Rivista "IBC" XXII, 2014, 1
biblioteche e archivi / pubblicazioni, storie e personaggi
Le mode esistono, forse non è inutile ricordarlo, al momento di dare conto di un libro che ricostruisce un tassello della storia della sartoria italiana nel dopoguerra, e dunque della moda. La considerazione d’esordio va però riferita alla storia: esistono le mode nella storia, o meglio nella ricostruzione storica, e attualmente questa moda vige tanto al cinema come nei romanzi e, appunto, nella storiografia. Hanno più successo o almeno abbastanza successo le storie comuni rispetto a quelle degli eroi, le storie, diciamo così, di ordinaria eccezionalità. Il libro curato da Gilberto Zacchè appartiene pienamente a tempi, i nostri, che apprezzano queste storie normali, figure e fatti risalenti a pochi lustri fa che in realtà sembrano lontani anni luce, per la brevità della nostra memoria e la rapidità dei mutamenti in corso. Oggi chi va più dalla sarta? Chi si farebbe fotografare in abito da sposa in una camera da letto qualsiasi in piedi su un’anonima pedana? Chi andrebbe a spasso a Rimini, in vacanza, in completo giacca abbottonata e pantaloni con tanto di cravatta e moglie al fianco in abito e soprastante mantello in parure, e fanciullino in completo giacchetta e pantaloncini corti? Eppure non è passato che mezzo secolo o poco più ma nel frattempo è cambiato il modo di vivere, di vestire, di pensare e impostare le relazioni fra uomini donne, fra genitori e figli.
Questo piccolo e gustoso libro dà adito a molte e diverse riflessioni, restituisce immagini, ricordi e nozioni, inquadra questioni e racconta l’opera della sarta Bianca Piccinini, che ha tagliato e cucito abiti per tutta la vita, una vera “artista del quotidiano” (per riprendere il titolo del libro di Elisa Tosi Brandi sulle sartorie emiliano-romagnole, del quale sono riprodotte alcune pagine, che nacque grazie alla collaborazione fra l’Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna e l’Assessorato regionale alle attività produttive). Un mestiere, quello della sarta, allora diffuso, nel quale Bianca Piccinini riuscì a eccellere: a dieci anni frequentò i corsi di cucito alla Casa del Fascio, poi una scuola di taglio privata e quindi la bottega di una sarta. A 16 anni era una sarta rifinita e a 17 titolare di una propria sartoria. Qui si registra una delle non infrequenti impressioni di enorme distanza fra quei tempi e i nostri. Il lavoro c’era o si riusciva a trovare, la giovinezza c’era anagraficamente ma non coincideva con la spensieratezza bensì con un impegno duro, con drammatici ostacoli ai progetti e con grandi sacrifici (vedere le considerazioni sul lavoro nel saggio di Carlo Prandi).
Il lavoro di sarta fu per alcune donne via privilegiata a un buon guadagno e a soddisfacenti riconoscimenti. Nella Suzzara nella quale operò, Bianca Piccinini era nota e amata, e molte sue clienti in abito da sposa vollero un ritratto con lei. Gli abiti da sposa (sul tema vedere il saggio di Rossella Celebrini) furono una sua specialità e la ricca iconografia di accompagnamento restituisce immagini di donne che vanno a sposarsi rigorosamente in bianco, perlopiù in lungo, con abiti confezionati in tessuti che dà gusto richiamare: razimir, crepe, tulle, sangallo, shantung, organza, cady. Qualche decennio fa erano termini noti ai più, o almeno alla maggioranza delle donne, oggi nessuno o quasi li conosce, del resto non capita di toccarli o di acquistarli, del resto sono quasi scomparsi i negozi di tessuti. Negli ultimi anni è però tornato in auge l’abito da sposa, scelto in catene specializzate: ampio, lungo, con strascico, spesso esageratamente scollato ed esibito trionfalmente in servizi fotografici che prevedono lunghe pose e studiate collocazioni, niente a che vedere con le immagini del libro di spose al parcheggio del ristorante sottobraccio alla sarta.
Le sarte che fanno su misura, che cercano di “aggiustare” fisici imperfetti, che fanno le prove nella loro camera da letto, che raccolgono confidenze e che consolano, che insegnano i segreti alle giovani apprendiste, che con una mano cuciono le asole e con l’altra rimescolano un tegame tenendo insieme impegno famigliare e lavorativo non esistono più. Cerchiamo almeno di non perdere la memoria del fenomeno e di non dimenticare il valore del loro lavoro! Questo libro, che nasce dal riconoscente ricordo del figlio di Bianca, Gilberto Zacchè, diventato per mestiere custode di memorie curandosi di archivi, vuole tramandare conoscenze e figure ma anche incitare a raccogliere testimonianze come questa.
La sensibilità di Gilberto Zacchè e di Marzio Dall’Acqua, di Isabella Orefice e di Maria Natalino Trivisano, che si occupano a vario titolo di archivi, ha “cucito” insieme la storia di una sarta e la ricerca archivistica nell’ambito di un progetto lungimirante e pieno di fascino, come lascia intuire già questa pubblicazione. La storia di questa sarta precisa e fantasiosa, unita ad altre di modiste estrose, di ricamatrici raffinate o di abili bustaie, può dar vita a un quadro collettivo di lavoro duro ma anche gratificante, compiuto da donne per altre donne, in un campo, quello della moda, che è colmo di significati e implicazioni, personali e non, economiche e sociali. Mode di ieri che parlano a chi oggi ha un’altra idea e tutt’altro vissuto della moda, ma che grazie alla moda storiografica della normalità può affacciarsi a una finestra che restituisce un’immagine attraente, dignitosa e coinvolgente del rapporto con gli abiti di mezzo secolo fa. Ancora una volta risulta centrata la formula di Baldesar Catiglione, autore de Il libro del Cortegiano, secondo il quale modi e costumi “fanno in gran parte che gli omini siano conosciuti”.
Seguendo il filo che velocemente scorreva nelle mani di una donna, da queste pagine escono scorci di ambienti cittadini e frammenti di storie individuali e collettive, un contributo alla ricostruzione dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta. Bianca, come le altre simili a lei, certo non immaginava di entrare in un piccolo libro di storia ma certamente ha contribuito a farla: una storia ordinaria, minuscola, che suscita nostalgia e desta curiosità, che non va dispersa bensì curata e che anche grazie all’opera della scienza archivistica si fa materiale di conoscenza e deposito di saperi. Un patrimonio non inutile, giacché, come insegna anche la moda del vintage, qualità e valore non hanno tempo.
Lo stile su misura. La sartoria Piccinini: creatività e maestria nella città del Premio, a cura di G. Zacchè, Mantova, Editoriale Sometti, 2013, 120 pagine, 12,00 euro.
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