Rivista "IBC" XX, 2012, 4
musei e beni culturali / mostre e rassegne, progetti e realizzazioni, pubblicazioni
Eccoci dunque alla terza edizione di "Vie di dialogo", allestita quest'anno dal 23 giugno al 2 settembre nella Galleria comunale "FAR - Fabbrica arte Rimini", con la collaborazione del Comune della città. Due i curatori, Claudia Collina e Massimo Pulini, la prima storica e critica d'arte, il secondo artista e storico dell'arte: i due studiosi hanno lavorato nello stesso campo con strumenti diversi, così come hanno dialogato con mezzi tecnici e poetici assai differenti i due artisti in mostra, Ketty Tagliatti e Graziano Spinosi.
Una esposizione che ha suscitato molteplici interrogativi e riflessioni, un catalogo che fornisce risposte e dispone a ulteriori domande, dunque un percorso visivo di rara coerenza e due testi da leggere e meditare, per l'assetto progettuale storico e teorico di Collina, che riannoda i fili dei labirinti mentali di Tagliatti, per la scrittura seduttiva di Pulini, che vede lievitare la singolarità contemporanea di Spinosi nel solco di forme e sentimenti antichi.
Entriamo nella "Fabbrica arte Rimini", realizzata recentemente grazie all'ingegno dello stesso Pulini, che è anche assessore comunale alla cultura: uno spazio luminoso e ben scandito che dimostra come a volte non occorrano archistar per dar vita a iniziative serie e ben riuscite che suscitino interesse nei visitatori, ampi e nitidi vani che si giovano anche di un prato all'aperto dove, in questo caso, sono state collocate alcune opere di Spinosi. Il colloquio tra i due artisti si conforma alla trama di un dialogo antico e si snoda tra sinergie e drastiche autonomie, tra avvicinamenti e lunghi addii. E il raffrontarsi delle loro opere non genera dimostrazioni ma evocazioni, la prossimità dei corpi del loro lavoro non produce paragoni ma scarti, azzardi, forse ombre di dubbi.
Lo sguardo critico di Collina e Pulini risulta a volte provocatorio nell'accostare opere di artisti che si nutrono di così differenti tecniche e poetiche, ma che si incontrano poi sul crocevia della rarefazione di forme naturali (il nido per Spinosi, la rosa per Tagliatti), la cui sintesi formale genera simboli, metafore e miti che si nutrono di Occidente e di Oriente.
Sculture cave e pesanti nella sostanza perché di ferro e cemento, all'apparenza lievi di gonfiori e successivi restringimenti, escono dalle officine in cui Spinosi adopera, come scrive Pulini, "fasciame di ferro e intonaco cementizio, strutturato nei modi di una gabbia impenetrabile, modellando con fiamma ossidrica, cazzuola, tenaglie e martello. Servivano argani per sollevare quelle crisalidi fossili e la tenuta da lavoro prevedeva guantoni e spesse parannanze di cuoio e maschere da saldatore".
Una scultura che è nido, pupa, e per conseguenza riparo, capanna, forma originaria, pura architettura, in armonia con lo spazio e creatrice di spazio, proiettata nell'oggi e memore forse di un passato brancusiano di spiritualità e di amore per la terra, di ascensione e di valutazione di un peso specifico. Opere arcane e fiabesche, a volte quasi reperti antropologici, a volte apparentemente monocrome ma invece ricche di opzioni cromatiche, nella pelle della propria superficie e nel rapporto vibrante con la luce.
Materiali leggeri, al contrario, si danno il cambio per dar respiro alla ossessiva topografia in forma di rosa che le mani di Ketty Tagliatti vanno tessendo da tempo. Una rosa che è un nevrotico grafema danzante, un'altra che dispiega petali ampi e circoscritti come territori, labirinti della mente formati da un'artista che adopera spilli, e fili, e stoffe, e scatole di cosmetici vuote colorate in rosso. Il morbido del tessuto, il duro e freddo dell'acciaio, il levigato e il corrugato sono gli attributi che il senso del tatto e della vista dell'artista ripercorrono per dar vita a un diversificato ritorno dell'uguale.
Ed è con End, installazione di 12 teatrini in scatole di ferro, che Tagliatti segna in questa mostra il culmine sentimentale di una poetica insieme cerebrale e materica, gonfia di respiri di vita e di malinconia, una declinazione oggettuale che rimanda, come scrive Collina, "a Max Ernst, Daniel Spoerri, Joseph Cornell". End è il luogo degli oggetti perduti, dove le cose come sempre non sono semplicemente cose, ma parole, che dicono lo scorrere e il modo del tempo della nostra vita.
Vie di dialogo / 3 . Graziano Spinosi / Ketty Tagliatti, a cura di C. Collina e M. Pulini, Villa Verucchio (Rimini), La Pieve, 2012, 79 pagine, senza indicazione di prezzo.
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