Rivista "IBC" XXIV, 2016, 2

Dossier: Archaeology & ME

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, dossier /

Archeologia nelle periferie urbane: narrazioni e arte contemporanea

Anita Synnestvedt
[Università di Gothenburg, NEARCH]

Nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) si afferma che ogni persona ha diritto di entrare in contatto col patrimonio culturale di sua scelta, pur rispettando il diritto e la libertà degli altri, come aspetto del diritto di partecipare liberamente alla vita culturale. Lo stesso principio è sostenuto anche nella Convenzione di Faro sul Valore del Patrimonio Culturale per la Società (2005). Nel momento in cui il patrimonio è usato come strumento per escludere gruppi differenti all’interno della società, è di vitale importanza che si prendano contro misure per tutelare il diritto democratico di tutti i gruppi in una società ad un patrimonio comune. Se un gruppo o parecchi gruppi sono esclusi dal prendere parte alla creazione di nuova conoscenza sul patrimonio locale, saranno probabilmente meno propensi a sentirsi inseriti nella società all’interno della quale vivono.

Al contrario formeranno probabilmente le loro proprie comunità, separate dalle comunità locali esistenti. In Svezia così come in molti altri paesi, il patrimonio è considerato di interesse nazionale. Se il patrimonio è di interesse nazionale, allora diventa problematico se non tutti i membri della società vi prendono parte in maniera egualitaria. In Europa negli ultimi decenni sono avvenuti rapidi cambiamenti dal punto di vista demografico. Persone provenienti da retroterra etnici e culturali molto differenti hanno trovato una nuova casa e per conseguenza sono diventati cittadini. Ciò attribuisce loro gli stessi diritti democratici di accesso agli interessi nazionali dei cittadini nativi. Diventa quindi un problema democratico quando questo gruppo di nuovi cittadini nei nostri paesi è escluso dall’accesso e dal coinvolgimento nel patrimonio culturale.

Molto spesso i nuovi arrivati in un’area non sentono un legame con la storia locale del loro nuovo paese e in questo modo non acquisiscono un interesse nel patrimonio locale oppure gli viene impedito da coloro che già vivono in quel posto; questi nuovi gruppi potrebbero persino essere considerati come una minaccia alla società preesistente. La creazione di spazi pubblici mirati a divenire aree di inclusione, dove le persone si possono incontrare naturalmente secondo le loro modalità è quindi una necessità molto presente in queste aree. Le persone coinvolte nella gestione e nelle attività relative al patrimonio hanno un ruolo importante nella creazione di nuove tipologie di luoghi d’incontro in contesti locali.

“Io vivo qui”

A Gothenburg, in Svezia, ci sono molte zone suburbane con molti problemi sociali relativi a criminalità, estremismo ed esclusione. In una di queste aree chiamata Bergsjön si trova un antico sito con una tomba a camera risalente al 1800 a.C. circa. Personalmente trovo l’odierna collocazione della tomba affascinante; situata fra alti edifici in una zona multiculturale abitata da persone provenienti da tutto il mondo che parlano 100 lingue diverse. Nasce una domanda: qualcuno di loro sa qualcosa del sito e dei resti archeologici? È stato fatto qualche progetto di interpretazione? Si potrebbe rispondere no a entrambe le domande. Attraverso la mia ricerca ho scoperto che il sito culturale di Bergsjön è frequentato soprattutto da bambini. L’antica camera sepolcrale è usata per arrampicarsi, nascondersi e inventarsi storie fra bambini. Oltre a ciò, il sito è inserito nei programmi di educazione scolastica dal momento che gli insegnanti ci si recano per parlare di preistoria. In un primo tempo avevo ipotizzato di condurre uno scavo archeologico per capire le trasformazioni del sito e come fosse stato utilizzato negli ultimi 100 anni. Fu coinvolta la scuola vicina e allo scavo presero parte 150 bambini. Questo progetto, che ha impegnato i bambini della zona, diverse associazioni e imprese, fra cui quella immobiliare, era pensato per coinvolgere sia i bambini che i loro genitori e insegnanti, ma era congegnato in modo da non durare se non un tempo limitato. La società immobiliare, però ha deciso di svilupparlo in modo che l’area divenisse un luogo di incontro. Inserito all’interno del progetto europeo NEARCH, “Io vivo qui” ha l’obiettivo di creare un luogo di incontro usando l’archeologia come strumento di mediazione in una nuova fase del sito che, fra gli altri, coinvolge bambini, architetti, gente del luogo, della città e la società immobiliare.

“Strati di vita in strati di tempo”

Un altro modo per creare inclusione è lavorare sul con tatto fra arte contemporanea e archeologia. L’archeologia come professione può essere quasi totalmente assorbente, così come l’arte contemporanea. Gli scavi sono eseguiti per la maggior parte dei casi all’interno di recinzioni e può quindi risultare interessante fare domande e incoraggiare nuovi punti di incontro dove gli archeologi possano incontrare un pubblico che discute e diventare così parte delle molte sfide della società contemporanea.
Le esposizioni di arte contemporanea sono spesso con siderate astruse e poco accessibili. “Strati di vita in strati di tempo”, inserito a sua volta nel progetto NEARCH, cerca di rispondere alla domanda se si possa fare un’interpretazione inclusiva e uscire dalle recinzioni di uno scavo archeologico esplorando l’ambiente circostante.
Ciò che abbiamo trovato sono senzatetto, esclusi, abbandonati sia nel presente che in una prospettiva storica. Gli archeologi, un attore, un artista di land art, un musicista e alcuni studenti hanno girato un piccolo film, come un piccolo ponte fra ora e allora, gli altri e noi, l’archeologia e l’arte.

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