Rivista "IBC" XXIII, 2015, 1

Dossier: Veli di seta, venti di guerra - Il restauro dello stendardo della Beata Vergine di Fontanellato

musei e beni culturali, dossier / restauri

Lo stendardo di Fontanellato: contesto e committenza

Mario Calidoni
[presidente dell'Associazione culturale "Jacopo Sanvitale"]

Nel 1600 quella dei Sanvitale è una famiglia potente all'interno del Ducato di Parma e Piacenza, nato nel 1545 per volere di papa Paolo III e governato dai Farnese. 1 I suoi feudi nel territorio parmense e i suoi possedimenti in città sono numerosi; contrasta il potere centrale farnesiano con un'accorta politica di espansione e nel contempo di servizio, così da poter essere considerata, come dice lo storico Giorgio Chittolini, una delle piccole corti padane che punteggiano il contesto parmense. Le piccole corti dei Sanvitale sono diffuse sul territorio e manifestano la loro forza ed eleganza nei castelli di monte, di collina e di pianura, con dinastie ramificate da Sala Baganza a Belforte, sino ai Sanvitale di Fontanellato che sono il ramo estinto nel 1951.

Alessandro Sanvitale (1573-1635) - il padre di Stefano, che è il committente dello stendardo della Vergine - ha i titoli di conte di Fontanellato (il feudo rurale più importante della pianura), ambasciatore della Casa Farnese a Firenze e governatore delle armi del Ducato a Piacenza. È altresì il primo proprietario del Palazzo Sanvitale, ancora oggi uno dei palazzi più prestigiosi di Parma, che ha ospitato tra gli altri Napoleone e il papa Pio VII.

Alessandro è anche colui che, grazie alle sue benemerenze per la devozione alla Casa Farnese, poté riacquistare dalla Camera Ducale la metà del castello di Fontanellato che era stata confiscata al cugino Alfonso nel 1612 per la "gran giustizia", riunendo così, in questo luogo, l'intera signoria dei Sanvitale. Alfonso era il cugino di quella Barbara Sanseverino, sposa di Giberto IV Sanvitale, che era stata considerata a capo di una congiura di nobili tesa a togliere di mezzo il duca Ranuccio. L'ira del duca, una volta scoperta la trama, fu terribile: il 4 maggio 1612 il processo terminava con la condanna a morte di tutti i presunti colpevoli e la confisca dei loro beni, e il 19 maggio Barbara e altri nove cospiratori furono decapitati nella pubblica piazza di Parma, su un palco montato a ridosso del Palazzo dell'Uditore Criminale, oggi all'angolo fra piazza Garibaldi e strada della Repubblica.

Passata questa burrasca di inizio secolo, i Sanvitale non solo tornarono alla loro potenza ma la aumentarono, grazie a una duplice strategia. Capirono che l'autorevolezza e la forza potevano essere conseguiti non solo in loco, proseguendo nei servizi ai Farnese, ma anche con l'assunzione di cariche nella Chiesa Romana e rivestendo un ruolo rilevante nel cavalierato di Malta, ritenuto un importante presidio contro l'espansione ottomana dopo la grande vittoria di Lepanto che, "grazie alla protezione della Vergine", aveva salvato dal pericolo turco l'intera Europa.

Così, due figli di Alessandro, Stefano (1627-1709) e Giovanni (1631-1678) divengono cavalieri di Malta, il nipote Antonio Francesco (1660-1714) viene fatto vescovo di Urbino e cardinale di San Pietro in Montorio, e lo zio Galeazzo Sanvitale (1589-1622) è referendario di segnatura di Clemente VIII e muore appena prima di essere creato cardinale da Gregorio XV.


Entro questo ambito familiare e storico si colloca dunque la figura del cavaliere di Malta Stefano Sanvitale, che è la figura chiave per capire come mai uno stendardo da nave possa essere finito in un castello di pianura, rappresentando, in questo ambiente, un oggetto solo apparentemente fuori contesto.

Luigi Alessandro Tirelli, in un manoscritto inedito del 1764 in cui racconta "genealogia e gesta dell'eccellentissima Casa de' Conti Sanvitale", così descrive il personaggio: "Steffano di Sanvitale, cavagliere di Malta, professò li 9 giugno 1651, fu Capitano della Galera San Nicola nel 1654, ebbe la commenda dei santissimi Guglielmo e Damiano in Pavia con altra di San Giovanni in Capo di ponte a Parma nel 1676". Il 16 luglio dello stesso anno "fu eletto dal Gran Priore di Venezia per suo luogotenente in detto Priorato". Il 7 settembre "ottenne un'altra commenda de' Santi Simone e Giuda sul Parmeggiano". Si prosegue con un elenco di altre commende, tra cui quella di "Ricevidore della Religione del Priorato di Venezia li 16 dicembre 1671". Quindi "conseguì il Priorato e il Bailaggio di Sant'Eufemia li 12 ottobre 1699 e li 13 fu creato Cavagliere Gran Croce". Infine, "carico d'anni e di meriti cessò di vivere nel 1709 li 23 luglio."

Come si vede, un'intera vita dedicata all'Ordine, con impegni anche in mare, a capo di una galera da combattimento dove forse lo stendardo della Vergine aveva garrito al vento, in battaglia o in parata al momento del rientro in porto.

Abbiamo notizia dell'aspetto strettamente militare delle sue missioni nella "Marina del Sovrano militare Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta", dove si ricorda il ruolo della galera "San Nicola" nella guerra di Candia. Questo conflitto, la "Quinta guerra turco-veneziana", vide in campo dal 1645 al 1669 la Repubblica di Venezia e i suoi alleati - i cavalieri di Malta, lo Stato della Chiesa e la Francia - contro l'Impero ottomano per il possesso dell'isola di Creta (in veneziano chiamata Candia).

Nonostante la maggior parte di Creta fosse in mano agli ottomani nei primi anni di guerra, Candia (la moderna Iraklion), capitale dell'isola, resistette con successo. Il suo prolungato assedio comportò l'invio di rifornimenti e diversi momenti di scontro. In particolare si ricorda come il 23 giugno 1656, all'uscita dai Dardanelli, la flotta ottomana - composta da 70 galere, 9 maone (un tipo di nave turca a tre alberi) e 29 navi da trasporto - si fronteggiò per alcuni giorni con la flotta cristiana, sino allo scontro finale, durante il quale la galera capitanata da Fra Carlo Gattola catturò 4 galere, la "Lascara", galera magistrale, capitanata da Fra Baldassarre Demandols, prese una maona, e la "San Nicola", capitano Fra Stefano, conte Sanvitale, una galera. Il Gran Maestro dell'Ordine di quel periodo era appunto Fra Giovanni Paolo Lascaris e nella sua flotta era il conte Stefano. Lo stendardo, per questo, accanto al grande stemma dell'Ordine di Malta e a quello della famiglia Sanvitale, riporta lo stemma del Gran Maestro Lascaris, inquartato con due croci e due aquile bicipiti.

Ma il documento più significativo che lega Stefano allo stendardo è una nota spese del 1654, conservata all'Archivio di Stato di Parma: "nota delle spese fatte in Parma dall'Illustrissimo Conte Stefano San Vitale in diverse cose in servizio per la Galera", dove si dice esplicitamente che furono "spesi nello stendardo da Galera da combattere 150 soldi di Parma". Il documento poi prosegue con l'elenco dettagliato di tutti gli approvvigionamenti necessari per la nave, che probabilmente salpava verso l'isola di Creta. Così, anche in una nota dell'anno successivo, si specifica di spese "per servizio della Galera San Nicola dell'Illustrissimo Conte San Vitale capitano", a indicare il fatto che il suo impegno militare si realizzò con diverse missioni.

Una volta cessato l'impegno militare, come si è detto, il coinvolgimento nell'Ordine continuò con diversi incarichi di priorato. A Parma si deve al conte Stefano Sanvitale l'erezione, nel 1688, della grande facciata della chiesa di San Francesco di Paola, allora spettante ai Cavalieri di Malta, oggi sede della Biblioteca Universitaria. Il suo ritratto, nella "Galleria degli antenati" del castello di Fontanellato, lo raffigura con la croce del cavalierato in primo piano; la breve biografia che lo affianca dice, tra l'altro, che "conquistò navi e insegne turchesche, poi fu ricevitor di Malta in Venezia". Quindi "possedè commende di grazia e giustizia" e infine "fu sepolto in Santa Croce di Fontanellato nella sepoltura di sua casa".


Se quindi lo stendardo della Vergine di Fontanellato sventolò su una galera nel Mediterraneo, in battaglia o in parata, lo si deve proprio a Stefano Sanvitale. Si pone ora il problema di capire se e come fosse effettivamente adoperato a bordo di una nave, esposto alle intemperie, e poi di appurare come si sia conservato e in che modo sia arrivato nel castello di Fontanellato.

Non sono stati sinora stati trovati documenti specifici su questi suoi viaggi per mare e per terra; si sa per certo che al momento del passaggio della Rocca alla proprietà pubblica, nel 1948, lo stendardo era esposto in tutta la sua maestosità nel salone delle armi, abbinato quindi alla famosa raccolta di armi del conte Ottavio (1548-1589), che rappresentava sin dal 1500 un motivo di orgoglio per i Sanvitale: segno che, evidentemente, anche lo stendardo veniva considerato come parte delle memorie di guerra della famiglia.

Successivamente venne collocato nell'oratorio, in una posizione che lo rendeva quasi del tutto invisibile e che lo ha portato a un degrado tale che, se non si fosse intervenuti con il restauro, il rischio di perdita era concreto. Ma è proprio l'oratorio, probabilmente, il luogo cruciale per capire il senso di questo fragile tessuto di seta cremisi.

Il conte Alessandro (1645-1727), nipote di Stefano, aveva trasformato un'antica legnaia del castello in cappella e nel 1678 l'aveva dedicata a San Carlo Borromeo. Il cronista Carlo Giuseppe Fontana, nel 1696, descrive nel dettaglio questo luogo ma non fa cenno ad alcuno stendardo; meraviglia, comunque, il fatto che la figura di San Carlo ricorra sia nella pala d'altare che nello stendardo, come nei drappi cremisi e negli addobbi in tessuto: "Il suo altare" - scrive Fontana a proposito dell'oratorio - "è costrutto di fini marmi con vaga architettura sull'ordine corinzio. Nel mezzo stavvi raccolto in liscio cordone un quadro esprimente il santo Borromeo [...]. Accresce la maestà dell'altare un baldacchino di vago dommasco chermisi, e dorato, da cui pendono i drappelloni guarniti di serica frangia ben accordata col drappo".

Una volta arrivato a Fontanellato, lo stendardo sarà certamente stato collegato a questo luogo di devozione, probabilmente dopo le avventure in mare, anche solo come grande stendardo di parata. Forse fu prima conservato nella sede cittadina dell'Ordine di Malta, che aveva un ospedale a fianco della chiesa di spettanza dell'Ordine già dal XIII secolo, poi passata ai frati Minimi nel 1600.

In ogni modo, la sua "messa a dimora" nel castello Sanvitale di Fontanellato, oltre che per la committenza, ha piena legittimità anche per gli aspetti simbolici e iconografici della parte dipinta. San Carlo Borromeo è titolare della cappella di cui si è detto e, per il santo, la famiglia aveva una devozione particolare; la Madonna del Rosario del vicino santuario a lei dedicato - "a un tiro di balestra dalla Rocca", dicono i documenti - è raffigurata con l'abito della sua prima incoronazione nel 1660, ma era venerata in questo luogo dal 1615; infine - come dimenticarlo? - San Giovanni, che è raffigurato nel lato non visibile dello stendardo, è patrono dei cavalieri dell'Ordine di Malta.


Nota

( 1) Sulla famiglia Sanvitale sono numerose le pubblicazioni, a partire da quella di Pompeo Litta sulle Famiglie celebri d'Italia (Milano, 1819-1853). Sui Farnese e sui loro rapporti con i Sanvitale è fondamentale il recentissimo quarto volume della Storia di Parma (Parma, Monte Università Parma Editore, 2014). Per le ricerche su Stefano Sanvitale cavaliere di Malta sono risultate fondamentali le indicazioni di padre Costantino Gilardi, che ha fornito informazioni attinte dall'Archivio e dalla Biblioteca Granmagistrali dell'Ordine di Malta di Roma.

 

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