Rivista "IBC" XXII, 2014, 1
musei e beni culturali / mostre e rassegne, pubblicazioni
All’inizio dell’’anno, quando tutti, chi più, chi meno, ci affidiamo a un qualche, seppur minimo, rito scaramantico, nulla di meglio che godere di un’intera sequenza di immagini il cui valore apotropaico ha attraversato i secoli. Le trovate, queste immagini, visitando “Mostri”, l’evento espositivo del Museo archeologico nazionale romano di Palazzo Massimo, inaugurato il 20 dicembre 2013 e aperto fino al primo giugno 2014. Dedicata alle creature fantastiche della mitologia, dalle sirene al Minotauro, dalle Gorgoni alle Sfingi, ai centauri, ai grifi, la mostra presenta, attraverso un riuscito allestimento che, nel percorso e nei giochi di luci e ombre, suggerisce l’andamento del labirinto minoico, un centinaio di reperti che illustrano i mostri dell’antichità.
Provenienti in gran parte da istituzioni museali straniere – Atene, Berlino, New York, Basilea, Los Angeles – ma anche dai depositi della Soprintendenza archeologica di Roma, i reperti, diversi per stile, materiale, epoca, ma tutti di altissimo livello formale, rimandano a un universo iconografico di straordinaria varietà, che ha radici lontanissime, ma che fu codificato compiutamente soprattutto in epoca greca. Antichi come l’uomo e le sue paure, di cui costituiscono la rappresentazione apotropaica, queste creature hanno attraversato, e in taluni contesti dominato, l’universo figurativo del mondo occidentale, pur provenendo in buona parte da oriente. Lo hanno fatto con inalterata forza simbolica per secoli e secoli, senza conoscere momenti di totale oblio, per approdare, mutati, talora stravolti, ma ancora pienamente riconoscibili, nel catalogo iconografico della contemporaneità, riemergendo attraverso molteplici codici linguistici, dalla pubblicità al cinema.
Non per caso, quindi, testimonial dell’evento e protagonisti di un applaudito incontro col pubblico in occasione dell’inaugurazione, sono stati Scott Ross e Shane Mahan, autori di effetti speciali e di alcuni dei mostri holliwoodiani più famosi, da Jurassic Park ad Avatar: entrambi hanno riconosciuto il loro debito creativo nei confronti del repertorio iconografico illustrato nella mostra curata da Rita Paris ed Elisabetta Setari. Chiara e lineare nell’intento divulgativo, l’esposizione suddivide i reperti per tipologia rimandando al bel catalogo un’indagine più approfondita sull’evoluzione antica delle diverse iconografie (Setari), come anche una preziosa “ricucitura” fra i temi della mostra e i moltissimi oggetti presenti nelle collezioni del museo che vi si riconnettono (Paris). Si ricrea così quel dialogo necessario a stabilire un circuito virtuoso fra evento temporaneo e museo, obiettivo troppo spesso obliterato nelle mille mostre allestite solo per obbligo di marketing.
Insieme ai reperti antichi, tre opere stanno a testimoniare la persistenza delle figure mitologiche nella cultura moderna e contemporanea, una tempera di Alberto Savinio (Creta), un dipinto del Cavalier d’Arpino (Perseo libera Andromeda) e una Medusa di pittore fiammingo anonimo della prima metà del XVII secolo. Quest’ultimo dipinto, la testa mozzata della gorgone che giace a terra in un ultimo spasmo di orrore, a lungo ritenuta, sulla scorta di Vasari, opera leonardesca, costituì l’oggetto di un famoso poema di Percy Bysshe Shelley, On the Medusa of Leonardo da Vinci in the Florentine Gallery. È il 1819 e siamo alla radice del romanticismo nero, quella corrente culturale che dalla fine del XVIII secolo si concentrò sulla zona d’ombra, di eccesso e d’irrazionale che si celava dietro l’apparente trionfo delle luci della Ragione.
Così, in piena epoca moderna, i mostri antichi riappaiono a rappresentare quella categoria del “dionisiaco” che Friedrich Nietzsche si incaricherà di elaborare sul volgere del secolo. La Nachleben degli antichi mostri è indagata in un altro saggio del catalogo a partire dalla Rivoluzione francese fino al contemporaneo (Verde). È un percorso che illumina esemplarmente i meccanismi attraverso i quali questo ventre ancestrale che affiora nelle raffigurazioni dei mostri costituisca un sottofondo ineliminabile della nostra fragile civiltà.
Senza scomparire mai, anche nei periodi “apollinei”: come, per esempio, per tornare nell’antichità, il periodo augusteo, quando – quasi scomparsi nei monumenti ufficiali – gorgoni, pegasi, sfingi ricompaiono nelle abitazioni private, numerosissimi, anche in quelle riconducibili alla più stretta cerchia familiare di Augusto, dalla casa della Farnesina a quella di Livia sul Palatino, apparentemente ridotti a puro elemento decorativo. Apparentemente. Perché fra le tante occasioni perdute della mostra su “Augusto”, allestita alle Scuderie del Quirinale, vi è la troppo frettolosa liquidazione dell’intuizione di Ranuccio Bianchi Bandinelli sul carattere dell’arte augustea come tentativo di congelare attraverso un nuovo classicismo (Apollo è il dio di Augusto, non per caso) altre originali forme artistiche di origine ellenistica e italica.
In questo senso, la mostra e le collezioni di Palazzo Massimo (dove si possono ammirare i meravigliosi affreschi e stucchi della Farnesina) rappresentano il necessario “rovescio della medaglia”, aprendo un’indispensabile finestra su di un repertorio che i momenti di trionfante classicismo – in ogni epoca della storia – non riusciranno mai a estirpare. Creature che rappresentano il disordine, il caos primordiale destinato a essere abolito dall’ordine ristabilito dagli dei olimpici: rassicurante esito di tanti miti che li vedono sconfitti, i mostri. Eppure, la loro tenace sopravvivenza ci racconta di come gli uomini di ogni epoca abbiano sempre saputo, in fondo, che loro, e non gli dei perfetti e distanti, erano più vicini a una realtà umana in cui paura e orrore erano (e sono) elementi ineliminabili.
A noi vicini, quindi, allora come ora, in tutte le loro valenze: come strumenti scaramantici e quindi utili per sconfiggere la paura evocandola (gorgoni), o come simboli di forze ignote che però ci attraggono (le sirene, le sfingi), o anche come rappresentazione della diversità, di un’alterità che non inevitabilmente è ostile e quindi da respingere. Ce lo ricorda, con immediatezza struggente, il meraviglioso bronzetto dell’VIII secolo avanti Cristo prestato dal Metropolitan Museum di New York. È la raffigurazione di un uomo e di un centauro: le due figure sono poste l’una di fronte all’altra e paiono sostenersi appoggiandosi con le braccia l’una sull’altra, in un gesto di vicinanza che ci rimanda a una lontana, lontanissima età dell’oro, tale anche perché due esseri così diversi potevano convivere senza scontrarsi.
Mostri. Creature fantastiche della paura e del mito, a cura di R. Paris e E. Setari, Milano, Electa, 2014, 464 pagine, 35,00 euro.
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