Rivista "IBC" XXIV, 2016, 2
musei e beni culturali / interventi, leggi e politiche
In breve tempo la riforma che ha messo in campo la nuova struttura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo ha mostrato pregi e difetti di un impianto concettuale orientato in senso oltralpino che, interpretando alcune logiche anglosassoni, ci ha consegnato, specie dopo la riunione in un’unica Soprintendenza di funzioni di tutela, prima affidate a più linee di comando, un’articolazione che sembra debitrice agli ordinamenti tedeschi.
Non trovo sia necessaria una difesa a oltranza del modello scelto, come non mi pare si debba esprimere una recisa critica alla prospettiva delineata. Chi ha la responsabilità del comando decide e a chi si trova in subordine va il compito di attuare al meglio i dettati. Nello specifico il procedimento logico applicato, atto a ridare leggibilità alle motivazioni della spesa, come instancabilmente recita il Professor Casini, non mi pare eccepibile.
Tuttavia credo che un dirigente pubblico debba, per onestà intellettuale, mettere a parte delle proprie riflessioni anche chi, come fruitore, come co-attore esterno o semplice operatore, si trova a registrare il cambiamento, dovendosi ciascuno adeguare al nuovo panorama; tanto più che la mission istituzionale imposta ai poli implica lealtà e trasparenza totale con quanti dovrebbero sottoscrivere quel patto di collaborazione che la riforma pare assegnare al Polo.
Cosa dunque offre la riforma in regione e cosa passa attraverso il Polo museale? Recentemente è stato ribadito che una delle ragioni per cui i Poli museali non avranno l’autonomia contabile come i musei ‘autonomi’, in un primo momento ventilata, risiede nel fatto che s’immagina che a breve tutti i musei diventino autonomi (in forma presumibilmente di fondazioni), implicando che le funzioni del Polo vengano in tutte le regioni assolte da musei autonomi. Difficile credere a una tale proiezione in un contesto punteggiato da centinaia di musei e siti, che potenti attrattori culturali non possono essere perché nati nell'intento di offrire un riferimento identitario a collettività del territorio.
Si vuole forse consegnare ai comuni o a soggetti privati tutti quegli istituti che non potrebbero autosostenersi, fruendo di supporti privati, sponsor bancari e altre variabili fonti economiche? Difficilmente un privato (fondazione od altro) si farà carico d'una struttura se non avendo margini di sostenibilità economica che risultino garantiti; dunque la fonte sarà sempre e comunque lo Stato, vuoi con devoluzione di entrate esistenti, vuoi col ripianamento di spese di tipo straordinario; quelle spese che spesso, stando alla cronache, lievitano parallelamente agli stipendi dei manager.
Il Polo, dunque, è destinato a divenire evanescente e la sua funzione a essere assunta da altri; forse in parte delegata a duplicati operativi che godono di rendite di posizione per l’addensarsi in essi di funzionari ormai usi a governare il territorio in ogni sua manifestazione, eredi di quel potere gerarchico delle sovraordinate Direzioni Regionali che già è stato fatto valere in più modi.
Il tratto dunque più originale della Riforma Franceschini pare destinato a scomparire per l’azione combinata di fattori convergenti, tesi al mantenimento di una strutturazione di poteri e competenze di antica ascendenza, cui evidentemente i più non intendono rinunziare, finendo per mimare quadri gestionali stranieri che han fatto il loro tempo dimostrandosi insufficienti in nazioni ben più povere di memorie della nostra.
Il popolo dei musei dell'Emilia Romagna ha accolto con entusiasmo le novità proclamate: singoli istituti, lo stesso Istituto per i beni culturali regionale, molti comuni, hanno cercato da subito, individualmente o per il nesso della ICOM, di tessere un diverso rapporto con il Polo museale, non più coinvolto nelle problematiche della ‘tutela’ (propriamente l’atto giuridico amministrativo che identifica il bene da proteggere), e organo dello Stato proteso alla valorizzazione territoriale attraverso i presidi museali d’ogni ordine, natura e grado. Qui più che altrove il dialogo è stato franco e paritario, con risultati che non si lasciano misurare, ma che promettono assai bene per il futuro.
Purtroppo l’intento non espresso sin dall'inizio di cancellazione dei Poli, a vantaggio delle monadi dei musei autonomi, governati da dirigenti a tempo determinato, rende faticosissima qualsiasi forma di presa di consapevolezza da parte del personale, tanto più che la ridotta dotazione organica prevista è stata ulteriormente contenuta, ora con la mancata assegnazione di spazi, ora con procedure di mobilità disarticolate che hanno consentito di svuotare l’organico funzionale dei musei non autonomi riducendone le attività alla mera apertura al pubblico delle sale o poco più.
Malgrado ciò il personale, che negli anni ha affinato una capacità d’adattamento che troppo si sfrutta senza premiarla, ha garantito alcune performance inaspettate e lusinghiere sia per presenze che per incassi, riuscendo persino a varare mostre ed eventi culturali non meno significativi di quelli prodotti da altri professionisti.
I direttori non dirigenti si sono spalleggiati, hanno supplito gli uni gli altri, sia da un punto di vista scientifico che operativo, dimostrando un’effettiva capacità di fare rete all’interno della struttura del Polo che è utile preludio a un’apertura nei confronti dei colleghi cresciuti in realtà diverse.
Se l’abuso del termine direttore ha reso indistinte le gerarchie (e con ciò anche la valenza della riforma), è rimasta inapplicata la ‘Carta nazionale delle professioni museali’, pur tante volte citata verbalmente e adombrata nel disegnare dotazioni organiche che ai musei ‘minori’ nessuno pare intenda realmente conferire. Un’occasione mancata, che avrebbe dato ai giovanissimi una qualche chiarezza su come indirizzare le propria formazione professionale e per quali fini.
Se lo scopo della riforma non è solo quello di operare cambi ai vertici della struttura ministeriale e di precarizzarla come taluni sostengono, serve, mi pare, un segnale forte di ripresa per le strutture gestite da funzionari tecnici di lunga e comprovata capacità, selezionati internamente al Ministero, negli anni, con indiscutibile rigore. Il ritirarsi sull’Aventino dei colleghi di archivi e biblioteche, ormai inascoltati e falcidiati nel numero, dovrebbe essere un segnale importante per noi tutti e ci dovrebbe ricordare che le prime fonti della valorizzazione, persino quella di carattere venale, provengono dagli investimenti fatti da chi ci ha preceduto in questi settori, ambiti che le nuove tecnologie hanno tutt’altro che privato di rilevanza.
Fatto il punto della situazione ci si aspetta forse che io tracci linee progettuali di sviluppo per il Polo Emiliano-Romagnolo, ora di fatto orfano di varie realtà locali, come quella parmense e modenese, che stanno divenedo progressivamente autoreferenziali nella misura in cui una buona gestione da parte dei rispettivi direttori mette a valore gli aspetti più originali e internazionali delle raccolte loro affidate. Pur ipotizzando un'improbabile autonoma sostenibilità economica di questi due istituti, al Polo, con meno strumenti e meno risorse economiche e umane di quanto in un primo momento conferito (1), resta l'immane compito di catalizzare, facendo fare loro rete, le potenzialità dei musei e siti sul territorio.
Questi musei, oggi in sofferenza, non sono tanto gli oltre venti istituti assegnati per decreto al direttore del Polo museale, quanto i moltissimi luoghi di cultura che costellano il territorio della regione e che, pur dimostrando una vitalità d'eccellenza, specie nella formazione della cultura dei cittadini, hanno oggettivo bisogno di una struttura amministrativo gestionale specifica cui poter fare riferimento e che proprio il Polo museale potrebbe fornire d'intesa con la Regione. Mancando forme di autonomia concreta, che consentano di mettere sotto contratto, come sarebbe logico, professionisti esterni qualificati per le competenze amministrative scoperte, o che permettano di reclutare a seconda dei progetti ad ampio raggio e ricaduta, specialisti che le nostre università non formano più o mai hanno formato, dovranno essere gli accordi di valorizzazione a supplire. Attraverso convergenze con gli istituti di formazione o con finanziatori privati si dovranno attivare sistemi locali di supporto per le varie 'circoscrizioni museali' armonizzandone le gestioni, così da giungere a una sostanziale uniformità d'impostazione.
Già da questa schematica indicazione si comprende che lo sforzo richiesto da parte di tutti sarà straordinario. Sta al Ministro, attraverso le articolazioni centrali del dicastero, dare credibilità al progetto varato, garantendo alle strutture dei Poli continuità e supporto. Si spera che dando a queste 'invenzioni', che tanto hanno fatto sperare quelli che nella riforma hanno creduto, la visibilità che il Ministro stesso dovrebbe desiderare perchè in esse è tutta la peculiarità del suo operato, vengano diversamente indirizzati gli investimenti di risorse umane, dando così al turismo quanto è stato promesso: una capillare iniezione d'innovazione e attrattività che valorizzi proprio ciò che di valorizzazone ha bisogno... certo non i grandi musei.
1 La Pinacoteca Nazionale di Ferrara, che figurava tra i musei affidati al Polo è stata assegnata in un secondo momento alle Gallerie Estensi in cui è confluita anche la Biblioteca Estense di Modena; mentre il Complesso della Pilotta è stato composto con la Biblioteca Palatina di Parma e i musei scorporati dal protocollo di assegnazione al Polo. Entrambi hanno la configurazione di museo autonomo con proprio dirigente, riproponendo con alcune varianti il sistema delle soprintendenze emiliane pre riforma in quanto al dirigente presente a Bologna compete di fatto l'onere del Polo.
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