Rivista "IBC" XXV, 2017, 2
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / editoriali
Il secondo fascicolo del 2017 di "IBC" propone, come di consueto, eventi e occasioni che hanno segnato la più recente vicenda del patrimonio in Regione. La scelta dei temi risulta, al solito, accurata: alle esposizioni sono affiancati gli interventi permanenti sulle collezioni, agli archivi i teatri, alle biblioteche il prezioso ricordo di Ezio Raimondi, scritto da Andrea Battistini.
La panoplia dell'Istituto, cioè la sua vocazione a sondare i diversi territori dei beni culturali, per restituirli attraverso una lettura unitaria, continua a rappresentare la nobiltà di una tradizione ben radicata, che permane al di là dei censurabili comportamenti individuali, delle trasmissioni televisive, delle reazioni politiche, delle indagini giudiziarie che hanno segnato la convulsa primavera dell'IBC, elevando, per qualche settimana, il centro di via Galliera agli onori della cronaca del degrado amministrativo. Anche questa è una notizia che appartiene al primo semestre 2017, in fondo: non accennarne avrebbe significato venir meno a un principio di realtà e di trasparenza, che deve appartenere a chi esercita funzioni e amministra denaro in nome del pubblico.
È vero, d'altro canto, che la Regione Emilia-Romagna ha deciso di approfittare di questo episodio per profilare l'IBC del futuro, a oltre quarant'anni dalla sua nascita e a oltre venti dal suo ultimo restyling statutario; e io trovo naturale che, una volta ridefinito in bozza il profilo culturale e gli obiettivi della struttura, si aprano intorno a essi dibattiti e riflessioni, di cui la nostra rivista (e non solo, spero) sarà indispensabile tribuna, sia a livello territoriale, sia a livello nazionale.
La peculiarità dell'Istituto, infatti, è quella appunto di essere Istituto: un luogo di studio, di ricerca, di catalogazione, di verifica, di aggiornamento, di azione, immaginato in un tempo lontano per occuparsi di "cose" - come si diceva allora - il cui perimetro, rispetto a oggi, era assai circoscritto. Non una branca dell'amministrazione pura e semplice, dunque: ma uno spazio nel quale il valore aggiunto di chi vi operava era materialmente visibile sul campo, nell'originale soluzione proposta agli enti locali e agli altri attori regionali, spesso in anticipo su scelte statali che sarebbero venute poi.
Non nascondiamoci il progressivo venir meno di questa spinta, sull'onda della crescente burocratizzazione e della giuridificazione dei rapporti sociali, che hanno reso e rendono il patrimonio un ambito, ancorché più esteso d'un tempo, assai più fragile, dato che nel frattempo si è quasi estinto pure quell'esile tessuto di intellettuali volonterosi che proteggeva, nei centri piccoli e grandi della penisola, oggetti, luoghi e rappresentazioni dei nostri "beni comuni". Senza contare, per altro verso, le difficoltà in cui continuano a dibattersi le Soprintendenze, assorbite da un quotidiano ipertrofico e multiforme, nel quale è spesso difficile cogliere il filo coerente di una politica di tutela.
L'IBC non è meno necessario del 1974; lo è anzi di più, perché quel patrimonio culturale che - nei tardi anni del boom - era apprezzato al più come un marchio di qualità aggiuntivo del "sistema Paese" industriale, oggi si ritiene, in epoca di complicata rivisitazione delle potenzialità italiane, risorsa centrale e peculiare, alla quale tanti settori strategici potrebbero o possono attingere. Solo che i nessi sono ancora sfuggenti, i processi di creazione e di estrazione del valore ancora da costruire, mancando - nel nostro caso - la solida continuità fra patrimonio, capitale fisso, beni/servizi prodotti e mercato, che delle imprese, attraverso lo strumento del bilancio, offre l'intuitiva misura del successo.
Non spetta ovviamente all'IBC occuparsi di questo, ma di ciò che potremmo definire l'ambito della "valorizzazione primaria", ovvero delle potenzialità e delle connessioni che possono essere contenute in beni tutelati, catalogati, digitalizzati, fisicamente localizzati ma saldati a distanza l'un l'altro grazie ai fili invisibili del web. All'Istituto del XXI secolo spetta, quindi, cogliere questa sfida: documentare e seguire le fasi di protezione e di valorizzazione delle "cose" in senso tradizionale, come è stato fatto finora e come anche questo fascicolo documenta, e insieme sviluppare una vocazione laboratoriale a studiare e ad agire sul nesso mancante: quello che sta fra le immense banche dati, le centinaia di musei, le migliaia di edifici, i milioni di volumi, di documenti e d'immagini e l' uso culturale, sociale, economico dei medesimi, ora perlopiù rarefatto, episodico, puntiforme, difficile da valutare realmente nei suoi effetti.
Se riusciremo in questo compito, a partire dalla consapevolezza, perfino ovvia, che il patrimonio sottende un'eredità e che la conservazione della medesima è compito eminentemente pubblico, indipendentemente dalla natura dei soggetti che se ne fanno carico, avremo forse dato il segnale che la matrice IBC, nonostante le sue ammaccature, è ancora produttiva di idee. E non solo per la Regione Emilia-Romagna.
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