Rivista "IBC" XXI, 2013, 3

Dossier: Musei Multiverso - Un software per creare e collegare universi culturali

musei e beni culturali, dossier /

A portata di mano

Angelo Varni
[presidente dell'IBC]

Conservazione, valorizzazione, fruizione: i compiti di sempre dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna sono alla prova dell'odierna, sempre più massiccia, sfida delle nuove tecnologie. Un impegno che l'IBC intende far proprio senza timidezze, ma pure evitando illusorie fughe in avanti. Intanto mai, comunque, venendo meno all'obiettivo primario di garantire i migliori livelli di qualità per i luoghi di raccolta, esposizione, dialogo con il pubblico di tali beni.

Con in più la risottolineatura che nessun oggetto esposto all'ammirazione o all'utilizzo del visitatore può essere "lasciato solo", immobilizzato nella sua fissità estetica, scientifica, storica, letteraria, obbligato a un ruolo esemplificativo ed evocativo; che esso deve, invece, essere approfondito, spiegato, posto in interazione con il mondo di eventi e di situazioni che l'hanno portato in quella specifica realtà. E per far questo occorre, da un lato, un coinvolgimento operativo della società in cui il bene è inserito, per comprendere e far comprendere le ragioni storiche del suo esistere lì e non altrove; e, dall'altro, proprio per realizzare al meglio la precedente finalità, bisogna favorire il maggior numero di relazioni fra il diverso e molteplice proporsi delle manifestazioni culturali, frutto della secolare attività artistica, manifatturiera, letteraria, speculativa dell'umanità.

Del resto, come ci è stato insegnato in riferimento alle situazioni espositive per eccellenza rappresentate dai musei, questi ultimi fin dall'inizio - dal Cinquecento in particolare - hanno richiamato l'esigenza di distaccarsi dal fluire della quotidianità per appartarsi nello studio e nella meditazione, a contatto, appunto, con le muse; ma anche per approfondire, attraverso gli oggetti contemplati, la comprensione dell'uomo, della sua arte, del suo rapporto con la natura, anch'essa da analizzare in tutte le sue manifestazioni. "Macchine per la conoscenza" è stato detto; una conoscenza che, dopo le rivoluzioni democratiche, si è inteso far fluire verso il grande pubblico, ma senza che questo attenuasse quell'atmosfera di sacralità "laica" insita nel concetto stesso del museo.

Un compito non facile, indubbiamente; suscettibile di restare paralizzato tra la ripetizione di consunti modelli, la chiusura in una fissità collezionistica, o la fuga in avanti verso una miracolistica devozione nei confronti dell'utilizzo delle nuove tecnologie, oppure verso un'interpretazione dei luoghi museali quali spazi destinati a un nuovo superficiale loisirverniciato di aspirazioni culturali. Si tratta, cioè, di trovare un equilibrio tra l'esigenza di diffondere la conoscenza e l'attuale livello di spettacolarizzazione, superando nei musei le barriere specialistiche ma senza sminuirne la funzione di cattedrali dell'arte e della scienza; bensì facendo entrare la "gente" in tali cattedrali perché vi legga la sua storia. In modo non dissimile da come venivano lette le storie dipinte nelle cattedrali del sacro, quali naturali espressioni dei sentimenti religiosi del territorio.

Per di più molte delle situazioni esposte hanno provenienze esterne rispetto al luogo espositivo e quindi diviene indispensabile spiegarne le origini e i transiti, consentendo un dialogo con altre culture e altri mondi, favorendo il coinvolgimento dei "nuovi" cittadini, in un intrecciarsi sempre più ricco di significati evocativi nel ruolo "sociale" dell'oggetto. Significati tutti da chiarire al visitatore, altrimenti più che mai disperso in un succedersi di reperti che, senza una comprensione consapevole, sarebbero diversi da quanto esposto sugli scaffali dei grandi magazzini solo perché raccolti all'interno della solennità sacrale di un museo, dando appena l'illusione di aver partecipato a un'immersione nel mondo della cultura, di cui conservare con orgogliosa superficialità una doverosa traccia nelle foto impresse nei telefonini.

Se è dunque vero che le esposizioni presenti nei musei hanno ai nostri occhi il dovere di far da tramite tra quanto il visitatore osserva di concreto e il mondo di riferimenti invisibili da esso suggeriti - fatti di richiami alla storia, alla tradizione, all'arte, alle vicende identificative, in definitiva, di un'epoca, di un mondo, di una comunità - diviene indispensabile che il museo sappia di tempo in tempo "parlare di sé" in forme adeguate al mutarsi della dimensione culturale in cui è immerso. Se questo è vero, forse la sfida a cui l'IBC si deve apprestare diviene quella di favorire un simile obiettivo, ponendolo a confronto con le nuove tecnologie. Cercando, cioè, di capire se queste, con le loro amplificazioni di tempo e di luogo, con la capillarità del loro diffondersi, con la loro facilità di aggregare dati, nozioni, immagini, suoni, sono e saranno davvero in grado di meglio consentire richiami delocalizzati nello spazio e intrecciati nelle diverse realtà, e di aiutare gli operatori culturali a svolgere al meglio il loro immutabile lavoro di produzione di senso.

Non si tratta cioè, oramai, di inseguire gli esiti, per tanti aspetti stupefacenti, delle ricostruzioni virtuali del passato scomparso, che magari possono continuare ad attrarre come gioco didattico o come una sorta di "porta di ingresso", di "biglietto da visita" per stimolare i moderni visitatori. Né di indulgere a un nuovismo tecnologico con la giustificazione di riuscire a interessare in tal modo il mondo giovanile. E neppure di limitarsi a un utilizzo strumentale di una tecnologia capace di assemblare serie digitalizzate di oggetti e di dati. Tutto ciò, per quanto io sia un antiquato osservatore dell'odierno reale, mi appare obsoleto, quasi scontato agli occhi delle generazioni cresciute all'ombra del computer. Persino le invenzioni dei musei della scienza, come la parigina Villette, appaiono superate agli occhi di chi se le ritrova più o meno puntualmente nel proprio smartphone, e restano relegate ad attività orientative per la didattica degli alunni più piccini.

Credo, invece, che sia indispensabile misurarsi con i processi di analisi del reale affidati a una tecnologia che è in continua evoluzione ma ha abbandonato il gusto per gli effetti del meraviglioso e dello stupefacente, dedicandosi invece alla ricerca dei mezzi più funzionali a realizzare al meglio gli obbiettivi di sempre della scienza, facilitando - come detto - i percorsi spazio-temporali, l'esame delle fonti, la comparazione interdisciplinare e così via. Tutto quanto, vale a dire, rappresentava e rappresenta il cammino verso una trattazione storico-scientifica di quanto esposto in un museo e dei legami di questi oggetti con quanto possa contribuire alla loro contestualizzazione, di là dalle tradizionali divisioni fra settori disciplinari e categorie espositive, andando sempre più facilmente verso quel concetto di "rete", significante di un'intera dimensione sociale, che pare dominare l'attuale realtà in cui siamo chiamati a vivere.

Ecco che, allora, avvalendosi della straordinaria capacità tecnica e della particolare sensibilità inventiva di docenti e studenti dell'Alma Mater, l'IBC ha realizzato la piattaforma software qui presentata, un'opportunità che può decisamente rendere accessibile al "cittadino" comune la costruzione di "universi" di beni culturali in cui le sue scelte si intrecciano con valutazioni di senso generate dal sistema stesso sulla base di parametri in grado di richiamarsi alla funzione scientifica, artistica, rappresentativa degli oggetti individuati. Uno strumento che, dunque, è in grado di immergere i visitatori dentro un insieme di "letture" visibili sugli schermi dei loro telefonini e quindi suscettibili di coinvolgerli in una ricerca di senso che vada ben oltre la semplice acquisizione di nozioni, ma che renda tali nozioni parte attiva di approfondimenti suscitatori di stimoli conoscitivi.

La prima esperienza dimostrativa di questa piattaforma, affidata alla valorizzazione dei luoghi verdiani, è stata realizzata in una collaborazione concreta con operatori dell'Istituto, in grado, a loro volta, di individuare le trame di tali apporti di conoscenza, frutto della loro sapiente dimestichezza con i significati dei beni culturali inseriti nella progettualità prescelta. Sono convinto che questa sia la strada giusta per realizzare i compiti sopra esposti. Tanto più che la piattaforma sa unire la propria indiscutibile originalità tecnica ad altri due essenziali livelli di originalità: quella sociale, resa evidente dal suo facile e "aperto" utilizzo da parte anche dei non "specialisti"; e l'altra, non meno importante ai miei occhi, che consente di dar forma effettiva, e non più solo sempre declamata, alla collaborazione tra scienze tecniche e conoscenze umanistiche: le una e le altre, di volta in volta, contenitore e contenuto.

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