Rivista "IBC" XXVI, 2018, 1
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / mostre e rassegne
All’inseguimento del
castrum perduto, di quel luogo “
ubi dicitur Vicolongo” citato dalle fonti e scomparso dalla vista. Alla ricerca di Vicolongo si son messi in tanti, chi sul campo (Gruppo Archeologico Carpigiano e Gruppo Studi Bassa Modenese, coordinati dalla Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Bologna), chi in archivio (Gruppo Storico Novese e studiosi vari), chi in laboratorio (Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Modena e Reggio Emilia).
E dopo un quarto di secolo sono riusciti a trovare ciò che cercavano. E anche di più, ne hanno ricostruito la storia.
L’individuazione del sito archeologico di Vicolongo, a metà strada tra Novi di Modena e Concordia sulla Secchia, è figlio di una ricerca iniziata nel 1991. Nessuna strada, nessun corso d’acqua, edificio o consuetudine orale indiziava l’antico Vicus Longus. Solo i documenti d’archivio ubicavano in quest’area prima un vicus, menzionato a partire dall’841 nei pressi della pieve di Santo Stefano, e poi un castrum.
Ricerche di superficie e sondaggi recenti hanno portato prima al recupero di centinaia di reperti tra cui armi, monete e ornamenti anche di grande pregio, e poi al ritrovamento di una porzione del sistema difensivo del castrum e di una fornace riferibile al vicus di fase precedente.
La mostra “
In loco ubi dicitur Vicolongo. L’insediamento medievale di Santo Stefano a Novi di Modena” racconta per reperti e immagini la storia di questo sito, posto in un territorio ininterrottamente occupato dall’età augustea alla tarda antichità, poi trasformato nel castello altomedievale più volte menzionato dai documenti d’archivio.
Allestita fino al 25 aprile nel Polo Artistico Culturale a Novi di Modena, la mostra è curata dagli archeologi Sara Campagnari, della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Bologna, e Mauro Librenti, dell'Università Ca’ Foscari di Venezia, ed è corredata da una guida breve e un catalogo scientifico editi dal Gruppo Studi Bassa Modenese.
L’esposizione offre una visione complessiva dell’insediamento, ricostruendo l’assetto del castello e presentando una selezione di oltre duecento reperti che illustrano la vita nel
castrum fin dalle sue fasi più antiche.
Incrociando i dati ricavati dalle fonti, da vecchi e nuovi dati archeologici, e dalle recenti indagini stratigrafiche e archeobiologiche, la mostra ricostruisce natura e assetto del
castrum, le attività che vi si svolgevano e il suo inserimento nella rete di traffici commerciali che facevano capo all’area del Delta del Po.
Le fonti scritte ubicavano il vicus nelle vicinanze della pieve di Santo Stefano, nota fino al 1188; pieve e villaggio sono citati nuovamente in un atto di compravendita dell’878. Nel 911 l’abitato è trasformato in un castrum fortificato per volontà del vescovo di Reggio Emilia, su autorizzazione di re Berengario I. Questa evoluzione è riconducibile al fenomeno dell’incastellamento, quel processo di accentramento della popolazione all’interno di insediamenti rurali fortificati ( castra), circondati da terrapieni e palizzate, necessari per difendersi dalle nuove ondate di invasioni.
Il castrum risulta distrutto nel 1288 da Alberto della Scala e successivamente ricostruito. Menzionato ancora nel 1361, incontra un rapido declino, tanto da essere definito come villa nel 1387. Questo secondo le carte. Da lì sono partite ricerche, sondaggi e studi che, come dimostrano i reperti in esposizione, hanno dato esiti piuttosto inconsueti. Se i manufatti più antichi sono in linea con quelli tipici dei siti incastellati in area padana, a partire dal XIII secolo la situazione cambia radicalmente.
L’insolita presenza di materiali di pregio importati dal Veneto o dall'area bizantina (maiolica arcaica, graffita bizantina e ceramiche da mensa) testimoniano come questo territorio fosse inserito in un circuito commerciale di livello europeo, che transitava lungo il Po verso le regioni padane nord-occidentali e di cui pare sia rimasta traccia anche nella tappa intermedia di Santo Stefano di Vicolongo. Al tempo stesso, la densità di monete, armi e ornamenti databili tra il XIII e il XIV secolo attestano il carattere elitario dei suoi occupanti, oltre a riflettere un elevato livello di militarizzazione dell’insediamento che nella sua fase comunale subisce una notevole trasformazione in piazzaforte signorile (con annessa torre) perdendo le caratteristiche di centro di popolamento.
La mostra di Novi di Modena dà conto anche del lungo e complesso processo che ha condotto alla recente emissione del vincolo archeologico.
Le prime ricognizioni di superficie, periodicamente ripetute, iniziano 27 anni fa, recuperando decine di reperti ceramici, metallici (strumenti da lavoro, oggetti d’uso quotidiano, ornamenti e armi), numismatici, laterizi e lapidei, e individuando un areale di circa un ettaro perfettamente visibile anche dalle foto aeree.
Nel 2011 il progetto dell’Autostrada regionale Cispadana fornisce l’occasione per avviare sondaggi più approfonditi: il tracciato prevede il passaggio sul sedime del castrum di Santo Stefano e la Soprintendenza dispone saggi archeologici preventivi per verificare la compatibilità dell’opera con la tutela dei depositi presenti nel sottosuolo. Il sito si conferma ad altissima potenzialità archeologica, il tracciato viene spostato e la Soprintendenza avvia la pratica di dichiarazione dell’interesse culturale: il vincolo emesso il 18 gennaio 2016 metterà definitivamente al riparo il castrum di Novi di Modena da qualsiasi intervento non legato alla ricerca archeologica.
Mostra
In loco ubi dicitur Vicolongo. L’insediamento medievale di Santo Stefano a Novi di Modena, a cura di Sara Campagnari e Mauro Librenti, Novi di Modena, Sala EXPO presso il PAC, dal 24 febbraio al 25 aprile 2018.
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