Rivista "IBC" XXV, 2017, 3
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / editoriali
Mentre l’Istituto per i beni artistici naturali e culturali (IBACN) continua, come testimonia anche questo numero della rivista, a monitorare eventi e innovazioni significativi in Regione, si fa più nitida, a mio avviso, la questione della natura dell’Istituto. E ciò non perché vi sia ancora un progetto assestato – per testare il quale credo sia necessario almeno un’arena pubblica di dibattito –, ma perché è del tutto evidente la necessità di stabilire con una certa chiarezza i confini di questo oggetto “anfibio”, in parte luogo di elaborazione e di ricerca autonomo, in parte di fatto articolazione operativa della Regione per ciò che riguarda il settore Biblioteche, Archivi, Musei e Paesaggio. A rendere le cose più fluide è poi il fatto che le persone che svolgono attività in Istituto hanno compiti che attengono ora all’uno ora all’altro aspetto e sovente hanno costruito attraverso questa duplice relazione un profilo professionale peculiare.
Mi pare assodato un elemento: la scelta della Regione di procedere alla riconfigurazione dell’IBACN in senso autonomo; diversamente, nello scorso mese di maggio, si sarebbe potuto procedere allo scioglimento dell’Istituto e alla sua confluenza nell’Assessorato. Posizione legittima e anche sostenuta da diversi in Regione, che tuttavia non ha trovato il consenso in primo luogo del Presidente Bonaccini e dell’Assessore Mezzetti, i quali hanno invece puntato – a mio avviso giustamente, data la vicenda del tutto originale alle nostre spalle – sul rilancio della struttura.
In questi mesi, tuttavia, mi sono reso conto che c’è un doppio binario da seguire: quello del dialogo interno alla Regione Emilia-Romagna, per ciò che riguarda la definizione delle funzioni, in una prospettiva di franca e chiara cooperazione; e quello del ruolo esterno, affinché il capitale reputazionale dell’Istituto, che è rilevante, sia messo al servizio di un progetto culturale leggibile e pienamente legittimato in ambito nazionale ed europeo. Quale progetto? L’ultima occasione d’incontro propiziata da ICOM (International Council of Museums) a Bologna, pochi giorni fa, ha indicato una traccia plausibile: la possibile convivenza di due idee di patrimonio, quella nazionale – incardinata sul Codice del 2004 – e quella internazionale/europea – incardinata sulla Convenzione di Faro del 2005 –, che attingono a due visioni notevolmente diverse e all’apparenza difficilmente conciliabili. Da un lato, le istituzioni e i beni, col loro inevitabile modello gerarchico, d’impronta tecnica e “statale”; dall’altro, la domanda di partecipazione, di narrazione, di “risorse immateriali” che va diffondendosi nelle società (non solo nella nostra), e che nel punto medio del territorio deve trovare un assetto sostenibile. ICOM ha provato ad elaborare un’ipotesi di convergenza con la Carta di Siena del 2014, ma si tratta ancora di una visione, di un’idea abbozzata (quella della “comunità di paesaggio” imperniata sul museo come luogo “d’interpretazione”). Abbiamo bisogno di laboratori territoriali per sperimentarla, ripeto in una dimensione transnazionale: l’Emilia-Romagna può essere uno di questi laboratori.
È chiaro ed evidente che, alla confluenza dei due “patrimoni”, stanno problemi molteplici, che viviamo tutti i giorni: dove si colloca la tutela e la conservazione? Su che scala è logica? Ha senso assecondare la “domanda culturale” attraverso la moltiplicazione indefinita, anche in sedicesimo, del “museo-istituzione” tradizionale, o dovremo scindere, per ragioni di sostenibilità, il luogo della conservazione e della tutela da quello della valorizzazione? E, in questo caso, di quali servizi avranno davvero bisogno gli enti locali? E come dovremmo riconfigurarci per darglieli?
Non si tratta di massimi sistemi: IBACN è un istituto dell’amministrazione e serve ad amministrare il patrimonio in una prospettiva innovativa. La ricerca, qui, è applicata, non pura; è finalizzata alla relazione con gli enti locali, con gli attori, con i portatori d’interessi collettivi. Potrebbe essere esternalizzata? Credo di no: la nostra natura “anfibia” è funzionale allo scopo; lo studio e l’attività d’ufficio debbono essere tenute insieme nell’esperienza quotidiana, in omaggio alla migliore tradizione nazionale nel campo delle “belle arti”. Io credo che questa sia stata la nostra vocazione, dai tempi di Fanti, di Gambi, di Emiliani. E, personalmente, intendo ad essa restare fedele.
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