Rivista "IBC" XX, 2012, 3
musei e beni culturali / linguaggi, pubblicazioni
Certe parole, certi pensieri di un testo, a volte, conducono il lettore ad associazioni, per analogia od opposizione, inattese. Può capitare anche leggendo L'andär dal témp, raccolta di poesie scritte da Bruno Ricchi nel dialetto di Palagano, un comune del Modenese: ne nasce un dialogo, al di là delle intenzioni dell'autore, a più voci, tra quest'ultimo anzitutto, il lettore (che coincide ora con chi scrive ma che potrebbe avere identità infinite) e altri autori. Queste poesie in palaganese, rivolte principalmente ai membri della comunità locale, risuonano così di echi forse imprevisti e intrecciano nuove corrispondenze, dalle quali persone e situazioni ricevono luce e acquistano profondità.
Il poeta, che qui riunisce quasi l'intero corpus della sua produzione in dialetto, celebra la gioia che deriva dai gesti quotidiani, per esempio dall'accompagnare i nipotini a scuola, quindi dalla condizione di chi ha raggiunto una "maturità esistenziale". E subito avvertiamo lo scarto prospettico rispetto al famoso frammento menandreo che recita "Muore giovane chi è caro agli dèi": più di due millenni separano i due poeti, ma sembrano scomparire. Altro caso: il pic-nic trascorso insieme a pochi cari in una radura boscosa, da cui filtrano lontane risate, circonda il poeta di una gioia tanto precaria quanto intensa e preziosa e, al contempo, lo isola dai flebili sussulti del mondo esterno; ecco: la stessa gioia del cuore, solitaria e momentanea, nel componimento di Sandro Penna Il mare è tutto azzurro è provata dall'io poetante, che nel profondo urla la stessa felicità di esistere. Con una differenza: la gioia di Penna è vissuta in piena solitudine, quella di Ricchi è condivisa con gli affetti presenti. Altro caso ancora: il sentimento appagante della vitalità, del dinamismo del creato, di cui partecipa l'essere umano, traspare dalla lirica L'armùr d'la premavéra e anche dallo stupendo distico "Io vivere vorrei addormentato / entro il dolce rumore della vita" scritto sempre da Penna.
Le voci del dialogo a cui accennavamo all'inizio non conoscono barriere spaziali o temporali, vivono un presente infinito: l'attenzione e il rispetto per chi svolge i lavori "umili" e faticosi della quotidianità domestica, la propria madre o la propria moglie, per esempio, apparentano le liriche Bügäda e Mamma del poeta ungherese Áttila József, vissuto nel primo Novecento e introdotto al pubblico italiano da Croce. Il bucato casalingo è, per entrambi gli autori, la misura di un travaglio quotidiano, incessante, che tuttavia nel poeta magiaro provoca una separazione momentanea dalla madre, vissuta con il dolore di un bimbo, mentre per il nostro poeta è l'emblema di quell'infanzia e di quella casa materna da cui, in certo qual modo, non si vuole staccare. Infine, come non pensare alle finestre assimilate a occhiaie vuote nelle prime righe della Casa degli Usher di Poe mentre si legge "j òch vöd / dal fnèster e d'la pórta / i m'än détt ch'è mórta", ultimi versi di Cà Sgrutäda (Casa diroccata)? Certo, spesso i rimandi tra opere di autori diversi e lontani nascono più dai percorsi compiuti dal lettore che non da scelte degli stessi autori; ciononostante, anche e soprattutto per tali sentieri passano la comprensione di un'opera e il suo talvolta inesauribile processo di arricchimento, il suo continuo rinnovamento.
Diverse poesie di Bruno Ricchi affrontano temi come l'amore per la natura, il legame con le tradizioni paesane, la necessità di una riscoperta di rapporti interpersonali più sani e diretti, ai quali seguono considerazioni su di un presente piuttosto desolante, spesso venate di amarezza e nostalgia del tempo trascorso. Il passato reca in sé un quadro di valori umani difficili ma non impossibili da riproporre, occorre soprattutto una predisposizione al sacrificio di una parte di sé per la costruzione di una comunità che sappia coniugare i buoni princìpi d'un tempo e le trasformazioni della contemporaneità. La propensione per un ritorno agli anni della giovinezza si esprime anche nell'auspicio di un ritorno della donna alla primaria attività di custode del focolare domestico, ma procede di pari passo con la consapevolezza che un futuro di benessere generale si costruisce sulle basi di una solidarietà operante entro il nucleo familiare e all'interno della comunità. Gli anni a venire rappresentano un'incognita per tutti, ma vale l'assunto che "parlànd meno tudàsc e piö nusträn / a prén cundiziunär è "mónd glubäl"!
Vorremmo infine soffermarci sul confronto tra le poesie nella loro veste originale in dialetto e le traduzioni in lingua. Qui si nota forte lo sfasamento tra un codice linguistico e l'altro: le parole del dialetto parlano della realtà tangibile di ogni giorno, e il traduttore è inevitabilmente costretto a trovare le espressioni più confacenti al codice linguistico di arrivo, ma in questo modo non può fare altro che alterare la voce originale e avvicinarla alla propria.
B. Ricchi, L'andär dal témp. Poesie dialettali, Pavullo nel Frignano (Modena), Adelmo Iaccheri Editore in Pavullo, 2012, 159 pagine, 14,90 euro.
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