Rivista "IBC" XXIII, 2015, 4

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / immagini, itinerari, mostre e rassegne, progetti e realizzazioni, pubblicazioni

Diciassette sguardi diversi compongono un progetto fotografico coerente con il suo obiettivo: indagare e raccontare i musei, le aree e i parchi archeologici che costellano il territorio tra Forlì e Cesena.
Archeologia a fuoco

Paola Binante
[docente di Fotografia all'Accademia di belle arti di Bologna]
Paola Sobrero
[responsabile della Biblioteca comunale di Savignano sul Rubicone (Forlì-Cesena)]

Cofinanziato dal Fondo europeo di sviluppo regionale e realizzato dall'Assessorato alla cultura del Comune di Savignano sul Rubicone, su incarico della Regione Emilia-Romagna e della Provincia di Forlì-Cesena, il progetto "Archeologia a fuoco" ha prodotto un'estesa campagna fotografica condotta da diciassette autori che, ognuno con il proprio sguardo, hanno raccontato siti e parchi archeologici del territorio.1

 

"Archeologia a fuoco" ha voluto evidenziare la funzione critica della fotografia; le immagini, infatti, pur nell'eterogeneità dei linguaggi adottati, non s'accordano che marginalmente alla funzione storico documentaria della fotografia archeologica, e per nulla a quella più propriamente scientifica, utilizzata, per esempio, nei lavori di scavo, di restauro e di ripristino. In ciascuno dei diciassette fotografi coinvolti troviamo approcci diversi; ricorrono, tuttavia, immagini nate da un dialogo con il paesaggio. Molti di loro, professionisti e non, impegnati nella rilettura del sistema di parchi e aree archeologiche situati nel territorio della provincia di Forlì-Cesena, si sottraggono a punti di vista consolidati.

La campagna fotografica valorizza, attraverso l'uso di un linguaggio innovativo, le emergenze archeologiche presenti nel territorio, fornendo alla collettività nuove chiavi di lettura per comprendere un patrimonio storico da tutelare. D'altra parte anche la fotografia è un bene culturale, e come tale è un patrimonio da salvare. Nel nostro paese, dagli anni Ottanta, forse anche grazie all'inclusione della fotografia tra i beni culturali, la sua soggettività, la sua autorialità, sono diventate parte integrante della cultura del territorio e, in particolare, dell'analisi del paesaggio. Il progetto "Archeologia a fuoco" si può annoverare tra gli esempi di una fotografia di impegno civile in difesa dei parchi e delle aree archeologiche, parte di un territorio, quello italiano, esposto a disastri ambientali, favoriti dall'incuria e dalla speculazione.

La fotografia ha avuto un ruolo importante nello strenuo impegno profuso da molti a contrastare questa tendenza, e non è un caso, quindi, che istituzioni come la Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna, il Comune di Savignano sul Rubicone e "Savignano Immagini" abbiano visto in questo  medium il più opportuno strumento di analisi critica e di comunicazione. La fotografia, come ormai in diversi ambiti disciplinari si ritiene, è uno strumento di indagine; lo scatto dell'autore contribuisce alla nostra comprensione visiva e spaziale delle tracce dell'antico, offrendoci la possibilità di intraprendere un percorso di conoscenza del nostro passato.

Nello stesso tempo il materiale prodotto dai fotografi coinvolti nel progetto ci permette di analizzare il linguaggio della fotografia. L'aspetto sul quale l'intera operazione pone l'accento è la nozione di bene culturale, applicata sia all'immagine fotografica sia al reperto archeologico, soggetto delle riprese. Non è pretestuoso rammentare brevemente le tappe del rapporto tra committenza pubblica e fotografia di indagine territoriale, una storia che nel nostro paese - amara riflessione - presenta non poche latenze. Sull'importanza delle missioni pubbliche come ambiti di promozione di linguaggi, nonché sull'approfondimento storico e teorico di questo versante, ha risvegliato il nostro interesse l'acuta attenzione critica di Roberta Valtorta. 2 Di questa storia vale la pena rammentare alcuni momenti.

In primis vanno ricordate le campagne fotografiche realizzate da Paolo Monti sui centri storici dell'Emilia-Romagna, anche per il ruolo che vi svolse Andrea Emiliani, al quale si deve, nel 1968, il dilatarsi della nozione di tutela dall'ambito museale a quello territoriale. 3 Un momento fondamentale, ancor oggi modello a cui guardare, è costituito dall'esperienza del progetto "Archivio dello Spazio", curato da Roberta Valtorta, dove la studiosa, a proposito delle richieste formulate dalla committenza, rileva come da un lato fosse richiesta una chiara documentazione dell'oggetto, che permettesse di leggere il fondamentale rapporto tra bene e contesto, e dall'altra parte che l'autore esprimesse la propria autorialità. 4 Un altro importante riferimento per il progetto "Archeologia a fuoco" è senza dubbio rappresentato da "Linea di Confine", un'associazione culturale formata dal Comune di Rubiera e da enti pubblici delle province di Modena e Reggio Emilia, rinnovando, come evidenzia William Guerrieri, "un'attitudine delle pubbliche amministrazioni locali emiliane per una spiccata progettualità nel settore della cultura". 5 "Linea di Confine" può essere utilmente preso a esempio come progetto di indagine in cui la fotografia del territorio non è mera documentazione ma vera e propria pratica culturale.

Si devono però rilevare le novità di "Archeologia a fuoco":  in primis il carattere di laboratorio fotografico e  work in progress, quindi, più di ogni altra cosa, l'estensione alla fotografia archeologica, genere tradizionalmente assai codificato, di un modello di committenza aperto all'apporto autoriale. Credo che in questa scelta assai coraggiosa abbia pesato l'esperienza di "Savignano Immagini". "SI Fest - Savignano Immagini Festival", giunto l'anno scorso alla sua XXIII edizione, ha dato risalto, peculiarmente nell'ultimo lustro, alla fotografia come strumento privilegiato "per approdare alla conoscenza dei territori, dei luoghi, delle persone, delle cose che ci circondano, delle cose che ci appartengono, che rappresentano i brani della nostra memoria collettiva". 6 E sono i curatori di "SI Fest 2013", Stefania Rössl e Massimo Sordi, a promuovere, nello stesso anno, "LNM10 Le Nostre Mura 10 fotografi", il progetto in residenza avviato dall'Amministrazione comunale di Castelfranco Veneto nell'ambito di una campagna di salvaguardia delle mura cittadine. 7

Infine, per cogliere la rispondenza del progetto "Archeologia a fuoco" alle esperienze ricordate potremmo provare a confrontare le nostre immagini con le diapositive conservate nelle fototeche delle soprintendenze ai beni archeologici e ambientali delle nostre città: troveremmo servizi e campagne fotografiche che documentano analisi di scavi, stratigrafie, dislocazioni planimetriche degli oggetti, foto in asse zenitale, oggetti confrontati con strumenti di misurazione. 8 I lavori dei fotografi coinvolti nel nostro progetto sono, come è ovvio che sia, totalmente diversi, e si riallacciano alla recente storia del rapporto tra committenza pubblica e fotografia con funzione di strumento conoscitivo. Ma esiste anche un'altra tradizione, quella del mito dell'antichità, dalla settecentesca veduta di rovine (da Piranesi a Salvator Rosa) alle campagne fotografiche degli Alinari, principali artefici dell'immagine pubblica dei monumenti antichi divulgata nei manuali scolastici e nei mezzi di comunicazione di massa, campagne rivolte, prima, a un pubblico elitario e, successivamente, destinate al nascente turismo di massa.

Appare chiaro che il progetto "Archeologia a fuoco" intende aprire un'altra strada, diversa da quella della fotografia archeologica scientifica tradizionale; i partecipanti "mettono a fuoco" un altro sguardo, rifiutano lo stereotipo a uso del turismo di massa, e attivano uno sguardo che rileva il rapporto tra le tracce di antiche memorie e il nostro paesaggio in rapida trasformazione.


Come ho già rilevato precedentemente, i progetti dei diciassette autori differiscono tra loro sia nella scelta del linguaggio fotografico, sia nei riferimenti metodologici e teorici.

Alla fotografia archeologica di scavo, quantunque rivisitata in chiave personale, si riferiscono alcuni di questi progetti. Cesare Ricci fotografa il Museo archeologico nazionale di Sarsina in  "Mirabili visioni", interpretando la ricerca di un'idea di classicismo nell'arte romana; per fare ciò si avvale di una fotografia "tradizionale", diremmo quasi "classica": utilizza l'analogico e il bianco e nero, punti di vista ravvicinati e adotta un sapiente uso della messa a fuoco e dell'illuminazione. Manuela Guarnieri, in  "Ad Novas", rivisita un elemento caratterizzante dell'archeologia, il mattone manubriato, collegando tre elementi: il Museo, la presenza nel territorio di due fornaci rimaste attive per due secoli, il ritrovamento  in loco di antichi reperti attraverso gli scavi. In  "Via delle anfore" Francesca Degli Angeli mette a confronto gli oggetti museali fotografati nella loro ubicazione attuale, con i luoghi dei loro ritrovamenti: paesaggio banale della quotidianità contemporanea e luogo delle muse, dove i reperti sono ripresi in suggestivi allestimenti museali.


Gianpaolo Ossani, in  "Attraversamenti verticali", propone visioni panoramiche di tre siti archeologici: le immagini degli scavi sono riunite in trittici con composizioni verticali, e non, come solitamente si presentano, in formato orizzontale; in questo modo riesce a dare simbolicamente spazio, in egual misura, agli elementi situati al basso, al centro e in alto. Alla fotografia archeologica si accosta anche Vera Lucchini, che in  "Centuriazione o limitatio" sembra riferirsi alla fotografia aerea come la sola che possa restituire la trama dell'antica suddivisione ortogonale del territorio nell'organizzazione romana.


Al legame tra paesaggio e scavo archeologico dedicano la loro attenzione diversi autori. Emanuele Benini, in  "Itinerario archeologico", restituisce un percorso, o per meglio dire, una "passeggiata" nei luoghi urbani e rurali di Forlimpopoli, dove coglie le preesistenze messe a confronto con le architetture museali. La passeggiata, come opzione teorica e scelta di una visione lenta,  in itinere, è la chiave di lettura per comprendere questo progetto: un procedere attraverso i luoghi alla ricerca di tracce di un paesaggio archeologico spesso non più osservato. Benini cita non a caso Robert Walser "... e in quel mentre ero fortemente assorto in ogni sorta di pensieri, perché sempre, quando si passeggia, idee, lampi di luce e luci di lampi si presentano e si affollano da sé per essere elaborati con cura...". 9

Anche Gabriele Serafin, in  "Luoghi (in)visibili", interroga l'indifferenza che gli abitanti dei luoghi indagati hanno nei confronti delle antiche vestigia. La fotografia riporta alla nostra attenzione elementi del paesaggio archeologico divenuti quasi invisibili. Serafin alterna vedute nel paesaggio urbano soleggiato, dove vedi transitare abitanti indifferenti alle tracce dell'antico, con immagini di reperti fotografati all'interno del museo. Pier Paolo Turci propone  "Pieve", dove mostra la museizzazione dell'area archeologica della Pieve e della Chiesa di San Giovanni Battista a San Giovanni in Galilea nella sua valenza paesaggistica, mettendo a confronto natura e scavi. Angelo Tumedei, in  "Sguardo al futuro", sceglie di mostrare l'incanto dei bambini alle prese con le antiche tracce della storia, così diverse dalla fruizione turistica dei siti archeologici inseriti nel paesaggio, rafforzando simbolicamente lo scorrere della vita tra passato, presente e futuro.

Reportage sul lavoro del Gruppo archeologico cesenate è quello di Roberto Gibelli in  "Reperti"; l'autore propone, in un bianco e nero tipico del reportage umanistico, le attività di questo gruppo di volontari che sotto la direzione della Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna si occupano della preservazione dei reperti, della classificazione e catalogazione del materiale recuperato dagli scavi.


Il progetto "Archeologia a fuoco" ha favorito la lettura autoriale dei siti archeologici. Alcuni autori hanno voluto dare un'impronta più personale all'interpretazione critica della fotografia archeologica. Alla mise en scène ricorre Roberto Baroncini, che in  "Ciao mare" interpreta il Porto canale leonardesco di Cesenatico a partire dalla nota canzone di Raoul Casadei. L'irrealtà dei protagonisti, turisti incuranti del freddo che giungono al porto per salutare il mare, viene amplificata dalle reali immagini del luogo. La messa in scena, comune a diversi autori contemporanei, è suggerita oltre che dall'utilizzo di oggetti improbabili per il periodo invernale (teli da mare, salvagente, maschere da sub...) dall'utilizzo di una luce artificiale che permette di focalizzare l'attenzione sui protagonisti lasciando scorgere in penombra le barche, il canale, il mare.

Anche Ettore Perazzini, in  "Dal museo di oggi a quello che verrà", mette in scena alcuni personaggi, collaboratori del Museo civico "Mambrini" di Galeata, a cui ha chiesto di scegliere un reperto qui conservato al quale accostare un oggetto di uso quotidiano, che potrebbe trovare posto in un futuro museo. Nei dittici, per esempio, vediamo un giovane reggere un volante e nell'altra immagine una statuetta di cavaliere che tende le redini di un cavallo.

"Arena Plautina", di Federico Paganelli, è l'unico lavoro video presente in questo progetto. L'autore si avvale di tecniche di ripresa contemporanee ( time-lapse) per evidenziare "il contrasto che contraddistingue la velocità dei nostri giorni e la lentezza del tempo passato". Riprende il pubblico che prende posto nella moderna Arena di Sarsina per assistere a uno spettacolo della rassegna estiva dedicata a Plauto, autore che vide i natali in questo paese. La ripresa è inframmezzata da immagini di maschere del teatro romano e si chiude con gli attori che a fine spettacolo ringraziano il pubblico.


Il progetto di Mario Beltrambini è, tra quelli realizzati, uno dei più complessi e articolati.  "Ad confluentes" parte dallo studio della  Tabula Peutingeriana, l'itinerario più noto e importante dell'antichità, un'antica carta sulla quale sono dettagliate le strade, i luoghi di sosta e le distanze miliari. Nella  Tabula la località oggi corrispondente a San Giovanni in Compito (Savignano sul Rubicone) viene indicata con il termine  ad confluentes, cioè alla confluenza di due fiumi o di due strade. Beltrambini parte da questa traccia e inizia la sua ricerca: indaga tre luoghi lungo la via Emilia, che vanno dall'area del Compito al rudere del cosiddetto "Petrone" (il nucleo di calcestruzzo di un sepolcro monumentale), fino al Ponte romano sul fiume Rubicone. I reperti archeologici indagati in questo progetto mostrano una mappatura dei luoghi nel contemporaneo, mettendo a fuoco l'importanza della "durevolezza". La ricerca di Beltrambini, realizzata attraverso il  medium del foro stenopeico, 10 che è la cifra del suo lavoro, è un racconto fatto di osservazioni che ci permette di spostare la visione tra i luoghi dei ritrovamenti e gli oggetti rinvenuti. L'autore, che usa pellicole in bianco e nero e polaroid, si avvale di diversi strumenti di rilevamento territoriali, da quello antico al moderno localizzatore GPS e a Google Maps (questi ultimi per conoscere l'esatta posizione e per determinare con precisione i punti di osservazione) e inserisce, quali parti integranti della sua metodologia di lavoro, una carta topografica come introduzione e la riproduzione di un documento manoscritto risalente al ritrovamento di una statua femminile nell'area archeologica del Compito.

Anche Sauro Errichiello usa il foro stenopeico, nel suo caso però a colori: il progetto  "Visibile invisibile" rappresenta una passeggiata nei luoghi dell'area del Colle Garampo di Cesena. Errichiello usa materiale polaroid ormai scaduto, e i colori appaiono con dominanti cromatiche accentuate e irreali. I soggetti sono luoghi e strutture resi visibili e invisibili all'osservatore, in parte coperti da folta vegetazione, in parte oscurati da nuove costruzioni. L'autore avanza con un movimento circolare, con un punto di vista che riprende quello del suo procedere negli spazi: dalla principale piazza cittadina, vista dall'alto, alla sommità del Colle Garampo.


Silvo Canini e Natascia Rocchi, in  "Come è in alto, così è in basso, come è sopra, così è sotto", partono dalle tracce della centuriazione romana nel Cesenate e nel Cervese. Sei scatti per raccontare lo spazio, dove gli autori, entro un reticolo, compongono visioni dall'alto e in veduta frontale, spazialmente organizzate nella forma del quadrato. Il quadrato è assunto come elemento essenziale, l'unità base per raccontare fotograficamente la centuriazione e questo territorio come un radioso specchio che rifletteva le geometrie del cielo diurno e la volontà degli Dei della volta celeste.

Dello stesso Silvio Canini è il progetto  "Decostruzione all'ombra del tempo", dove l'autore mette a confronto due costruzioni: quella antica e reale di un muro romano e una costruzione effimera, quella dei mattoncini LEGO, ricostruzione in chiave ludica e dalla cromia vivace. Le costruzioni, ambedue prodotte dall'uomo, assumono significati diversi: la struttura archeologica domina il tempo con forza, quella dei LEGO - che rimanda al materiale per eccellenza del contemporaneo, la plastica - è destinata a soccombere nel tempo, specchio di un'epoca dedita al consumismo fugace e priva di valori identitari. Il progetto è costituito da una sequenza di sei immagini a colori realizzate in un brevissimo lasso di tempo, nove minuti. Le ombre taglienti sottolineano sia la simbologia del tempo che il parallelo tra il muro corroso dagli anni e la plastica atemporale dei mattoni LEGO, che l'ombra porta nel buio.


Il rapporto fra l'autore, il soggetto e lo spettatore è il filo che lega i progetti di "Archeologia a fuoco", che potremmo sintetizzare attraverso le parole di Luigi Ghirri: la posizione del fotografo, in fondo, non è diversa da quella degli altri, di chi compare nelle fotografie, o di coloro che le guardano o le giudicano. Non è nemmeno una prerogativa dei "generi" fotografici. Perché non si tratta di una questione di ruoli o di etichette, ma di sguardi che per cogliere la realtà autentica devono essere vigili, attenti, inquisitori sul mondo e sui suoi meccanismi di rappresentazione. E il vedere autentico non risiede nel mirino di una fotocamera, ma è proprio dell'occhio umano.

[Paola Binante]

 

"Archeologia a fuoco" ha rappresentato l'intento di porre in relazione, nell'odierno articolato panorama di beni ed emergenze culturali del territorio provinciale, due ambiti di non semplici sinergia e approccio, e di coniugarli interpretando il paesaggio, nella varietà e molteplicità che è venuto assumendo quale risultato di innumerevoli stratificazioni e trasformazioni operate dalla presenza dell'uomo. Un paesaggio inteso oggi, dal punto di vista patrimoniale e culturale, quale risultato complesso di una costante evoluzione di fattori naturali e umani e delle loro interazioni.

Sia l'idea di fotografia che quella di paesaggio sono state oggetto di una lunga evoluzione e, in particolare negli ultimi decenni, di una vera e propria rivoluzione, che implica aspetti sociali e partecipativi, oltre che una concezione dilatata e articolata dei rispettivi contesti di riferimento. L'intitolazione attribuita al progetto promozionale dell'Asse IV POR FESR, " Sistema dei parchi, delle aree e dei musei archeologici della Provincia di Forlì-Cesena", ne costituisce un chiaro esempio. L'utilizzo del concetto di  sistema si fonda sull'individuazione di peculiarità e rilevanze del territorio e delle caratteristiche del paesaggio, mettendole in rapporto con implicazioni ambientali, funzioni di custodia e conservazione, rinnovate emergenze geografiche, turistiche, naturali, antropologiche dell'area territoriale.

Il concetto di sistema rappresenta un'ulteriore evoluzione di quello di  museo diffuso, che dagli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso è stato adottato per esprimere e incentivare il ruolo dei musei in relazione ai rispettivi contesti, uscendo dai propri spazi fisici per contribuire - con altri soggetti e interpreti della dimensione storica, culturale produttiva del territorio - a un ampio disegno di funzione sociale. Da qui lo sviluppo delle realtà e delle funzioni degli  ecomusei, degli  itinerari culturali, dei  distretti, connessi a obiettivi di promozione e di valorizzazione come capacità di innovazione e partecipazione a un'offerta di distinzione e di qualità.

Nel quadrilatero che delinea i confini della provincia di Forlì-Cesena l'itinerario di "Archeologia a fuoco" ha circoscritto un ulteriore perimetro, che dalla pianura al confine con la provincia di Rimini raggiunge il litorale costiero per riaddentrarsi nel cuore romagnolo e risalire a una vasta area collinare. Un quadrato con un'appendice che si allunga sulla costa o, se si preferisce, un poligono che, come oltre duemila anni fa, si snoda all'interno di quelli che erano gli antichi confini naturali - la colonia riminese, la costa, l'area collinare - venendo attraversato dall'asse diritto della via Emilia, spartiacque viario tra collina e pianura da cui si articolavano le antiche strade che portavano alla collina o al mare, incontrando i  castra, i  fora, le  mansiones che sono oggi città, paesi e borgate.

Un poligono, come allora, solcato trasversalmente da torrenti o fiumi di modesta portata ma grandi di fama, come il Rubicone, sacro confine del territorio romano con la Gallia legata, che, mutati nei secoli e da secoli i loro alvei, vanno a confluire nell'Adriatico, in quel tratto di costa che vedeva i mercanti greci transitare per i loro commerci diretti al porto di Spina; un poligono che testimonia, nelle realtà urbane e nel paesaggio, gli stanziamenti e i passaggi di antiche e diverse popolazioni: degli umbri giunti quasi fino al mare, dei galli insediati nell'Italia settentrionale, degli etruschi, dei sabini probabili fondatori di Ravenna.

Un paesaggio fortemente segnato dalla presenza romana a partire dal III secolo avanti Cristo, con la bonifica di zone paludose, gli appoderamenti, gli impianti di colture agricole e di allevamenti, le attività commerciali; un paesaggio sempre più intensamente antropizzato, con una diffusione capillare della piccola proprietà, ripetutamente sconvolto da eventi naturali e bellici, più volte ricostruito, più di recente mutato dagli incalzanti bisogni della modernizzazione e di una rapida industrializzazione, deturpato da una cementificazione indotta, in particolare lungo la costa, da logiche di profitto e dal turismo di massa e che tuttavia offre ancora uno degli esempi meglio conservati dell'antica centuriazione.


Quali sono dunque le peculiarità che differenziano e accomunano le sette sorelle di questa parte di Romagna? Savignano, Cesena e Forlimpopoli sono tre importanti centri della pianura sulla via Emilia, di fondazione ed evoluzione diverse. Savignano trae le sue origini dal nucleo del Compito, che raggiunge il suo splendore in epoca romana ma reca significative tracce pre e protostoriche; il  castrum cesenate aveva soppiantato il preesistente insediamento nell'orbita sassinate; romano il centro mercantile di Forum Popili. Dall'89 al 42 avanti Cristo il Rubicone segnò, nei pressi del  Compitum, il confine politico fra il territorio di Roma e quello della Gallia Cisalpina, prima che, in età augustea, la Romagna divenisse parte della Regio VIII (che allora non si chiamava né Emilia né Romagna) a esclusione di Galeata e Sarsina, ricomprese invece nella VI.

Il Compito e il Rubicone continuano a distinguere l'identità di Savignano, assurta molti secoli dopo agli onori di culla del classicismo e Atene di Romagna fra XVIII e XIX secolo, destinata a divenire nuovamente linea di confine quando, sul finire della Seconda guerra mondiale, la Linea Christa vide fronteggiarsi sulle due sponde del Rubicone i tedeschi in ritirata e le truppe alleate che, di fronte al mesto spettacolo di distruzione e di macerie che sfiorava il 90%, la definirono "seconda Cassino". Il toponimo Rubicone è stato adottato da centri e imprese commerciali, bar, alberghi, ristoranti, associazioni, eventi culturali e sportivi e un'imponente statua di Giulio Cesare, ricalcata su quella che troneggia nella sala del Campidoglio romano, saluta benevolmente da una sponda del ponte augusteo i turisti alla ricerca di antiche vestigia.

Cesena è la città malatestiana, ricca di monumenti tardomedievali, raccolti intorno alla Rocca che occupa l'estremità nord del colle Garampo, dove è attestato il primo insediamento romano nel III secolo avanti Cristo, che sovrasta la principale piazza cittadina su cui si affacciano altri imponenti monumenti. A Malatesta Novello è dovuto il rinnovamento della cinta muraria e il gioiello della Biblioteca Malatestiana. Della Rocca Vecchia rimangono alcune strutture murarie, risalenti alcune al primo edificio, sovrapposto all'antico  castrum romano, più volte demolito e ricostruito dai condottieri e conquistatori che lo abitarono.

Nell'entroterra di Cesenatico, testimoniato dalla presenza di ville rustiche e impianti produttivi, l'insediamento romano di  Ad Novas era sorto come  mansio in età imperiale a seguito dello sviluppo di comunicazioni viarie con la Via Popilia, che dal 132 avanti Cristo collegava Ravenna e Rimini. Ma l'eccellenza di Cesenatico è costituita dal porto canale realizzato, agli inizi del XVI secolo, su progetto di Leonardo da Vinci, spina dorsale della cittadina, centro di attività di commerci e di pesca, divenuto poi porto turistico di Cesena. Cesenatico è "un dono del suo porto", che oggi rappresenta un'affascinante meta turistica con il museo di terra e quello galleggiante della Marineria.

Se queste sono le eccellenze che distinguono le cittadine della pianura e della costa - in cui riecheggiano i nomi e le gesta di grandi condottieri e dei loro eserciti, da Giulio Cesare al Barbarossa, a Federico I, a Federico da Montefeltro, ai Malatesta, quelli del genio di Leonardo e di Pellegrino Artusi che compì l'unificazione italiana attraverso la tavola - nelle città collinari risuonano quelli di Teodorico, re degli Ostrogoti, di Plauto, il più noto commediografo della romanità. Preziose testimonianze della cristianità, luoghi di culto, pievi, santuari, abbazie e cattedrali; borghi medievali, rocche, castelli animati da mercatini e sagre e feste popolari; antichi cammini spirituali ripristinati.

Sarsina, con la ricchezza del suo museo archeologico, il Mausoleo di Obulacco, la casa di Plauto e l'impianto dell'antico foro, le tombe monumentali della necropoli, è quella che più delle altre conserva l'identità di città romana, coerente anche nella lunga tradizione del festival teatrale nazionale dedicato al dramma antico che dal 1956 si tiene nell'Arena Plautina nei mesi di luglio e agosto. San Giovanni in Galilea, piccolo borgo adagiato su uno sperone roccioso, è il balcone di Romagna, da cui la veduta spazia a perdita d'occhio: un piccolo scrigno che conserva le testimonianze dell'antica cultura villanoviana.


Oggi, ogni località compresa nel circuito di "Archeologia a fuoco" vede la presenza di un museo archeologico, ciascuno contrassegnato dal logo di museo di qualità della Regione Emilia-Romagna: da quello del Compito di Savignano sul Rubicone, che comprende la Pieve e la canonica adiacenti, all' Antiquarium di Cesenatico, custodito nel più grande complesso del Museo della Marineria; dai musei cesenati dedicati al patrimonio archeologico e alla centuriazione al superbo Museo archeologico nazionale di Sarsina; dal "Mambrini" di Galeata al "Renzi" di San Giovanni in Galilea e all'"Aldini" di Forlimpopoli, di recente ristrutturazione.

Tutte le località conservano testimonianze del periodo romano, quando questa terra non si chiamava Emilia e neppure Romagna: San Giovanni in Galilea, Savignano sul Rubicone con le vestigia del Compito, Cesenatico con l'antica  Ad Novas riemersa dagli scavi, Galeata con  Mevaniola, Forlimpopoli con  Forum Popili. Lungo tutto il circuito sono state nel tempo localizzate aree archeologiche ed effettuate successive campagne di scavo che hanno restituito complessi come quello di Galeata, di San Giovanni in Galilea, del colle Garampo.

Oggi, antichi toponimi, come il Compito, o Pieve Sistina o Decimano nella campagna cesenate, sono rimasti a testimoniare la presenza strategica di incroci, confini, villaggi, luoghi di culto e stazioni di posta, rintracciabili nelle zone centuriate, in preziose carte o grandi percorsi itinerari come la  Tabula Peutingeriana, l'itinerario burdigalense o ierosolimitano, le vie dei Romei, il  Grand Tour dei viaggiatori sette e ottocenteschi [...]. Le strade dei viandanti odierni conducono ai centri e ai parchi commerciali, agli outlet dei marchi di abbigliamento e delle calzature di lusso, ai camping e agli alberghi pluristellati, alle locande e alle osterie che offrono o ripropongono i sapori della tradizione, al bengodi della città artusiana, alla magia del porto canale leonardesco e del presepe galleggiante, alle suggestioni di borghi incantati che occhieggiano dalle colline al mare. Le strategie dell'offerta culturale e turistica tendono sempre di più a fare sistema ricorrendo a una complessità di risorse, antiche e recenti, che uniscono tradizione e futuro, attingendo a patrimoni e testimonianze che hanno suggellato l'identità di un territorio senza prescindere dal coinvolgimento responsabile e affettivo di chi lo vive quotidianamente e ne racconta le storie con immagini e parole.

[Paola Sobrero]


Note

[ 1] Per approfondire la conoscenza del progetto ed esaminare tutte le immagini realizzate, si rimanda al sito  http://www.savignanoimmagini.it/index.php?option=com_content&view=article&id=211 e al volume che pubblica, tra gli altri, i due contributi qui riprodotti:  Archeologia a fuoco. Parchi, aree e musei archeologici della provincia di Forlì-Cesena, a cura di G. Pazzaglia e P. Sobrero, Verucchio (Rimini), Pazzini Editore, 2015 (il titolo originale del testo di Paola Binante è  Archeologia a fuoco).

[ 2Fotografia e committenza pubblica. Esperienze storiche e contemporanee, a cura di R. Valtorta, Cinisello Balsamo (Milano), Museo di fotografia contemporanea Villa Ghirlanda, 2009 ("Quaderni di Villa Ghirlanda", 6).

[ 3] Si vedano: A. Emiliani,  Per una politica dei beni culturali, Torino, Einaudi, 1974; Id,  Dal museo al territorio 1967-1974, Bologna, Alfa, 1974.

[ 4] Si vedano: R. Valtorta,  Considerazioni sui materiali della mostra, in  Beni architettonici e ambientali della Provincia di Milano, a cura di A. Sacconi, Milano, Provincia di Milano, 1985; Id.,  La fotografia di paesaggio come fotografia, in  1989-97 Archivio dello spazio. Dieci anni di fotografia italiana sul territorio della Provincia di Milano, a cura di A. Sacconi e R. Valtorta, Udine, Art&, 1997.

[ 5] Si veda: W. Guerrieri,  Linea di Confine per la Fotografia Contemporanea, in  Fotografia e committenza pubblica, cit., pp.93-99.

[ 6] Si veda: S. Rössl, M. Sordi,  Niente da vedere niente da nascondere, in  Imparando dalla fotografia. Savignano Immagini Festival #21, Verucchio (Rimini), Pazzini Editore - Savignano Immagini, 2012, pp.11-15.

[ 7] Si veda:  LNM10 Le Nostre Mura. 10 fotografi in residenza nelle terre di Giorgione, catalogo della mostra, Museo Casa Giorgione, 21 settembre - 10 novembre 2013, a cura di M. Sordi e S. Rössl, Castelfranco Veneto (Treviso), Comune di Castelfranco Veneto, 2013.

[ 8] Si veda: A. C. Quintavalle,  Archeologia, in  Enciclopedia pratica per fotografare, Milano, Fabbri, 1979, v. III, pp.1195-1205.

[ 9] R. Walser,  La passeggiata. Racconto, Milano, Adelphi, 1976 , p. 36.

[ 10] La camera stenopeica, pur avendo un aspetto diverso da quello degli apparecchi fotografici che comunemente usiamo, utilizza gli stessi principi base della ripresa fotografica. Strutturalmente questa camera è formata da un solido rettangolare della dimensione della pellicola che utilizza, e da un piccolissimo foro che sostituisce l'obiettivo.

 

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