Rivista "IBC" XXI, 2013, 4

Dossier: Missione restauro

musei e beni culturali, dossier /

Intarsi preziosi

Iolanda Silvestri
[IBC]

Il nostro patrimonio artistico non è costituito solo di opere d'arte uniche e irripetibili, espressione di una cultura aristocratica alta e socialmente selettiva, ma anche e soprattutto di manufatti artigianali di pregio che hanno connotato nei secoli contesti di vita sociale ed economica differenti, dando vita a una cultura di saperi manuali e di segreti di bottega tramandata di generazione in generazione. È a questa ampia e variegata produzione di arte meccanica, contrapposta all'arte liberale, che appartiene il tavolo intarsiato del Museo della tarsia di Rolo (Reggio Emilia), recentemente restaurato con finanziamento dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC). L'intervento è stato eseguito da Emilio Ciliberti, sotto la direzione di Davide Ferretti, direttore del Museo, con la supervisione della Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici di Modena e Reggio Emilia, e il coordinamento lavori della sottoscritta e di Andrea Moretti dell'Ufficio cultura del Comune di Rolo.

Non è la prima volta che l'IBC interviene su materiali di questo genere, come su altri manufatti artistici conservati nei musei civici della nostra regione, a salvaguardia di un'identità storica territoriale quanto mai differenziata per tipologia e qualità. Il monito alla conoscenza e alla tutela dell'artigianato artistico, contraddistinto dalla componente tecnica costruttiva dell'arte, viene da lontano: dagli enciclopedisti francesi e dai successivi inquadramenti critici di Alois Riegl, fino agli approfondimenti più recenti di Paolo Rossi e Ferdinando Bologna, come ricordava Jadranka Bentini presentando lo studio su L'arte della tarsia a Rolo.1

È in questo stesso testo-guida che si trovano i riferimenti storici e tecnici del tavolo in esame e di questa antica tradizione di ebanisteria locale chiamata arte del "marangone da rimesso" o del "falegname intersecatore". Due sono le fonti più antiche e illuminanti sulla storia della tarsia lignea di Rolo. La prima è un resoconto ufficiale del 1777 sullo stato economico della piccola contea di Rolo, che da piccolo feudo di un'antica casata reggiana, posto a confine tra Reggio Emilia, Modena e Mantova, passò sullo scorcio del 1776 a far parte dello Stato Asburgico: "L'arte poi o mestiere che qui in gran credito fiorisce si è quella de legnaioli fabbricatori di Burrò, Commò, e Tavolini tutti intresciati con intagli dissegni e lavori particolari di legnami, e di questi ve ne sono dieci botteghe, rittenute però entro le rispettive case, a riserva di una bottega che apperta in questa piazza si ritrova. Li rispettivi lavori poi che fabbricano, sono questi sempre destinati per qualche particolare delli Stati di Modena, e anche di Bologna, e in mancanza di comissioni fabbricano de' suddetti lavori che conducono a vendere alla fiera di Reggio".2

La seconda fonte è un'inchiesta amministrativa del 1869 da cui si evince un dato significativo sull'antichità del commesso ligneo rolese, che viene fatta risalire all'epoca rinascimentale: "Nessun Monumento storico e opere d'arti esistono in questo Comune, a meno che non vogliensi comprendere fra quest'ultime quelle di tarsiature e di lavori in legno in cui godettero da oltre tre secoli questi falegnami, come le godono meritatamente anche in oggi".3 I dati riportati in entrambe le fonti, successivamente integrati da ricerche storiche più approfondite, hanno messo in luce l'esatto posizionamento socioeconomico di questo artigianato locale.


Presente, come sembra dai documenti, fin dal Cinquecento, l'ebanisteria rolese raggiunge il suo massimo sviluppo tra Settecento e Ottocento con una produzione di mobili destinati alla piccola e media borghesia italiana emergente (proprietari terrieri, commercianti, professionisti, alti funzionari), che in pieno Ottocento, grazie al perfezionamento tecnico della lavorazione, vede estesa la domanda a un mercato europeo (Spagna, Francia, Germania, Inghilterra, Ungheria, Balcani, Russia) ed extraeuropeo: soprattutto in America settentrionale, in Australia e nel Nord-Africa.

Il tipo di arredo ligneo rolese lavorato a intarsio (cassettoni, comodini, tavoli, scrittoi,consoles, armadi, credenze, cantoniere, divani e sedie per l'arredo civile, religioso e pubblico) esprimeva nelle linee, nei decori, nei materiali e nella lavorazione, un gusto che personalizzava i modelli dell'alta ebanisteria (specie quella lombarda del Maggiolini), ma senza troppi azzardi creativi e con un cliché di forme semplici e decori eleganti. Un marchio, quello rolese, mai comunque dichiaratamente lussuoso, non esente, tuttavia, da rischi di un provincialismo un po' troppo imitativo e poco aggiornato ai canoni estetici alla moda.

Quattro sostanzialmente erano le tecniche tipiche della tarsia rolese: "a buio", per la resa dei decori vegetali a sottili profilature; geometrica, per i decori a mosaico; "a incastro", per le figure; "a graffito", per le ombreggiature ottenute mediante ferri roventi.

Nella scelta dei disegni - oltre ai ramages e alle figure mutuate dall'iconografia religiosa, dai personaggi della storia e della mitologia classica - erano tipiche le geometrie, le vedute e le architetture di fantasia, per lo più racchiuse entro cornici geometriche e bordi filettati. Il disegno veniva scelto anche in funzione delle venature del legno, ricomposte a seconda degli effetti voluti. Le essenze lignee utilizzate provenivano da specie principalmente autoctone, più o meno dure e di colore differente (il noce, il rovere, il bosso, l'acero, l'olmo, il salice, il frassino, il pioppo, il pruno, il pero, il susino, il nespolo, il carrubo, il gelso e il ciliegio); rarissimo, invece, era l'impiego di piante non tipiche della flora locale come l'abete e il larice o il più pregiato bois de rose. La struttura era di solito in massello di noce, mentre gli interni in pioppo. I legni per l'intarsio venivano tagliati in fogli alti 2-3 millimetri, scelti tra le varie essenze lignee a seconda delle diverse tonalità; talvolta venivano anche dipinti per ottenere cromie particolari.


L'arredo in esame appartiene al periodo più alto della tarsia rolese, l'età neoclassica, e va ascritto tra la fine del XVIII secolo e la prima metà del XIX. È uno dei manufatti migliori di quella produzione, per la qualità sobria ed elegante della decorazione, ottenuta con l'accostamento sapiente di legni diversi, e per la ripetizione di un unico motivo decorativo floreale, scandito da semplici geometrie composte a cornice.

È un tavolo rettangolare a quattro piedi in legno di noce, acero, pioppo e pruno, con telaio del piano in pioppo e piedi lavorati a tronco di piramide, scanalati con gola poco pronunciata (centimetri 171 per 147 per 76). Il piano si compone di riquadrature perimetrali lastronate in radica di noce e di motivi intarsiati al centro con decori floreali e geometrici eseguiti con legni diversi; i fiori a corolla, simili ad aquilegie, sono abbozzati "a graffietto".

Si propongono in sintesi le fasi principali del suo restauro condotto secondo criteri rigorosamente conservativi. Lo stato dell'arredo, al momento dell'ingresso al museo, presentava i danni seguenti:

· stacchi di 7/8 millimetri delle cinque tavole di supporto che compongono il piano in legno di pioppo;

· crepa su tutta la lunghezza del piano;

· indebolimento del collante naturale;

· alterazione e ossidazione della vernice in gommalacca immessa nei restauri precedenti;

· attacco diffuso di insetti xilofagi.

Il restauro ha comportato due fasi distinte di intervento: una per il supporto, l'altra per il piano decorato. Per il supporto si è proceduto:

· alla disinfestazione antitarlo per imbibizione con resina (Paraloid B 72) in soluzione di acetone al 10% e permetrina in essenza di petrolio, stesa con pennello e iniettata con siringa;

· al distacco delle tavole del piano con eliminazione dei chiodini in ferro per l'ancoraggio alle fasce perimetrali;

· all'incollaggio a caldo delle stesse, inserendo nelle lacune innesti di listelli della stessa essenza lignea;

· a un ulteriore fissaggio laterale delle tavole con molle tensionate che seguono il naturale movimento del legno ed evitano nuovi distacchi;

· alla pulitura delle gambe con acqua ragia che, essendo un solvente apolare, ha permesso di eliminare il deposito di sporco preservandone la patina.

Il restauro del piano lastronato e intarsiato si è presentato decisamente più complesso e ha comportato le operazioni seguenti :

· l'identificazione dei diversi tipi di legno presenti nelle lastre che compongono il mosaico, per l'integrazione dei motivi mancanti, riproposti identici a quelli esistenti;

· il consolidamento e l'incollaggio a caldo delle lastre originali e di quelle nuove, eseguiti con l'aiuto di pesi, morsetti e di termocauterio leggermente caldo premuto sull'intarsio, e frapponendo tra il piano e l'attrezzo un foglio di Melinex siliconato (quest'ultima operazione ha consentito la rigenerazione della colla originale e l'eliminazione dei dislivelli della superficie);

· la pulitura del piano eseguita con solvente idoneo a base di alcool 99° che ha permesso di rimuovere la vernice in gommalacca fortemente alterata e incoerente con la finitura originale;

· la stuccatura delle fessure di diversa grandezza mediante cera d'api colorata nelle varie tonalità con terre e ossidi, facilmente rimovibile all'occorrenza.

La finitura integrale del tavolo, realizzata con cera d'api e cera carnauba naturale e incolore, ha restituito, in ultimo, la diversa cromia dei legni originali utilizzati nella tarsia.


Note

(1) J. Bentini, Presentazione, in L'arte della tarsia di Rolo. Mobili, tecniche, materiali, a cura di G. Castagnaro, D. Ferretti, G. Truzzi, Rolo (Reggio Emilia), Comune di Rolo, 1996, p. 16.

(2) Citazione tratta da: D. Ferretti, Per una storia dell'arte della tarsia di Rolo, in L'arte della tarsia di Rolo, cit., p. 26.

(3Ibidem.

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