Rivista "IBC" XXI, 2013, 4

Dossier: Missione restauro

musei e beni culturali, dossier /

Così recenti, così fragili

Antonella Salvi
[IBC]

L'arte contemporanea è caratterizzata da una libertà che si manifesta nella massima varietà di codici linguistici, di modalità espressive e di materiali impiegati. Affrontare il restauro di opere di questo genere implica dunque l'esigenza di affrontare approcci e problematiche decisamente non convenzionali, e il dibattito tuttora così aperto sull'argomento è la riprova della complessità di tali interventi.

La conservazione del contemporaneo pone infatti interessanti quesiti legati soprattutto alla natura atipica dei materiali costitutivi (sintetici, lavorati, assemblati, dipinti, eccetera), alla tecnica di esecuzione e all'ambiente in cui le opere si trovano: al di là delle difficoltà oggettive, ogni caso diviene un interessante banco di prova, di analisi e di studio di aspetti essenziali per la comprensione delle cause del degrado e per l'individuazione di particolari soluzioni conservative. E se ciò vale per qualsiasi intervento di restauro, in questo ambito specifico una preliminare ricerca tecnica, metodologica e interpretativa, diviene particolarmente avvincente e impegnativa.

Proprio in occasione di recenti interventi di restauro che hanno interessato alcune particolarissime opere della Galleria d'arte contemporanea "Vero Stoppioni" di Santa Sofia (Forlì-Cesena), ci si è trovati di fronte a una dimensione interpretativa molto articolata, di ordine filosofico ed estetico, oltre che tecnico e metodologico, rivelatasi essenziale per la corretta progettazione dei due interventi di restauro. Un processo stimolante che ha coinvolto tutte le figure, dal responsabile preposto dall'Istituto regionale per i beni culturali, alla direzione della Galleria, ai referenti della competente Soprintendenza, fino, e soprattutto, alle due restauratrici che - con le loro mani, le loro competenze e la loro sensibilità - hanno operato sulle opere.

Quel che accomuna i due progetti, condotti durante differenti annualità dei piani di intervento ma realizzati quasi in parallelo, non è solo l'appartenenza delle opere alla stessa istituzione. Quel che li accomuna e che merita di essere evidenziato è proprio la particolare esperienza interpretativa ed emotiva riportata da entrambe le restauratrici, ognuna delle quali ha sperimentato uno speciale approccio con l'opera e l'autore, sviluppando con essi una vera empatia, un rapporto che va al di là del contatto intenso ma strettamente limitato al periodo di esecuzione delle operazioni conservative.

Le opere e le professionalità in questione sono la nota Mistura di Mattia Moreni, affidata alle cure di Adele Pompili di Bologna, e un'opera Senza titolo, collage su carta realizzato con tecnica mista da Germano Sartelli, affidata a Mara Guglielmi di Venezia.


Dagli appunti di Adele Pompili risuona chiaramente lo specialissimo e fondamentale rapporto tra il restauratore e l'oggetto, una prospettiva troppo spesso trascurata nel mondo del restauro: "Fin dal primo momento quest'opera e il suo autore hanno risuonato in qualche parte di me, con una sorta di repulsione e attrazione. Mi spaventava ma anche mi affascinava e incuriosiva. Nell'accostarmi ho sentito odori, toccando ho sentito materiali rigidi, molli, forti e di estrema fragilità; ho visto cose che se ne stanno andando per trasformarsi in briciole (la gomma piuma) e cose che arrivano e si posano delicatamente su questo enorme 'relitto', come la piuma bianca posata in cima. Scafo di barca, relitto, arca: vita, morte, trasformazione. Ci sono parti bellissime alla vista, vetri di diversi colori inglobati nella resina, forti resistenti e cristallini e ci sono parti buie, di peli impolverati che si staccano, che emanano odore se inumiditi (forse è la colla utilizzata?). L'opera attrae e allontana, affascina e repelle, e tutti i sensi ne vengono coinvolti. Ho sentito di non dover interferire in questo 'equilibrio', forse potevo solo con discrezione interagire. Una parte di me si lasciava trasportare dal magico, e una parte sorvegliava, emotivamente e professionalmente, quello che accadeva. Solo così potevo permettermi la libertà del sentire."

"Il più mobile e irrequieto fra i nostri maestri" come lo storico dell'arte Renato Barilli definisce Mattia Moreni, si dedica alla scultura per anni (1976-1984), facendone un monumento a rappresentazione del suo pensiero filosofico sulla decadenza dell'umanesimo. La Mistura, diventata simbolo della Galleria "Stoppioni", è esposta nella prima sala, in posizione centrale, di fronte all'ampia vetrata: è una grande scultura-installazione a forma di scafo concavo, realizzata su una struttura metallica e costituita dall'accumulazione di oggetti di vario genere (scorie, resti, scarti, rifiuti) tenuti insieme da una sostanza similorganica, una resina epossidica, l'"araldite", capace di deformare gli oggetti in una sorta di impasto magmatico fino a renderli non più riconoscibili, in un processo di continua mutazione.

È proprio questa resina, sensibile alla luce e alle temperature elevate, l'elemento ora più suscettibile di deterioramento. E non è un caso: come accade per gran parte della produzione di arte contemporanea, alla volontà di conservare l'opera si oppone una volontà contraria dell'artista, che anche attraverso l'uso di materiali effimeri intende fare del deterioramento una forma del divenire dell'opera. Non è escluso quindi che nella poetica di Moreni l'utilizzo di tale resina debba essere letta in questa direzione, e con successo - verrebbe da dire - visto che il lento processo di degradazione (con opacizzazioni, alterazioni cromatiche, disgregazione delle parti) appare inarrestabile.

Tenendo presenti questi presupposti, è stato deciso un intervento di manutenzione, con rimozione di depositi di polvere e minimi interventi localizzati su frammenti distaccati, e con l'obiettivo prioritario di alterare il meno possibile l'opera e le sue vicende conservative. Si è ritenuto utile e filologicamente corretto, nel contempo, adottare accorgimenti di conservazione preventiva e di manutenzione curativa per rallentare il processo di deterioramento e "trasformazione" dell'opera.

Dopo una campagna di rilevamento dei parametri ambientali di temperatura, umidità e illuminamento, è stata prevista e realizzata, come parte dell'intervento, la schermatura dell'ampia vetrata con l'applicazione di speciali pellicole filtro a protezione dai raggi IR e UV; in previsione di un'essenziale manutenzione periodica è stato redatto un report sullo stato conservativo di ogni specifica area, con informazioni dettagliate e immagini: uno strumento comparativo indispensabile, nei successivi monitoraggi, per seguire e tenere sotto controllo gli eventuali degradi conservativi in atto.


L'intervento di restauro del grande collage su carta di Germano Sartelli del 1979, Senza titolo(centimetri 146 per 368), e la relazione che si è venuta a creare fra l'opera e la restauratrice sono di intensità e singolarità non inferiori. "È sorprendente, quel che appariva un classico collage di carta con elementi dipinti a pennello si è rilevato invece essere un 'dipinto di carta a collage': l'artista ha usato ben 17 tipologie diverse di carta, parti delle quali così sottili e lunghe da sembrare 'stese' come se fossero date appunto a pennello": fra lo stupore e l'emozione di un lavoro unico, fu questo uno dei primi commenti della restauratrice Mara Guglielmi in occasione di un sopralluogo nel suo laboratorio veneziano a lavori di restauro in corso.

Approfondire la conoscenza dell'opera, scrutarla in tutti i suoi particolari e scoprirne dei nuovi, inattesi, rientrano certo tra i processi connaturati al restauro, ma fanno anche parte del percorso personale di chi, nell'eseguire il lavoro, è consapevole di avere una affascinante opportunità di conoscenza, non priva di stupore e di suggestioni.

Sotto il profilo tecnico il collage è stato eseguito su un unico grande foglio di carta Fabriano e si presentava distaccato dalla cornice originale e dal compensato presente sul retro, su cui è stato fissato (forse dall'artista stesso) solo con chiodi e graffette metalliche arrugginiti e con biadesivo, condizione che, anche per via del peso, ha provocato le sue numerose deformazioni e increspature e vari scollamenti. Altro elemento utilizzato in maniera estesa dall'artista, tanto da far ipotizzare che sia una tecnica artistica, è l'uso della colla spray, utilizzata per attaccare gli elementi del collage, ma anche per incollare e subito strappare le varie carte colorate, lasciando dei residui che appaiono vere e proprie pennellate di colore. Con il tempo la colla si è fortemente ingiallita, dando a tutto il "dipinto con la carta" una tonalità omogenea.

Per quanto l'arte contemporanea privilegi la forza di un messaggio piuttosto che la durevolezza dei materiali, un corretto restauro non può prescindere dal rispetto dei principi di reversibilità e di minimo intervento. Si è quindi proceduto al consolidamento e al fissaggio di tutti i sollevamenti degli elementi del collage, alla rimozione a bisturi di tutti i residui di ruggine lasciati dagli elementi metallici, alla rinsaldatura e alle altre reintegrazioni, fino alla parte più complessa dell'intervento: l'ideazione e la creazione di un sistema di montaggio che prevedesse materiali idonei alla conservazione (neutri e stabili), per isolare il retro del collage dalla fonte acida del legno del fondo e della cornice originali. Ne è nata una complessa struttura di cartoni tenuti insieme con un sistema di cerniere realizzate con carta giapponese, sia centrali che perimetrali, che funziona come perfetto sostegno dell'opera, distribuendone il peso. Le numerose mappature analitiche realizzate nelle varie fasi operative e le raccomandazioni per la corretta conservazione dell'opera completano il lungo e articolato intervento.

Il lavoro di restauro condotto sull'"opera che pare dipinta con la carta" è stato posto all'attenzione del suo autore, che negli anni Cinquanta, lavorando con Alberto Burri e Lucio Fontana, ha sperimentato una particolare e originale idea di arte povera. Alle soglie dei 90 anni, Germano Sartelli continua a produrre, con fresca creatività, un'arte che, come definisce la critica, "sa di sacro e di terreno; ha la forza drammatica e metaforica della contemplazione degli oggetti (carte, foglie, pietre, metalli arrugginiti, eccetera), e, in ultimo, ha la forza della natura e della vita".


Infine va sottolineato il ruolo della Galleria d'arte contemporanea "Stoppioni" di Santa Sofia che, grazie alla sensibilità e allo spirito di collaborazione di chi la dirige, ha fatto da cornice alle avventure conservative qui descritte, ospitando anche gli eventi che al termine sono stati realizzati: una giornata di presentazione pubblica con la presenza delle restauratrici e a seguire la mostra "Arte restaurata".

La Galleria è in ambito regionale una delle più importanti istituzioni dedicate all'arte contemporanea e testimonia, attraverso le opere esposte, le più interessanti tendenze artistiche italiane dagli anni Cinquanta a oggi: il realismo, l'informale, la pop art, l'astrattismo, la rappresentazione metafisica, fino alle più recenti produzioni, in una costante e continua acquisizione del "contemporaneo". Un'attività strettamente collegata alla consolidata esperienza del prestigioso premio "Campigna", a cui parteciparono anche Sartelli e Moreni vincendo varie edizioni, e a cui la Galleria lega il suo nome: Vero Stoppioni fu infatti il promotore del "Campigna" e l'animatore di questo speciale rapporto fra gli artisti contemporanei e Santa Sofia. Un rapporto rimasto tale, tanto che la Galleria continua a rappresentare una delle più conosciute vetrine sull'arte giovanile a livello nazionale.

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