Rivista "IBC" XXI, 2013, 3

immagini, progetti e realizzazioni

Il progetto "ATRIUM" disegna una rotta culturale europea per collegare le testimonianze architettoniche lasciate dai totalitarismi nel corso del Novecento.
Strutture di regime

Claudia Castellucci
[responsabile dell'Unità progetti europei e relazioni internazionali del Comune di Forlì]

Il XX secolo ha lasciato in Europa, tra le altre cose, la scomoda eredità storica dei regimi totalitari e autoritari che ne hanno condizionato lo svolgersi. Il territorio europeo è punteggiato dai segni tangibili di questa storia. Si tratta di architetture a volte di pregio, ascrivibili al razionalismo, altre volte eclettiche o addirittura banali, che hanno tuttavia un forte valore simbolico, realizzate dentro il design di nuove funzioni urbane e accompagnate da un preciso intento propagandistico, finalizzato al consolidamento dei regimi che le produssero.

Sono edifici nati per assolvere a bisogni pratici (uffici postali, stazioni ferroviarie) o monumenti e palazzi costruiti per la rappresentazione e celebrazione del potere. In alcuni casi si tratta di interi quartieri o di città costruite ex novo per motivi vari: è il caso degli insediamenti abitativi nati intorno a zone di sfruttamento minerario, o dei quartieri fieristici. Si pensi all'EUR, acronimo di Esposizione Universale Roma, che fu fatto costruire da Mussolini per un'esposizione che in effetti non ci fu mai, ma che avrebbe dovuto celebrare, con i fasti di una moderna fiera internazionale, il ventesimo anniversario della marcia fascista su Roma, proiettando il regime nella modernità e nel futuro.

Benché rifiutiamo le ideologie dei regimi che hanno prodotto tali edifici, monumenti, quartieri o città, si tratta di lasciti di un periodo della storia europea che non può semplicemente essere cancellato con un tratto di penna. Per questo motivo è nato il progetto "ATRIUM - Architecture of Totalitarian Regimes of the XXth Century in Urban Management", che, a dispetto del lascito scomodo a cui sono legate e dello stato di degrado che a volte le connota, considera queste testimonianze come un "bene culturale". Beni che ci ricordano che dalle macerie della Seconda guerra mondiale e dal crollo di quei regimi nasce l'idea stessa di Europa che abbiamo oggi.


Perché Forlì?

Prima di descrivere seppur sommariamente "ATRIUM", vale la pena svolgere alcune considerazioni per spiegare perché Forlì ha promosso e coordina questo progetto. L'origine forlivese del dittatore Benito Mussolini costituisce, sin dalla presa del potere da parte del fascismo, un fattore determinante nello sviluppo complessivo della città. Come ricorda Ferruccio Canali, a partire dagli anni Trenta, grazie a una macchina propagandistica ben funzionante, verso la "Città del Duce" si dirigeranno carovane di torpedoni promosse dalle organizzazioni legate al turismo politico, mentre la mitografia fascista esalterà, parallelamente, l'esemplare laboriosità romagnola, l'ospitalità, eccetera.1

Si tratta di una vera e propria mitizzazione delle origini, a dispetto di un inizio non proprio esaltante nel processo di fascistizzazione della Romagna e di Forlì, che anche successivamente si manterrà una delle province italiane con il minor numero di iscritti al partito fascista. Non a caso, come ricorda Vittorio Emiliani, a Forlì, fra il 1939 e il 1943, per iniziativa di un gruppo di giovani del Gruppo universitario fascista, nascono tre riviste alle quali collaborano alcuni dei futuri esponenti della classe dirigente e del mondo artistico e letterario, prima di fronda e poi decisamente antifascisti, tra cui Giorgio Napolitano, Paolo Grassi, Giorgio Strehler, Carlo Lizzani, Giovanni Testori e Giorgio Caproni.2

Roberto Balzani e Mario Proli hanno sottolineato come l'assegnazione di un nuovo ruolo nell'immaginario collettivo abbia riguardato non solo Forlì e Predappio (località, quest'ultima, che ha dato i natali al dittatore) ma tutte le altre città contigue.3 Ravenna viene legata alla figura di Dante, presentato come precursore del fascismo; Rimini e la costa romagnola vengono promosse a capitali dell'industria balneare, fenomeno ancora d'élite ma avviato sulla strada del turismo di massa, imperniato sulle famiglie e sulle colonie marine; Imola viene epurata della sua immagine ottocentesca legata ai padri del socialismo; Faenza è qualificata per la tradizione della ceramica; Castrocaro diventa un centro termale importante, dotato di più di cento camere magnificamente arredate, di spazi per la socialità, di un padiglione per le feste, mentre Fratta Terme si connota per un altro padiglione termale, più modesto, adatto a far godere i benefici delle acque anche alle classi lavoratrici più modeste e al ceto impiegatizio attraverso il sistema delle previdenze sociali.

Ma è soprattutto su Forlì che si concentrò l'intervento statale: il dittatore impose alla sua provincia di origine, ancora politicamente inaffidabile ma di "buon ceppo", di assurgere a modello e guida esemplare per le restanti province italiane, paradigma per lo sviluppo di tutta la nazione, al di là del ristretto orizzonte localistico. Imponenti furono le opere realizzate dal regime: rimboschimento, regimazione dei fiumi, nuove arterie stradali, gli aeroporti di Forlì e Rimini. Ma è soprattutto all'architettura che venne affidato il ruolo trainante di motore per il consenso, sia per il risvolto occupazionale connesso con un'intensa attività edilizia, sia per la rilevante valenza simbolica che venivano ad assumere le nuove realizzazioni.

Il progressivo "svecchiamento" della città venne presentato come un'azione che si compiva grazie all'interessamento diretto del duce, e che "raschiava dal volto della città le incrostazioni del tempo". Come racconta Ulisse Tramonti, la città antica fu sopraffatta da un consistente e progressivo numero di edifici che si sostituirono a tessuti edilizi ritenuti sommariamente fatiscenti, senza percepire il centro antico nella sua interezza di stratificazione storica di elementi unici e irripetibili.4

Per quest'opera di rinnovamento vennero incaricati i progettisti più famosi del momento, ai quali fu imposto di radicare, in un contesto locale estremamente provinciale, le tendenze che andavano percorrendo l'ambiente romano e milanese, luoghi in cui si creavano le mode, le tendenze di gusto e i confronti architettonici dell'epoca. È ancora Tramonti a sottolineare che, per la vastità degli interventi realizzati, nonostante la mancanza di un programma estetico unitario e la presenza di contraddizioni e ambiguità, tale architettura ha finito per costituire la prima immagine di modernità dell'architettura italiana. A maggior ragione, questo vale per Forlì. Non a caso Giorgio Bocca in un reportage compreso, nel 1962, all'interno del suoMiracolo all'italiana, osservava che questa città non chiedeva più niente a Roma, "quasi temesse di resuscitare il ricordo della piccola Roma...".

Insomma: Forlì aveva avuto troppo, o per lo meno così si riteneva durante il ventennio fascista nelle altre regioni italiane, perché in verità la città non divenne mai un grande centro industriale o terziario, e la sua situazione economica rimase tutt'altro che rosea. La Seconda guerra mondiale, poi, pose fine a questa fervida attività edilizia e cancellò il sogno di fare di Forlì una "piccola Roma". Sono ancora oggi evidenti i danni che questo patrimonio architettonico ha subìto successivamente, non solo a causa della guerra, ma anche per restauri sbagliati, rifacimenti e ampliamenti impropri, demolizioni selvagge, operate nel segno di una damnatio memoriae che si è tradotta in demolizione o, molto più spesso, in trasformazione sbagliata.

Solo verso la fine degli anni Sessanta del Novecento sono stati prodotti studi su personaggi e opere di questo periodo dimenticato. Caduti alcuni ostacoli ideologici, passato molto tempo, si è potuto cominciare a riflettere a mente sgombra su quegli anni in cui tante contraddizioni si sono agitate, intrecciate, spente nell'ordine, ma poi riaffiorate. L'attenzione, oggi, è posta sulla modernità delle opere architettoniche prodotte dal regime fascista, per lo meno di alcune di esse, ovvero sulla loro capacità di interpretare il proprio tempo, elaborandolo con specifiche originalità.


"ATRIUM": la dimensione europea

Il progetto "ATRIUM" rappresenta il punto di arrivo di tale recuperata attenzione nei confronti di questo patrimonio architettonico di cui si colgono, a un tempo, gli aspetti di pregio e la storia che li ha prodotti, con i suoi drammi (www.atrium-see.eu/ita).

Dopo il crollo del muro di Berlino è inoltre diventato possibile ripensare non solo le architetture e la storia occidentale, ma anche quella dei paesi usciti dal comunismo, e dunque l'intera storia europea del XX secolo. Anche in quei paesi la sfida che le nuove istituzioni democratiche hanno dovuto e devono affrontare è quella di mantenere un legame con la propria storia e il proprio patrimonio architettonico nonostante le memorie recenti e spesso tragiche a cui tale storia e tale patrimonio sono associati. Si è quindi profilata l'opportunità di sfruttare l'allargamento a est dell'Unione Europea per dar luogo a una riflessione congiunta e localmente ancorata sulla storia europea, secondo una prospettiva parziale ma feconda, quella delle architetture prodotte dai regimi.

Si tratta di una scelta che evidenzia la limitatezza delle interpretazioni storiche prevalenti nell'ultimo secolo, principalmente basate su di un approccio dualistico che ha pensato e descritto Est e Ovest come entità separate e totalmente distinte. In realtà vi sono state numerose influenze reciproche e significative durante tutta la guerra fredda, per non parlare delle analogie fra i regimi e dunque dei punti di contatto sia sul piano storico sia su quello architettonico.

L'integrazione europea offre la possibilità di riconciliare queste due entità all'interno di tendenze comuni, e di un clima socioculturale e politico che ha permeato l'Europa del XX secolo. Il programma europeo "South East Europe" ha permesso di avviare un confronto che ha l'obiettivo di costruire una rotta culturale europea delle architetture dei regimi dittatoriali del XX secolo. Si tratta di una sfida, poiché tra i 18 partner attuali di "ATRIUM", che stanno lavorando insieme in 11 stati, alcuni provengono da paesi ex comunisti nei quali la caduta dei regimi è recente e le ferite sono ancora dolorose: questi paesi sono inevitabilmente posti di fronte alla necessità di fare i conti con la storia scegliendo di non cancellarne la memoria per quanto difficile possa essere.

Il progetto è ormai in dirittura di arrivo, ma è appena iniziata la seconda fase del percorso, che mira a dare sostenibilità nel tempo al partenariato, per far sì che diventi spazio vivo di ricerca, luogo duraturo di studio, alimentato e tenuto insieme dall'esistenza di una rotta culturale europea certificata. È questa la ragione che ci ha portato a dare vita, il 15 giugno, all'associazione transnazionale "ATRIUM", titolare e soggetto gestore della "Rotta ATRIUM", incaricata di espletare gli aspetti amministrativi, di tenere i rapporti con il Consiglio d'Europa, di promuovere e diffondere la conoscenza intorno alle tematiche inerenti le architetture dei regimi dittatoriali europei del XX secolo. Intorno all'associazione sta nascendo un network di università e centri di ricerca interessati alla tematica. L'associazione, composta da enti locali, conta già 10 aderenti di 5 paesi europei, mentre il network accademico, benché ancora in via di costruzione, ha già acquisito adesioni significative di 14 realtà di 6 paesi europei.


Le parole-chiave

I concetti-guida che il partenariato ha messo al centro del proprio confronto e della scelta di operare insieme in modo continuativo sono i seguenti:

· Consapevolezza. Ovvero: la coscienza comune che "ATRIUM" può concorrere a determinare;

· Memoria e comprensione. Nel guardare a questi beni architettonici occorre ricordare che:

- quel bene appartiene a un contesto, è tipico (o è un modello) della cultura architettonica di un periodo, rientra in un piano urbanistico di espansione della città e riorganizzazione dello spazio, è testimone a volte di un'architettura di avanguardia che presentava soluzioni avanzate per l'epoca;

- la nostra rotta si confronta con temi di natura culturale e urbanistica, con la storia dell'architettura, con la storia politica e con la storia tout court. Non può essere altrimenti, perché il Novecento è il secolo che ha visto nascere le dittature, cioè l'illusione della democrazia fuori dal liberalismo, ma anche la modernizzazione, con i suoi caratteri pervasivi e comuni a più contesti; è un'epoca che ha pensato il mondo tutto proiettato nel futuro, che ha visto la nascita della società di massa e della propaganda, mettendo alla prova la democrazia. È anche il secolo della nascita dell'Europa come soggetto politico e istituzionale sovranazionale, auspicabile confederazione di stati disposti a cedere parte delle proprie competenze per mettere in comune la prospettiva del continente.

· Responsabilità. Come dichiarato, ci confrontiamo con beni scomodi, che non di meno devono essere considerati patrimonio culturale e tutelati. Questo impegno ha delle conseguenze, per esempio, rispetto al riuso e al restauro, che non possono prescindere dalla conoscenza degli elementi storici, politici e culturali prima richiamati. Il Manuale per la gestione, conservazione, riuso e valorizzazione delle architetture dei regimi totalitari del XX secolo in Europa prodotto da "ATRIUM" è stato occasione di una complessa, a volte difficile, discussione fra partner provenienti da paesi e storie diverse. Rappresenta certamente un punto di arrivo importante e non scontato l'assunto su cui si basa, ovvero che nel contesto attuale la conservazione di questa importante parte della storia architettonica del XX secolo sembra auspicabile e necessaria, senza che ciò implichi rimuovere la memoria di ciò che essa ha significato.

· Sapere organizzato. Vista la necessità di far crescere la conoscenza della relazione fra edificio, aspetti architettonici e memoria, il punto di forza di "ATRIUM" consiste nel mettere a disposizione, nelle sedi locali dell'associazione, un sapere teorico e scientifico, ma anche pratico, adatto a differenti target: turisti, scuole e giovani, ma anche professionisti che si trovano alle prese con il problema del restauro di tali manufatti, amministrazioni pubbliche incaricate di definirne la sorte nei piani regolatori, eccetera. Un esempio in tal senso è rappresentato dal "Tavolo per il restauro del moderno" di Forlì, nel quale comuni, università e centri di ricerca sull'architettura, soprintendenze, ordini professionali, insieme all'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, si stanno confrontando per la messa a punto di una lista di argomenti di cui tenere conto quando ci si confronta con la ridefinizione d'uso e con il restauro di manufatti moderni.

· Turismo. Diventare un itinerario culturale riconosciuto dal Consiglio d'Europa rappresenta anche un'opportunità di sviluppo turistico ed economico, che guarda ai giovani e alle gite scolastiche come primi potenziali fruitori, anche se non unici. Il disegno della rotta, la messa a punto del prodotto turistico, l'individuazione degli operatori economici con cui collaborare sulla base di carte etiche appositamente definite saranno pertanto uno dei campi di azione dell'associazione "ATRIUM".


I prodotti

Il progetto ha sin qui realizzato un censimento dei beni architettonici legati ai regimi presenti nelle città aderenti, e un manuale contenente linee guida per il restauro degli edifici moderni. È inoltre in corso una catalogazione digitale di documenti cartacei, libri e pubblicazioni, fotografie, video e altri materiali documentari e archivistici collegati agli edifici censiti, incluse testimonianze di storia orale, per ricostruire pezzi di vita sociale e familiare quotidiana, descrizioni degli edifici, ricordi. Siamo infatti convinti che gli edifici della nostra rotta rappresentano un'opportunità per capire il Novecento, e che conoscere la vita reale dei luoghi e delle persone che li hanno abitati e li abitano sia una chiave in più per capire meglio il patrimonio architettonico.

Nel giugno del 2013, a Forlì, abbiamo realizzato un evento internazionale, il "Piloting ATRIUM", che ha rappresentato una sorta di prova tecnica per verificare il consenso sul percorso e sulla proposta turistica messi a punto. In occasione del piloting, cittadini, tour operator, media, turisti sono stati condotti a scoprire il territorio nelle sue varie dimensioni (architettonica e culturale, naturalistica, termale, culinaria) e tra iniziative scientifiche, spettacoli ed eventi vari sono stati invitati a suggerire aggiustamenti e migliorie per il lavoro futuro. L'evento ha dimostrato la validità del progetto e il carattere germinativo che lo connota: decine di associazioni e realtà varie hanno dato vita, a Forlì e nei comuni limitrofi, a 15 mostre, 30 convegni ed eventi, 14 spettacoli e migliaia di forlivesi vi hanno preso parte.


Le prospettive

Nel settembre 2013 l'associazione ha depositato il dossier di candidatura al Consiglio d'Europa: la risposta sul riconoscimento è attesa per la primavera del 2014. Intanto è necessario avviare un piano di lavoro per il consolidamento e l'ampliamento della rotta, per la ricerca scientifica, per la messa a punto della dimensione turistica.

Di recente si sono anche aperte nuove piste di possibile sviluppo, come quella destinata a far nascere una rotta specificamente dedicata ai siti industriali dismessi, realizzati in periodo totalitario. Molte città partner di "ATRIUM", infatti, sono nate intorno a una funzione economica: è il caso di Labin, in Istria, sorta per volontà del fascismo italiano di sfruttare le miniere di carbone (scelta poi confermata dal comunismo); di Dimitrovgrad, in Bulgaria, nata intorno a un sito industriale chimico; di Doboj, in Serbia, votata alla lavorazione dell'acciaio; di Velenje, in Slovenja, destinata allo sfruttamento minerario; della stessa Predappio, con l'industria aeronautica Caproni. In altri casi, come a Tirana con il kombinat tessile, interi quartieri sono stati dedicati a una produzione specifica.

Ogni ulteriore sviluppo dovrà essere valutato con attenzione e nel tempo. Per ora ci concentriamo sulla predisposizione di un buon dossier di candidatura per diventare davvero, al primo tentativo, una "rotta culturale europea".


Note

(1) F. Canali, Architetti romani nella "città del Duce", Cesena, Società editrice "Il Ponte Vecchio", 1995, estratto da "Memoria e Ricerca", 1995, 6.

(2) V. Emiliani, Prefazione, in La città progettata: Forlì, Predappio, Castrocaro. Urbanistica e architettura fra le due guerre, a cura di L. Prati e U. Tramonti, Forlì, Comune di Forlì, 1999, p. 14.

(3La Romagna del Duce in cartolina. Il territorio romagnolo e la costruzione di una politica autoritaria, a cura di R. Balzani e M. Proli, Forlì, Sapim, 2003.

(4) U. Tramonti, Le radici del razionalismo in Romagna. Itinerari nel comprensorio forlivese, Forlì, Edizioni Menabò, 2005.

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