Rivista "IBC" XXV, 2017, 1

musei e beni culturali / mostre e rassegne, pubblicazioni

Prima del Giardino dei Finzi Contini. Bassani a Bologna tra pitture e cristallizzazioni

Annarita Zazzaroni
[Dottoressa di Ricerca, tutor di supporto alla didattica dell'Alma Mater Studiorum, Università di Bologna]

Era il 1933 quando a Ferrara si tenne la prima grande mostra sulla pittura ferrarese del Rinascimento: le opere di Cosmè Tura, di Bastianino e di Dosso Dossi sfilavano, con la forza dei loro cromatismi e la possenza delle forme, davanti agli occhi dei visitatori che per la prima volta scoprivano e si accorgevano della bellezza nevralgica di quella pittura. L’ Esposizione della pittura ferrarese del Rinascimento, allestita a Palazzo dei Diamanti, fu davvero un evento che cambiò la storia dell’arte. Tra le sale e tra i tanti visitatori passò come critico attento e geniale Roberto Longhi, che, sollecitato dalla mostra, propose nuove chiavi interpretative per quelle opere nel suo indiscusso capolavoro Officina ferrarese, pubblicato nel 1934. Nello stesso anno Longhi vinse anche il concorso per la cattedra di Storia dell’Arte Medievale e Moderna all’Università di Bologna, iniziando un magistero che lo porrà a guida dei maggiori intellettuali e scrittori del tempo: Giorgio Bassani, Pier Paolo Pasolini, Attilio Bertolucci, Francesco Arcangeli, solo per citare i più noti. Un magistero contrassegnato dal rapporto speciale che Longhi sapeva instaurare con gli allievi grazie alla sua intelligenza, personalità e capacità di essere antiaccademico: “un viso dai tratti […] di una espressività eccezionale: più che a un professore, a uno studioso, Longhi faceva pensare a un pittore, a un attore, a un ‘virtuoso’ d’alta razza e d’alta scuola, insomma a un artista. Non c’era nulla in lui dell’enfasi curialesca della tradizione carducciana imperante all’università di Bologna, di quell’unzione accademica […] nessuna posa erudita, in lui, nessun sussiego di casta, nessuna boria didattica e didascalica, nessuna pretesa che non riguardasse l’intelligenza, la pura volontà di capire e di far capire” (G. Bassani, Un vero maestro, in G. Bassani, Opere, Milano, Mondadori, 1998, pp. 1074-1075). Insomma, Longhi aveva tutte le caratteristiche giuste per suscitare l’interesse, l’ammirazione e l’entusiasmo nei giovani allievi che cominciavano all’Università a misurarsi per la prima volta con le loro aspirazioni e capacità, con le loro domande e con i tentativi di afferrare l’arte e la letteratura in modo non convenzionale e non didascalico.

Tra le sale del Palazzo dei Diamanti cammina però anche un altro visitatore non comune; un visitatore dall’occhio attento, dalla grande voglia di imparare e di impadronirsi di tutto ciò che può aiutarlo a leggere più in profondità il mondo circostante, dall’interesse curioso e profondo per l’arte; a differenza di Longhi, egli è molto giovane, frequenta l’ultimo anno di Liceo; è ancora uno sconosciuto, ma l’arte ferrarese che sta ammirando e che lo sta preparando al fatale incontro con lo storico dell’arte, che avverrà dopo qualche anno a Bologna, sarà un’ispirazione fondamentale su cui tornare sempre, anche a distanza di anni, di spazio, di storie. Quel giovane studente è Giorgio Bassani, che a Ferrara, al Liceo Classico “Ariosto”, proprio nel 1933, sta concludendo i suoi studi. E proprio in Storia dell’arte Bassani ottiene all’esame di maturità l’unico 10 della scuola, come segno distintivo del destino che lo avrebbe aspettato a Bologna, città che diviene per lui fondamentale per la sua formazione e per la messa a punto del suo stile.

Nel 1934, Bassani è quindi pronto a lasciare il Liceo e a iniziare il suo percorso universitario come matricola di Lettere all’Alma Mater Studiorum. A Bologna Bassani lotta con se stesso, con l’arte, gli stili e la storia, come avveniva, allegoricamente e non, in alcune delle corpose e espressive tele che aveva ammirato a Ferrara e che Longhi finalmente, a Bologna, gli offre la possibilità di interpretare in modo nuovo, critico, profondo, affiancando a quelle pitture la riscoperta dei capolavori dell’arte bolognese: sono infatti del 1934-35 l’ Officina ferrarese, come si è detto, e i Momenti della pittura bolognese: prolusione al corso di storia dell’arte; queste opere sviluppano gli argomenti dei corsi e dei seminari su cui Longhi eserciterà lo sguardo e la capacità degli allievi, quando anche Bassani, grazie alla mediazione del grande amico e sodale bolognese Francesco Arcangeli, entrerà a farne parte. Bassani ricorda come il suo modo di descrivere il paesaggio e di sentire la realtà della sua terra e delle sue storie siano proprio debitori dell’aver potuto imparare a leggere il colore, i cromatismi, i chiaro-scuri, trasponendoli dalla tela alla vita: “sulle tracce dei pittori ferraresi e bolognesi del Cinquecento e del Seicento: cosicché la campagna tra Ferrara e Bologna, che il mio treno percorreva quasi quotidianamente, mi si mostrava attraverso i colori intrisi di una luce come velata, di antiche pitture” (G. Bassani, Postfazione, in Opere, cit., p. 1168). Una luce velata; un filtro pittorico che permette di descrivere e di vedere la realtà e la vita a partire dal momento in cui queste sono state immobilizzate, o perché bloccate sulla tela o perché congelate nella compressione di un animale impagliato in una vetrina, come avviene nell’ Airone, o perché catturate dalla fissità di un vecchio scatto fotografico, come nella Passeggiata prima di cena: “la cartolina, dicevamo, è tratta da una fotografia; e, come tale, essa dà conto […] della vita che, nell’attimo in cui il fotografo fece scattare l’obiettivo, si svolgeva per tutto lo sviluppo del corso […] una ragazza di circa vent’anni, proprio nell’attimo in cui il fotografo faceva scattare l’obiettivo […] si allontanava per corso Giovecca” (G. Bassani, La passeggiata prima di cena, in Opere, cit.,pp. 1619-1620).

Proprio negli anni di più intensa frequentazione di Bologna e della cerchia universitaria, Bassani medita sulle possibilità stilistiche ed espressive adatte a descrivere la vita nel momento in cui questa è bloccata, muore e, in un certo senso, si cristallizza; in un appunto del 1941 egli scrive infatti: «prima che l’immagine mi si precisasse e trovasse una sua espressione insostituibile, avevo bisogno di vivere lungamente e ripetutamente, a distanze di tempo magari considerevoli, le stesse situazioni. […] Tutto doveva marcirmi dentro, per nascere» (G. Bassani, Taccuino appunti 1941, in Bassani, Racconti, diari, cronache, Milano, Feltrinelli, 2014, p. 234). Non c’è per Bassani narrazione che non passi per un processo di morte preliminare, sia questa reale o fittizia.

Da qui si può già capire cosa sia successo a Bologna e cosa abbia significato Bologna per Bassani: un ambiente che gli ha permesso di trovare, grazie ai maestri, agli amici, agli studi, le condizioni ideali per poter vincere l’agone violento e difficile con lo stile e con la scrittura, per poter elaborare dei filtri in cui cristallizzare la vita, la realtà e la storia e iniziare così a descriverle. A Bologna Bassani comincia a meditare, sperimentare, conoscere, confrontarsi con amici, giovani e meno giovani, che avevano gli stessi interrogativi e aspirazioni, e così egli diventa il Bassani che oggi è studiato, letto e conosciuto.

Il 1934 è l’anno in cui Bassani si immatricola all’Università di Bologna, come si è detto; nel 1943, egli lascia Ferrara e Bologna per vivere a Firenze in clandestinità, sotto falso nome, dedicandosi ad attività partigiane. In quei dieci anni Bassani è cresciuto sotto il profilo umano e letterario, passando attraverso l’esperienza dell’antifascismo che gli è costata il carcere. «Quegli anni torbidi e intricati», come li definisce in una cartolina postale indirizzata a Francesco Arcangeli il 16 Aprile 1946, hanno lasciato un segno indelebile e non solo perché a Bologna, oltre a Longhi, Bassani ha intrecciato il suo cammino umano, intellettuale e artistico con quello di altri due significativi maestri: Giorgio Morandi, che con la sua nuova estetica, totalmente separata dai dettami della cultura fascista, aveva riunito intorno a sé tutti i giovani che sentivano la necessità di un cambiamento artistico e storico-politico; e Giuseppe Raimondi, l’intellettuale bolognese che era stato capace di creare tra le due guerre uno dei maggiori cenacoli letterari e artistici del tempo, formando con letture non convenzionali i giovani studiosi che si avvicendavano nel suo negozio di stufe in cerca di un commento all’ultima acquaforte di Morandi, di un quadro del Seicento ritrovato fortunosamente dall’esperto collezionista, di un testo, magari francese, non ancora ben letto dai più, di una parola sagace che sapeva scavare dentro il reale con spirito filosofico, di stampo leopardiano. Bassani ricorda così il cenacolo di Raimondi: «Uscivo di casa disperato, e mi rifugiavo sempre da lei» (G. Bassani, lettera a G. Raimondi, Roma, 9 Settembre 1953); nel negozio di Raimondi, nello studio di Morandi, nell’aula di Longhi, Bassani trova quell’aria di novità e di libertà di cui aveva bisogno per impadronirsi di uno stile che, come racconta in quegli anni e come dichiarerà in seguito, è sempre stato difficile da perseguire nella maniera precisa e perfetta, cristallizzata e oggettiva che lui desiderava.

A questo è stato possibile giungere anche e soprattutto grazie al confronto continuo con gli amici e compagni universitari, tra i quali, primo fra tutti, è bene ricordare Francesco Arcangeli, che, come si nota dal carteggio, è stato uno dei più attenti lettori di Bassani. A conferma di ciò si può, tra le altre cose, ricordare che Arcangeli ha corretto puntualmente il dattiloscritto del poemetto Te Lucis Ante. A Arcangeli Bassani farà le più vive confessioni della difficoltà di trovare il suo stile letterario.

Su questo tema si innesta l’altro nodo nevralgico che segna l’importanza di Bologna nella vita e nell’opera di Bassani. In quei dieci anni, infatti, Bassani comincia a lavorare sul suo stile e soprattutto comincia a pensare a degli sviluppi narrativi, che poi torneranno nelle sue opere più mature, in un modo quasi figurale – per usare una categoria letteraria nota e criticamente solida. Il compimento più evidente e rappresentativo di questo percorso avviene certamente nel Giardino dei Finzi Contini, tra le cui pagine vediamo annidata Bologna, presenza in ombra ma costante. La città è evocata nei suoi luoghi simbolo, come il caffè Zanarini o la via Zamboni (parte III, cap. 2). Ma è soprattutto la vita universitaria di Bassani a emergere con una forza evocativa che non lascia dubbi: tutti ricordano come il narratore del Giardino dei Finzi Contini confessi al signor Ermanno di volersi laureare con Longhi, con – non a caso – una tesi sui pittori ferraresi (parte II, cap. 4); forse invece pochi ricordano come a p. 89 del romanzo Giorgio Bassani abbia voluto inserire un’acquaforte di Giorgio Morandi, del 1923: Campo da tennis. Certo il campo da tennis (di Ferrara, nel romanzo, e non quello di Bologna rappresentato da Morandi) è uno dei luoghi in cui si svolge la storia e quindi la presenza dell’opera può essere un rimando alla narrazione. Ma molti sono i luoghi di Ferrara funzionali alla narrazione, eppure Bassani ha scelto una sola immagine dentro il suo romanzo e questa immagine rimanda inequivocabilmente a Bologna e all’esperienza di quegli anni, cristallizzata – anche in questo caso – prima dal bulino di Morandi, e poi dalla pagina di Bassani.

Per questi motivi, la mostra documentaria Giorgio Bassani: Officina bolognese (1934-1943), che è stata allestita a Bologna, presso la Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, dal 28 ottobre al 18 dicembre 2016, ha voluto ripercorrere nelle varie sezioni tematiche l’importanza fondamentale degli anni di formazione bolognese di Giorgio Bassani, ricordando in occasione del centenario della nascita dello scrittore il legame forte e mai rinnegato che egli ebbe con Bologna. La mostra ha potuto evidenziare bene questi aspetti grazie a nuovi materiali documentari, provenienti per la quasi totalità dai tre enti organizzatori: Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, che ha prestato materiali dal fondo di Giuseppe Raimondi, conservato presso la Biblioteca “Ezio Raimondi” del Dipartimento di Filologica Classica e Italianistica, e dall’Archivio storico dell’Università, che conserva l’intero fascicolo dello studente Giorgio Bassani, compresa la tesi di laurea su Niccolò Tommaseo (relatore: Carlo Calcaterra); Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, che ha mostrato i tesori del fondo degli Arcangeli; Fondazione Giorgio Bassani, che, grazie alla generosità della prof.ssa Paola Bassani, Presidentessa della Fondazione ed erede, insieme al fratello Enrico, dell’archivio del padre Giorgio, ha autorizzato l’esposizione di molti materiali, per lo più inediti. Della mostra è stata curata anche una versione on line su Movio, l’applicativo del Ministero dei Beni Culturali, un nuovo sistema di esposizione virtuale che permette di conservare le mostre documentarie e di non perderne traccia; la mostra on line, che può essere utilizzata anche per fini didattici e divulgativi, è sempre visitabile al link: http://www.movio.beniculturali.it/ams-unibo/giorgiobassaniofficinabolognese/

Della stessa mostra è stato pubblicato anche il catalogo ( Giorgio Bassani: Officina bolognese 1934-1943, a cura di Marco Antonio Bazzocchi e Annarita Zazzaroni, Bologna, Pendragon 2016), che contiene, in aggiunta ai documenti esposti, alcuni materiali ulteriori, per continuare il viaggio, virtuale o cartaceo, nel cantiere bassaniano, in quell’officina inesausta che tanto è legata a Bologna e alla sua Università.

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