Rivista "IBC" XXIII, 2015, 2
musei e beni culturali / mostre e rassegne, pubblicazioni
Anche Ferrara celebra il periodo europeo a cavallo fra i secoli XIX e XX. Lo fa con una mostra che analizza il legame complesso e inestricabile fra storia e mutamenti sociali da una parte e ripercussioni sulla cultura in senso lato dall'altra. "La rosa di fuoco. La Barcellona di Picasso e Gaudí", aperta al pubblico fino al 19 luglio 2015, non si limita infatti alla presentazione di quadri e sculture che hanno connotato gli anni fra il 1888 e il 1909 nel centro nevralgico della Catalogna. Non è, poi, la presenza di manifesti o di altri manufatti artistici, quali gioielli od oggetti che entravano nelle case della ricca borghesia, o di numerose immagini fotografiche a rendere particolare l'esposizione al Palazzo dei Diamanti. Colpisce, piuttosto, il riuscito tentativo di amalgamare tutti questi elementi in modo da rendere convincente la loro simultanea coesistenza in quella sorta di palcoscenico, in un trionfo di contraddizioni che, paradossalmente, sembrano naturali.
L'espressione "rosa di fuoco" rende con efficacia la situazione caotica in cui versavano Barcellona e la Catalogna in quegli anni cruciali. La definizione della città fu coniata da un anarchico catalano che scrisse in quei termini a un compagno in carcere, con riferimento all'effervescenza rivoluzionaria che sarebbe poi sfociata nella cosiddetta "settimana tragica" del 1909. Lo stato di miseria totale e di degrado in cui viveva gran parte della popolazione impiegata nel compimento del piano urbanistico di Barcellona, progettato nel 1860 da Ildefons Cerdà con illusori ideali egualitari, e il reclutamento forzoso per un conflitto in Marocco, scatenarono gli eventi. Alla fine si contarono oltre cento morti fra civili e militari e ventuno chiese e trenta conventi dati alle fiamme, come documentano testimonianze fotografiche all'interno della mostra.
Il momento in cui prende l'avvio la narrazione degli avvenimenti è, invece, il 1888, anno in cui si svolse l'Esposizione Universale di Barcellona. Lo sviluppo urbanistico, che con la demolizione delle mura medievali ne faceva una città moderna, veniva mostrato trionfalisticamente. Era una liberazione dalla "prostrazione politica causata dalla cocente sconfitta militare subita agli inizi del Settecento, dopo che i catalani si erano schierati con chi avrebbe perso la Guerra di Successione spagnola" come ricorda Francesc Fontbona nel catalogo della mostra. L'annessione della Catalogna al nuovo stato spagnolo e il tentativo di cancellarne la lingua e la cultura determinarono le difficoltà a emergere di cui Barcellona soffriva ancora quasi alla fine del secolo successivo.
Il giovane Picasso, quello del periodo blu, e l'architetto Antoni Gaudí sono i principali artisti chiamati a testimoniare quel complesso periodo nella mostra di Ferrara. L'esposizione si apre sulla litografia del progetto urbanistico e sulla visuale dei Tetti di Barcellona che Picasso fissò su tela in un olio del 1902. Una specie di introduzione, quasi un'alfa e un omega al cui interno si colloca l'intera esposizione, articolata in sezioni. In quella dedicata all'architettura spicca la ricostruzione contemporanea del modello di Gaudí per la chiesa della Colonia Güell, ma di notevole interesse sono anche varie stampe fotografiche di Adolf Mas che riproducono monumenti e palazzi storici di Barcellona, fra cui la Sagrada Familia.
Di seguito, troviamo ampie testimonianze del mondo scintillante dei cabaret, del music hall, dei teatri, dei manifesti pubblicitari. L'epoca descritta, come ci ricorda il curatore, è quella della Bélle époque, della Femme fatale, che ritroviamo nei grandi romanzi di Tolstoj e Proust. Ma l'ultimo sguardo è sui "Miserabili", visti dagli occhi quasi spietati di Picasso, e da quelli, fra gli altri, di Lluis Graner, Isidre Nonell e Julio Gonzales. Centro propulsivo del movimento modernista e ritrovo di artisti di ogni genere fu la taverna Els Quatre Gats, dove il giovane Picasso, nel 1900, tenne la sua prima mostra, basata sul ritratto, in contrapposizione alla concezione più tradizionale di Ramon Casas.
Il volume che accompagna la mostra ha una struttura piuttosto insolita. In un ampio saggio introduttivo, il curatore Tomàs Llorens enuclea i problemi e le tematiche sociali a cui abbiamo solo accennato. Di seguito, agli occhi del lettore, si avvicendano le opere visibili in mostra. Nella seconda parte del volume, invece, sono raggruppati i saggi specialistici che trattano da un punto di vista critico e storico i vari aspetti dell'esposizione. Quasi a spingere il visitatore a trarre conclusioni critiche personali senza volerlo influenzare a priori.
Alla fine, quella di Barcellona non è solo una tessera da inserire nell'ampio mosaico del modernismo che trionfò nei principali centri europei in quegli anni: Parigi sugli altri, ma anche Vienna, Londra, Mosca e Pietroburgo. È un'esplosione di vitalità e di miseria, di gioiosa creatività e di assurde crudeltà che sfociarono spesso in un indecifrabile anarchismo piuttosto che in una concreta lotta politica, in un anticlericalismo feroce che, tuttavia, coesiste con una prospettiva religiosa della vita.
La rosa di fuoco. La Barcellona di Picasso e Gaudí, a cura di T. Llorens, Ferrara, Ferrara Arte, 2015, 245 pagine, 45,00 euro.
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