Rivista "IBC" XX, 2012, 3
biblioteche e archivi / storie e personaggi
"[...] gli occhi limpidi, la fronte chiara, la bocca schietta, le guance pacate, il mento mansueto, e il bel paio di baffi rigogliosi e brizzolati, e l'onesta zazzera, che soleva uscire abbondante e riccioluta di sotto il cappello a cilindro. A questo, e uno scialle, in cui il Filopanti s'ammantava, scozzese su fondo cenerino, e il perpetuo sigaro toscano fra le labbra, eran ormai da anni e anni i contrassegni del suo dignitoso portamento e della figura popolarissima in Bologna [...]". Così descritta da Riccardo Bacchelli nel Mulino del Po, questa figura che, già avanti negli anni, si aggirava instancabile per Bologna, corrispondeva al nome di Giuseppe Barilli. Nato a Budrio nel 1812, figlio di un falegname, sin dagli anni della Restaurazione si ribattezzò "Quirico Filopanti", in onore di ciò che più amava: la storia di Roma antica e l'umanità intera.
Avviato agli studi grazie al contributo della Partecipanza budriese, che così riconosceva i meriti di uno dei suoi figli, Filopanti si dedicò alle scienze matematiche e fisiche. Già nella sua prima operetta data alle stampe nel 1837, Dell'influenza delle arti e delle scienze sulla civiltà e di questa sul migliore stato della società, appaiono quelli che saranno gli ideali di tutta la sua vita: l'esaltazione della cultura e della scienza, un forte anelito religioso e una costante aspirazione al rinnovamento sociale per tutta l'umanità.
Gli anni della grande svolta saranno, per lui come per tanti, quelli del "biennio rosso", i rivoluzionari 1848 e 1849. Nell'esperienza della Repubblica Romana, in particolare, poté esprimere, se non appieno almeno in buona misura, i propri ideali politici e sociali. Già ben noto ai bolognesi come ingegnere idraulico, i suoi scritti sulla stampa locale e le sue partecipazioni al dibattito politico, il 21 gennaio 1849 gli valsero l'elezione all'Assemblea della Costituente Romana con 17.010 suffragi, secondo solo a Carlo Rusconi.
A Roma fu tra coloro che presentarono all'Assemblea un "progetto fondamentale" che dichiarava decaduto il potere temporale del Pontefice e proclamava la Repubblica. Il decreto, votato nella notte fra l'8 e il 9 febbraio 1849, era costituito da soli quattro articoli: i primi tre furono approvati a larga maggioranza, mentre il quarto, proposto appunto da Filopanti, accese il dibattito su queste parole: "Gli sforzi della Repubblica Romana saranno in modo tutto speciale diretti al miglioramento morale e materiale delle condizioni di tutte le classi della società". La parola "classi", troppo socialisteggiante, non piacque ai più e venne sostituita con l'ormai più consueta "cittadini".
I lavori della Costituente, che pur nella difficile breve vita della Repubblica vennero portati avanti con decisione e fermezza, occuparono Filopanti molto intensamente. Egli infatti intervenne a più riprese, in particolare sui temi a lui più cari, l'istruzione e il lavoro, proponendo l'inserimento nella carta costituzionale del principio del "dovere morale" dello Stato nell'assicurare "la sussistenza dei cittadini necessitosi, procurando il lavoro a quelli che non ne possono avere dalla loro famiglia, e che sono impotenti al lavoro". Anche in questa occasione il testo parve troppo avanzato e, in una assemblea sì costituita da democratici ma ancora legata all'idea che la questione sociale andasse affrontata con soluzioni paternalistico-assistenziali, non passò.
Quello stesso anno 1849, la caduta della Repubblica, schiacciata dalle truppe francesi giunte in appoggio a borbonici, spagnoli e austriaci che già la combattevano con accanimento, costrinse migliaia di patrioti a lasciare Roma e, in tanti casi, anche l'Italia. Filopanti fu tra questi. La sua fuga da Roma, all'indomani dell'ingresso delle truppe del generale Oudinot, segnò l'inizio di un tortuoso percorso che lo portò dapprima verso casa, poi, nella notte dell'8 agosto - mentre gli austriaci a Bologna fucilavano il padre Ugo Bassi e Giovanni Livraghi - a prendere la strada della Toscana. Giunto a Livorno, si imbarcò per gli Stati Uniti: il console americano, infatti, aveva accolto la sua richiesta di visto, a differenza del console inglese, che, con motivazioni a noi non giunte, gliel'aveva negata.
Giunse a New York tra il settembre e l'ottobre del 1849. Il "Morning Post" e il "Journal of Education of Upper Canada" ne diedero l'annuncio tra gennaio e febbraio del 1850. Non è uno sconosciuto, se pure male in arnese: è pur sempre un componente dell'assemblea costituente di una repubblica da poco schiacciata dalle forze "papiste"! Questa componente "religiosa" ebbe un ruolo non secondario nell'accoglienza che gli americani riservarono ai molti esuli politici italiani, e su questa idea fecero leva anche molte delle "Congreghe della Giovine Italia" sorte sul suolo americano su spinta di Mazzini, per raccogliere fondi a favore dei profughi politici.
Nel maggio del 1852, Filopanti riparò a Londra, espulso dagli Stati Uniti (anche in questo caso non ne sappiamo il motivo). Il periodo americano e il più lungo soggiorno inglese furono per lui anni di "miseria e di fame", come ebbe spesso a raccontare nelle lettere o nelle memorie, costellati da lunghe teorie di piccoli lavori che potevano garantire la pura sopravvivenza:
"[...] In Italia non si ha una giusta idea delle condizioni di vita degli emigrati agli Stati Uniti: colà non vi fanno fortuna che quelli che hanno in pronto un'abilità manuale e meccanica da esercitare. Letterati, impiegati, professori e simili dallo straniero non hanno alcuna possibilità di collocamento. Io sono vissuto colà perché, in vista della posizione particolare che ho occupato in Italia, vi era chi di tempo in tempo mi portava a casa del denaro, a nome di persone che non volevano esser nominate: ma però siccome il vitto e l'alloggio è carissimo, invece di poter risparmiare qualche cosa mi è piuttosto mancato il necessario [...]".
Lettera di Filopanti al suocero, Londra, 2 giugno 1852.
"[...] Vi è stato un tempo, e ben anche di corto, nel quale ho patito letteralmente la fame. [...] Ho dato delle lezioni di francese, delle lezioni su Dante, e delle lezioni di matematica per soli due scellini: ho dato persino delle lezioni di inglese per una sola colazione ogni volta. Vi sono stati anche tre mesi in cui non ho avuto altro provvedimento che quella colazione ogni mattina: e fortuna ancora che ci fosse tanto. Il pranzo era acqua e pane talvolta condito con un po' di burro rancido, ottenuto a credito, ovvero mercé pochi soldi di mano in mano presi in prestito da quello stesso a cui davo lezione, il quale era soltanto un poco men povero di me. In America scrivevo degli articoli in inglese pel giornale di Providence, a otto scudi romani al mese: qua mi sono offerto a dei giornalisti di fare il correttore di stampe [...].
Vero è che spesso ti ho fatto sperare di eseguir qui con vantaggio qualche mia invenzione; e che questo paese è più favorevole a dei tentativi che alcun altro. Sappi però che la carriera dell'inventore, finché ci si rimane nella condizione di povero progettista, è circondata di enormissime difficoltà dappertutto e perciò anche qui, come che, in complesso, un poco meno enormi che altrove [...] Abbi pazienza [...]".
Lettera alla moglie Enrica, Londra, 14 marzo 1856.
La carriera dell'inventore: tra una raccolta di fondi per gli esuli - lui, che come abbiamo visto era tutt'altro che in buone condizioni economiche, faceva parte di comitati, associazioni, congreghe che si ripromettevano di aiutare i più bisognosi tra gli esuli - un piccolo lavoro per mangiare, studi filosofici e altro ancora, le invenzioni continueranno per tutta la vita ad assillarlo. Forse i suoi contemporanei lo vedevano un po' come una sorta di Archimede Pitagorico di disneyana memoria, ma le sue apparentemente strampalate idee trovarono quasi sempre, a distanza anche di molti decenni, una realizzazione.
Dalla sua fervida immaginazione scaturirono infatti la prima idea di suddivisione del globo terrestre in fusi orari, il progetto di un tunnel flottante sotto il canale della Manica, il dirigibile, il sistema di contenimento delle rotte dei fiumi da lui chiamato "paltelata", un sistema di "teleriscaldamento" realizzato con globi di ghisa (in tutto simile ai "funghi" che i bar dei nostri giorni pongono all'aperto per rendere piacevoli le soste ai tavolini anche con la brutta stagione), e altro ancora.1
Finalmente, a distanza di dieci anni, un nuovo sconvolgimento politico toccò l'Italia e in particolare lo Stato Pontificio: il 1859, con la Seconda guerra di Indipendenza, vide finalmente la "liberazione" di Bologna dal dominio temporale della Chiesa e dalla presenza austriaca, e centinaia di esuli poterono rientrare in patria. Anche Quirico Filopanti poté tornare a casa.
Fedele alla propria visione di un mondo in cui tutte le classi dovevano collaborare insieme per migliorarsi reciprocamente, Filopanti, tutt'altro che ammorbidito dai lunghi anni trascorsi in esilio, subito si impegnò per accrescere l'istruzione e la cultura del popolo, elementi indispensabili per ogni miglioramento sociale. In quest'ottica collaborò con la Società operaia felsinea, nata proprio all'indomani della "liberazione", tenendo lezioni, a titolo gratuito, per i soci, in parte di carattere scientifico divulgativo, in parte di educazione alla politica.
Sempre in linea con le proprie idee, si dedicò poi alle "lezioni all'aria aperta", che restarono indissolubilmente legate al suo nome e ne fecero un personaggio ancora più popolare e amato in città. Si trattava di lezioni di alto livello, ma svolte con un linguaggio accessibile a tutti, su temi in genere scientifici (fisica, astronomia, filosofia, politica, economia), tenute appunto "all'aperto", in modo gratuito. Appuntamenti a cui tutti i cittadini, giovani e vecchi, donne e uomini, potevano liberamente partecipare, perché, come scriveva nel 1872:
"Una parte di voi, fortunatamente non i più, ma sempre troppi, non sanno né leggere né scrivere. Quelli fra voi che leggeranno questo scritto, preghino in mio nome gli altri vostri e miei soci di andare a dirozzarsi nelle scuole serali o domenicali del Comune. Andateci anche voi che conoscete già gli elementi della scrittura, onde apprendere di più. Frequentate pure le lezioni della Lega di insegnamento. Ricordatevi che l'ignorante non è uomo che per metà. Coloro che ebbero la fortuna di una educazione superiore alla vostra non hanno perciò in alcun modo il diritto di tenervi sotto i loro piedi: ma dovete toglierne a essi la tentazione e il mezzo coll'istruirvi anche voi".
E, fedele a sé stesso, il "professore dell'infinito", come lo aveva battezzato Garibaldi, si dedicò per anni proprio a questo: a spiegare al popolo, sulle piazze e nei giardini delle città italiane, ogni aspetto dello scibile umano. Perché comunque ogni tassello portato alle menti anche degli "ignoranti", sarebbe servito, prima o poi, per portarli verso la libertà. Di pensiero e anche di vita.
Nota
(1) Tra le numerose opere di Quirico Filopanti vanno ricordate: in testa a tutte, Miranda! A book on wonders. Hitherto unheeded (1859-1860), in cui, oltre a proporre l'adozione dei fusi orari, espone tutte le sue concezioni astronomiche, storiche e religiose; L'universo. Lezioni popolari di filosofia enciclopedica (1871-1874); Dio liberale. Sintesi scientifica ed istorica (1880); Dio esiste. Sintesi enciclopedica (1881); Sintesi della storia universale e specialmente della storia italiana dagli antichissimi tempi all'anno 1882 (1882-1883), una storia costruita secondo i suoi concetti filosofico-religiosi e di coincidenze cronologiche; La Bibbia sociale (1894).
Ma vanno citate anche opere più "tecniche": Notizie popolari di fisica e idee d'architettura idraulica (1845); Degli usi idraulici della tela (1847); Sulle bonifiche romane proposte dal generale G. Garibaldi. Considerazioni (1875); Le bonifiche del Tevere e Agro Romano (1875).
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