una scelta dei cosiddetti 'migliori', di certo un po’ fuorviante, quasi una forzatura, una arbitraria selezione del ‘bello’ per lo più estranea all'intero corpus. Per carità, fotografie indiscutibilmente di grande interesse, giustamente salvate, conservate, catalogate, digitalizzate e rese disponibili su web (come si conviene a una corretta trattazione del patrimonio), ma per loro natura già destinate all'oblio se, un intelligente spoglio, un occhio esperto e un altrettanto stimolante coinvolgimento della comunità non ne avessero restituito risvolti e sfaccettature inattesi.

Si accennava poc’anzi al ‘saper guardare’, dote che la curatrice, forte di un robusto bagaglio culturale, assidua frequentatrice di variegate costellazioni iconografiche, a seguito della pubblicazione del primo manuale italiano per la catalogazione della fotografia in ambito bibliotecario (1990), ha costantemente coltivato con la visione diretta di centinaia di migliaia di immagini, e affinato nel tempo con un'attività sul campo che l’ha portata a seguire scientificamente acquisizioni, donazioni, inventariazioni, catalogazioni, digitalizzazioni di fondi, raccolte e archivi fotografici, patrimonio e memoria della nostra regione.

Così, seguendo da vicino quel lavoro di misurata riduzione e interpretazione, ci si accorge che la selezione proposta poggia su una valutazione di merito dei manufatti, soppesa e stima tagli, analizza luce e inquadrature, evidenzia piano piano peculiarità che rivelano uno stile, mestiere, professionalità, qualità che successivamente trovano conferma e fondamento in fatti, aneddoti, in esperienze di vita ben rammentate dai famigliari del fotografo, è così via fino a smantellare con finezza i luoghi comuni della vulgata.

Eppure studiare questa nostra società, oggi ancor più di ieri, comporta proprio l’appropriarsi di fonti e linguaggi meni ovvi che dovrebbero metterci in guardia dal conformarci a rassicuranti prescrizioni metodologiche, proprio al fine di ridurre al minimo il rischio di traduzioni banalizzanti. Metterci in guarda certo, mai abusare di stereotipi comuni a determinate tipologie di fondi; e, nel nostro caso, scardinare l’equazione a tavolino, fotografo di paese, uguale, documenti iconografici da relegare all’illustrazione di una storia locale.

Setacciare e ridurre da quell’enorme accumulo, con la capacità di interpretare, di mettere in relazione, hanno portato dritto alla dovuta ‘riabilitazione’ di un professionista già destinato dalle circostanze a essere bollato, appunto, come 'fotografo di paese', una preclusione a priori di qualità e interesse. Occorre quella giusta misura, uno sguardo denso di sapere, potremmo dire un'etica, per consentire senza falsificare la messa fuoco di una identità autoriale, una sorta di risarcimento che toglie l’“incolto ‘scattino’” da una scontata delegittimazione; perché ciò che emerge è un personale codice visivo che Giovanni Valbonesi adotta, lontano dalla retorica del Ventennio, dal folklore da cartolina, così come da coeve forme di pittorialismo o da dilettantismi di bucolica maniera, a favore di una fotografia del quotidiano, “una sorta di lucido e pacato ‘realismo del quotidiano’”, più che a “un neorealismo carico di luci e ombre”.

Rudimenti quali la pratica del disegno, la copia di opere pittoriche del periodo liceale, frequentazioni lombarde per apprendere l’arte del ritocco, pellegrinaggi museali specie a Firenze, hanno dato via via corpo all’analisi di certe inquadrature, con attenzione ai fondi, diremmo alle quinte, che vengono messi in evidenza come uno dei tratti distintivi del fotografo; molti ritratti in esterno, ritratti in occasione di cerimonie, o di gruppi al fiume, vedono occhieggiare ‘scugnizzi’ di montagna; monelli si stringono ai lati degli effigiati per entrare nella scena, talora anche adulti si affacciano e si contorcono per infilarsi nell’obiettivo: “un gusto per la mise en scene che non è errore di inquadratura”, accortamente viene osservato, nessuna imperizia o inadeguatezza, ma una “sorta di commento incorporato all’immagine principale, quasi a sdrammatizzare e rendere ancor più ‘reale’ la ripresa fotografica”.

Né enfasi, né sentimento, né romanticismo, ma asciuttezza, rigore, realismo.

Che rassicurante conferma, dunque, toccare ancora una volta con mano che il catalogo, il prezioso quanto in tempi recenti talora bistrattato catalogo, manipolato in una odierna sterile contrapposizione di ‘punti di vista’, con il suo disteso ordine informativo, abbia parte così rilevante in questa acutissima prima lettura. Il catalogo, che lavora in silenzio e con pazienza, che stende con chiarezza e razionalità le immagini, che ordina fatti, autori, cronologie, che si adegua alle tecnologie, che comunica con la lingua scarna e corretta della sintesi, che pur nel rispetto degli standard trova la luce della profondità e dell'autorevolezza, è uno spazio di libertà a disposizione della ricerca.

E allora quei centomila scatti, riorganizzati dalla sapienza del catalogo, consultabili anche in digitale, consentono, a chi possiede gli strumenti intellettuali, interpretazioni che sfociano in acutezza della conoscenza che diviene a tratti sorprendente. Perché anche saper guardare è una scienza.

La pubblicazione di questi archivi su web potenzia la trasmissione della memoria, resa finalmente più accessibile, gli strumenti per praticarla sono spinti all'estremo. È lì che la piccola storia (nel caso, 45 anni di vita di un paese) diventa parte di un contesto più grande, da frammentata si contestualizza, dialogando con altri fondi, raccolte e archivi di immagini che la curatrice elenca, con lo sguardo sull’attività pluridecennale della nostra regione, dall’Emilia di Carpi alla Romagna di Santa Sofia, dalla Luzzara di Paul Strand a Morciano di Romagna, da San Giovanni in Persiceto a Russi, e poi dalle aree geografiche remote alle raccolte delle città, Rimini, Cesena, Ravenna, Ferrara, Bologna, Modena, Parma …, fino agli scatti autoriali del SiFest e di Linea di Confine, alle fotografie di scena dei nostri teatri di tradizione o a quelli di artisti e uomini di cultura del Novecento.

Allora si capisce che il grande lavoro dell'IBC, l’Istituto regionale per i beni culturali, su questi 'nostri' beni culturali non sarebbe completo, pur nella misura e limpidezza informativa, se limitato al pur enorme valore della restituzione alla conoscenza affidato al solo catalogo. Serve che chi ne ha competenza si faccia carico di aprire la strada, di orientare la ricerca e lo studio nel corretto binario.

Questo découpage, un ritaglio di immagini che innerva un percorso non piattamente illustrativo della vita di un paese, invita a riflettere, anche sulla sapienza dell'autore che restituisce la sua Santa Sofia in una moltitudine di scatti autentici che oggi stimolano il ricordo, ma soprattutto inducono a pensare.

Sì, le emozioni passano e le riflessioni vanno costruite, coltivate, rigenerate, reinventate.

E allora, come la curatrice ci suggerisce con prontezza d’intuito in chiusura del suo saggio, Giovanni Valbonesi. Un fotografo, un archivio, tante storie, quelle immagini si prestano a una lettura nello spirito dei tempi, divengono l'affresco ideale di quell'attualità di pensiero che Bauman ha definito retrotopia: “abbiamo invertito la rotta e navighiamo a ritroso. Il futuro è finito alla gogna e il passato è stato spostato tra i crediti, rivalutato, a torto o a ragione, come spazio in cui le speranze non sono ancora screditate”.

Questo penetrante percorso fotografico sulla valle del Bidente è proprio un invito ad andare di là delle singole immagini, a porci davvero la questione capitale del nostro rapporto con il futuro, in una civiltà come la nostra, dove cocente è il bisogno di toccare con mano che una cultura diffusa restituisca per quanto possibile alla natura il suo giusto valore di componente necessaria della nostra umanità. La fotografia ha la capacità di entrare ovunque con la sua forza fascinatrice, e queste immagini del passato tornano ad essere una forza, sono lì, a testimoniare, a rendere evidente come oggi l'individualismo abbia cancellato il senso di comunità, e come il futuro sia troppo incerto e spaventoso, inaffidabile e ingestibile.

Nell’era della moltiplicazione dell’immagine, della bulimia digitale dove le immagini si prestano a non essere più ‘documento', rappresentazione della realtà, ma immaginario manipolabile, creativo e non, da relegare in qualche caso al mondo dell’arte, la fotografia analogica del passato, dove lo spazio del ‘falso’ è ridotto al minimo, torna ad essere in grado di suscitare riflessione. Scatti certo mai neutri, ma non manipolati, capaci di potenzialità narrative che assecondano l’analisi baumaniana.

Questo florilegio di riprese fotografiche che si snoda attraverso le pagine, che senti subito amico, con ritratti umani e scorci di paesaggio - un paesaggio, quello di Valbonesi, che non ci parla di estetica ma di vita -, attività lavorative dure e faticose, momenti di festa piccoli e grandi, corali manifestazioni, alla fine compone una forma di vita antica e insieme nuova, e la reazione spontanea che è quella la vita da amare.

L'inaugurazione di questa mostra è stata una festa. Un intero paese si è ritrovato a riconoscere fatti e persone. Che emozione incontrare, tra gli altri, due splendidi anziani fratelli, proprio quei due bambini posti in quarta di copertina con la valigia di cartone, soggetto simbolo, paradigma della migrazione dal sud verso il nord, metafora di speranza e di voglia di cambiamento. La stampa di un quaderno, Scopri le foto! Ricorda! Scrivi! (disponibile gratuitamente), invito alla ‘lettura’ e alla scoperta di persone e luoghi rappresentati nelle fotografie, ha coinvolto la popolazione stimolandola a interagire con il catalogo utilizzando il medium cartaceo, o quello web inserendo le proprie osservazioni nello spazio “Commenti” di ScopriRete. Il web al servizio del raffinamento catalografico e di una corretta restituzione della memoria, che bella conquista!

Questa nostra memoria, minacciata, offesa, distorta da più parti. La recente legge regionale 3/2016 sulla “Memoria del Novecento” a sostegno della promozione della conoscenza della storia del secolo passato nella nostra regione, è un segnale che accredita il trentennale lavoro che l'IBC ha perseguito in maniera ostinata, contribuendo a conservare e salvaguardare centinaia di fondi e raccolte, una memoria non museificata quella delle raccolte conservate in biblioteche e archivi, ma fonti da sottoporre a un esame critico, perché serve una memoria che sia soprattutto onesta restituzione.

La trattazione della fotografia è divenuta nell’ultimo decennio quasi un rumore di fondo; non si contano mostre, dibattiti, seminari, workshop di ogni grado (genere e qualità) disseminati in ogni luogo; e così gli articoli e le pubblicazioni, sovente governati da considerazioni e commenti che paiono un intreccio oscillante tra replicanti ovvietà esibite con l'enfasi del neofita e saccheggio di temi già ben governati da studi passati. Questo catalogo che restituisce, con il linguaggio della sintesi e dell'equilibrio, delle associazioni tematiche e visive, relazionate alla composizione della pagina, un distillato di piacere, propone effetti lenitivi e ci riconcilia con lo studio della disciplina.

Il fuori dell’ordinario, l'eccellenza, non fanno la storia, e i centri minori non ne sono esclusi.

Giovanni Valbonesi è, dunque, un protagonista della storia della fotografia di questa nostra regione.

 

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