Rivista "IBC" XX, 2012, 2
biblioteche e archivi / didattica, interventi, leggi e politiche
"... E poi non rimase nessuno. Gli archivi e gli archivisti nella crisi italiana", questo è il titolo di una manifestazione che si è svolta diffusamente, dal 12 al 15 ottobre 2011, sul territorio nazionale, promossa dall'Associazione nazionale archivistica italiana (ANAI), dalla Società italiana degli storici medievisti (SISMED), dalla Società italiana per la storia dell'età moderna (SISEM) e dalla Società italiana per lo studio della storia contemporanea (SISCO).1
Oltre 1.800 sono stati i sottoscrittori dell'iniziativa, che hanno partecipato a 51 eventi organizzati da 260 realtà, tra archivi di Stato e soprintendenze archivistiche, enti pubblici e privati, istituti culturali e istituzioni di vario genere, gruppi più o meno organizzati. I materiali, tra cui un ampio documento-manifesto, sono reperibili sul sito www.archivisti2011.it, come pure il comunicato finale in cui è tracciato un primo bilancio, pubblicato il 14 novembre dal soggetto che è stato il principale ispiratore e promotore dell'iniziativa, cioè il direttivo dell'ANAI.2
Dai due documenti (manifesto e comunicato conclusivo) si deducono chiaramente i motivi che hanno ispirato questa mobilitazione. Da vari anni assistiamo al progressivo, lento ma inesorabile degrado delle condizioni in cui viene esercitato il mestiere dell'archivista: "Questo lavoro" - si legge nel manifesto - "per molti versi appassionante perché al servizio del cittadino e dell'interesse pubblico, si svolge in condizioni che si sono fatte via via più difficili in questi ultimi anni, come se si trattasse di un vizio da scoraggiare. Le difficoltà pesano sia sugli archivisti dipendenti di pubbliche istituzioni o di grandi organizzazioni private (sempre meno di numero e con meno risorse), sia - ancor più gravemente - sugli archivisti che esercitano la libera professione, ridotti sovente a cercare lavori occasionali generici o lontani dalla loro specializzazione".
Il degrado è dovuto agli stessi fattori che minano le altre realtà dei beni culturali italiani. Per quanto riguarda in particolare il Ministero per i beni e le attività culturali (ma analoghe considerazioni, fatte salve rare eccezioni, sono estendibili anche ad altre realtà istituzionali, come gli enti locali) le risorse per il settore degli archivi si è ridotto, negli ultimi dieci anni, di oltre il cinquanta per cento, e il mancato ricambio generazionale rischia di compromettere la trasmissione del sapere dei funzionari scientifici ai colleghi più giovani, vanificando anni di lavoro e di esperienza.
Da sempre il settore degli archivi è il più misconosciuto rispetto agli altri beni culturali (musei, scavi archeologici, monumenti, biblioteche), che hanno maggiore impatto di fronte all'opinione pubblica: è per questo motivo che, con le manifestazioni organizzate nel mese di ottobre dello scorso anno, si è cercato di mettere in luce a cosa servono gli archivi, ricordando che la loro "utilità" accomuna sia gli archivi pubblici sia quelli privati. "Gli archivi infatti" - si legge sempre nel manifesto - "ancor prima di diventare un bene storico, rispondono a finalità giuridiche e di autodocumentazione amministrativa, sono giacimenti di informazioni tecniche, identificano la memoria a vari livelli di coesione familiare, sociale, professionale, cittadina, nazionale".
Per quanto riguarda il futuro, nella comunicazione finale del 14 novembre 2011 il direttivo dell'ANAI ha tracciato alcune linee programmatiche individuando gli obiettivi prioritari. Il primo è la collaborazione con l'Associazione italiana biblioteche (AIB) e il comitato nazionale dell'International Council of Museums (ICOM), una collaborazione che si è già concretizzata in un coordinamento nazionale denominato "MAB - Musei Archivi Biblioteche", che accomuna in questa battaglia tutte le figure professionali del patrimonio culturale.3 In secondo luogo sarà proseguita una mobilitazione sia nei confronti del Ministero, per evitare il declino causato dal taglio delle risorse e del personale, sia nei confronti di tutti i contesti pubblici e privati, per garantire che gli archivi pubblici e privati siano correttamente presidiati dalle professionalità archivistiche.
Per quanto riguarda il Ministero, qualche risultato si inizia a vedere. Già il ministro Galan era riuscito a ottenere una deroga al blocco del turn over per l'assunzione di personale specializzato anche dirigenziale, deroga che nel gennaio 2012 ha consentito l'ingresso in ruolo, tra gli altri, di 5 archivisti e di un dirigente, tratti dalle rispettive graduatorie concorsuali. Il ministro Ornaghi, a sua volta, nell'illustrare alla Commissione cultura della Camera dei deputati le linee programmatiche del suo dicastero, oltre ai provvedimenti in materia di risorse economiche a favore del Ministero già assunti dal governo Monti, ha ricordato le disposizioni che autorizzano a procedere all'assunzione, nel 2012 e 2013, di "centinaia di giovani tecnici e funzionari, che porteranno energie nuove e linfa vitale alla funzione di tutela del patrimonio".4
Il momento riserva dunque qualche speranza per le istituzioni archivistiche appartenenti al Ministero, che potrebbero vedere accolte le proprie istanze. Certamente, per quanto riguarda il personale tecnico-scientifico, le situazioni sono assai diversificate. Sulla base dei dati ufficiali (i più recenti sono relativi al 2010) il numero complessivo degli archivisti di Stato era, due anni fa, di 677 unità, distribuite tra archivi di Stato (549) e soprintendenze archivistiche (128).5 Oggi il numero è inferiore, per i pensionamenti che si sono succeduti e che non sono stati compensati dal naturale ricambio generazionale.
Prendendo in considerazione i dati relativi ai 13 istituti archivistici del Ministero per i beni e le attività culturali in Emilia-Romagna, si scoprono situazioni al limite della sopravvivenza, come quelle dell'Archivio di Stato di Modena, dove al dirigente è affiancato un solo archivista comandato, e della Soprintendenza archivistica, dove oltre al dirigente operano due archivisti, di cui uno comandato; per queste due realtà viene in "soccorso" l'Archivio di Stato di Bologna, con distacchi parziali e collaborazioni temporanee di propri archivisti.6
Ma, al di là delle alchimie dei numeri e delle statistiche, l'impressione diffusa tra gli stessi archivisti è che causa, ma anche effetto, della "dissolvenza" sia il progressivo venir meno del riconoscimento, nella società italiana contemporanea, della funzione degli archivi, e quindi anche degli archivisti. Evidentemente sono ritenuti assai poco importanti gli archivi, se le risorse finanziarie a essi destinate sono sempre più limitate e, per quanto riguarda in particolare le realtà comunali, colpisce il pressappochismo delle singole amministrazioni nella scelta del personale a cui affidare i servizi archivistici, spesso non qualificato professionalmente. A differenza del bibliotecario, che è una figura professionale più connotata, l'archivista è spesso assimilato a un semplice impiegato. Ne consegue, in molti casi, un'incapacità di organizzare efficacemente il servizio archivistico nella sua complessità, dall'archivio storico all'archivio corrente.
Vi è da chiedersi se questo diffuso mancato riconoscimento del ruolo professionale dell'archivista non sia anche da collegare alle inadeguatezze del percorso formativo. Non che manchino i luoghi deputati alla formazione degli archivisti: rispetto ad altri paesi europei, anzi, l'Italia è caratterizzata da una notevole diffusione di offerte formative sul territorio nazionale. Da un lato, presso le facoltà universitarie, nelle classi di laurea triennali in Scienze dei beni culturali e in Scienze storiche, sono previsti curricula specifici dedicati all'archivistica, e così pure tra le lauree magistrali è prevista la classe di archivistica e biblioteconomia (oltre a queste, esistono alcuni master universitari e la Scuola di specializzazione per archivisti e bibliotecari presso l'Università di Roma - La Sapienza).
Dall'altro lato sono attive le scuole di archivistica paleografia e diplomatica annesse a 17 archivi di Stato,7 alcune delle quali vantano un'attività secolare. Presso queste scuole si sono formate le generazioni di archivisti che per tutto il Novecento sono entrate nei ranghi dell'amministrazione statale, come pure coloro che hanno esercitato il mestiere come liberi professionisti, o sono stati assunti presso amministrazioni locali. Da vari anni anche queste scuole sono in crisi, al pari di tutta l'amministrazione archivistica statale. E la crisi è dovuta al progressivo venir meno delle risorse finanziarie, ma non solo.
Certamente il taglio dei finanziamenti alle scuole di archivistica, il cui funzionamento oggi è a costo zero per l'amministrazione, ha delle ricadute. Se infatti, in passato, gli incarichi di docenza erano affidati sia a docenti esterni, in gran parte universitari, che a docenti interni, oggi l'onere dell'insegnamento ricade esclusivamente sulle spalle degli interni, cioè dei funzionari di archivi di Stato e soprintendenze archivistiche, ai quali si chiederebbe, oltre all'aumento di carico di lavoro, di inventarsi un nuovo mestiere, e non è detto che tutti gli archivisti accettino di essere anche docenti. Ne consegue un inevitabile restringimento del ventaglio delle discipline, fino a prevedere, in un futuro non lontano, l'impossibilità di attivare i corsi in mancanza del ricambio generazionale degli archivisti.
La crisi non è conseguenza solo di congiunture economiche sfavorevoli, ma anche della mancanza di rinnovamento che contraddistingue da lungo tempo l'amministrazione archivistica statale. Per quanto riguarda in particolare le scuole di archivistica, l'immobilismo è eclatante, e non è imputabile alle singole scuole quanto alla generale incapacità riformatrice dell'amministrazione centrale. Istituite con la prima normativa postunitaria riguardante gli archivi (1874 e 1875), sono state riconfermate dalla legge archivistica del 1963 che ha stabilito l'attuale rete di 17 scuole. Scuole che, però, non hanno mai avuto un regolamento ad hoc, basandosi tuttora, per il loro funzionamento, sul regolamento archivistico del 1911.
Sono istituzioni nate per la formazione del personale interno dell'amministrazione archivistica statale, e anche se gli obiettivi formativi si sono trasformati con il tempo, sono rimaste ancorate a quadri di riferimento istituzionale più che superati. Basti pensare che per accedere alle scuole di archivistica è tuttora richiesto solo il diploma di scuola media superiore e, pertanto, il titolo di studio rilasciato al termine del corso biennale è un diploma di livello parauniversitario, il cui valore è misconosciuto anche nell'ambito dello stesso Ministero. Al contrario, per i funzionari tecnico-scientifici degli altri settori del Ministero (storici dell'arte, architetti, archeologi), già in base al vecchio ordinamento universitario erano obbligatori percorsi formativi costituiti da corsi di laurea e specializzazioni post lauream. È evidente che questo "vizio d'origine" attribuisce al diploma delle scuole di archivistica un valore minore, a tutto svantaggio del riconoscimento della specializzazione professionale dell'archivista.
Sul "mestiere" dell'archivista, da "mediatore di sapere" a records manager, si è scritto e detto molto. Ricordo soprattutto il seminario di studi organizzato sei anni fa dalla Direzione generale per gli archivi,8 preceduto da una proposta di regolamento delle scuole di archivistica che rimase senza esito nonostante la lunga gestazione (prima stesura nel 1996, rielaborazione e stesura definitiva tra il 1999 e il 2001). Non è nota la causa dell'insuccesso, ma sembra da collegare al costo che la riforma avrebbe comportato per l'amministrazione. Il tema è stato nuovamente ripreso, con i medesimi contenuti, durante la seconda Conferenza nazionale degli archivi (Bologna, 19-21 novembre 2009), e successivamente la Direzione generale ha elaborato un nuovo progetto di regolamento per le scuole di archivistica, di cui è in circolazione una bozza per gli addetti ai lavori (in merito alla quale si possono leggere le osservazioni presentate dall'ANAI).9
La nuova proposta di regolamento riprende, con alcuni correttivi, l'impostazione della precedente, a dimostrazione del fatto che gli archivisti italiani sono convinti che il tema della formazione professionale sia centrale e debba rispondere almeno a due requisiti essenziali. In primo luogo devono essere previsti curricula formativi distinti per gli archivi storici e per gli archivi contemporanei, compresi gli archivi correnti elettronici. In secondo luogo dovrebbero essere previsti due gradi di formazione: uno più elevato, corrispondente a una specializzazione post lauream per gli archivisti destinati a operare in grandi strutture (archivi statali, di amministrazioni pubbliche, di imprese, eccetera), e uno di grado inferiore, destinato all'aggiornamento professionale del personale già impiegato presso enti pubblici e privati, e addetto a compiti archivistici.
Questa offerta formativa a largo raggio presuppone che intervengano accordi con università e regioni, sia per la composizione del corpo docente (che non potrà essere costituito solo da funzionari interni dell'amministrazione archivistica), sia per pianificare il rapporto con le realtà concrete degli archivi. Il progetto è ambizioso ma c'è il timore che, ancora una volta, non giunga in porto; in questo caso l'insuccesso non sarebbe però da imputare solo all'amministrazione archivistica e determinerebbe ulteriore incertezza per il futuro della nostra professione.
Note
(1) Il titolo è stato ispirato da un celebre giallo di Agata Christie, mentre di "dissolvenza degli archivisti" si parla in un articolo pubblicato su "l'Unità" del 14 luglio 2011.
(2) Si veda anche: "... e poi non rimase nessuno". Un bilancio e uno sguardo al futuro, "Il mondo degli archivi", 2011, 3 (www.ilmondodegliarchivi.org/detail/articleid/1265/parentchannel/154/title/___e_poi_non_rimase_nessuno___Un_bilancio_e_uno_sguardo_al_futuro.html).
(3) Le attività del coordinamento si sono sviluppate finora soprattutto in Piemonte (www.mab-italia.it).
(4) Intervento del 14 dicembre 2011 (www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/1323876589494_Ornaghi_-__Linee_programmatiche_Senato_131211.pdf).
(5) Dati dell'Ufficio di statistica del Ministero per i beni e le attività culturali (www.statistica.beniculturali.it). Occorre ricordare che il numero complessivo degli archivisti di Stato deve essere rapportato al numero degli istituti (102 archivi di Stato con annesse 34 sezioni, e 19 soprintendenze archivistiche), e che la distribuzione del personale non è equilibrata e purtroppo conferma un dato presente in molte amministrazioni statali: il personale al Sud è più numeroso che al Nord.
(6) Gli istituti dell'amministrazione archivistica statale in Emilia-Romagna sono, oltre alla Soprintendenza archivistica, 9 archivi di Stato (Bologna, Ferrara, Forlì, Modena, Parma, Piacenza, Ravenna, Reggio Emilia, Rimini) e 3 sezioni di archivio (Imola, Cesena, Faenza). In base a dati aggiornati al 2012, gli archivisti sono, compresi i direttori, 24 e 5 comandati da altre amministrazioni, e a breve termine sono previsti 5 pensionamenti.
(7) Torino, Milano, Mantova, Venezia, Bolzano, Trieste, Genova, Parma, Modena, Bologna, Firenze, Perugia, Roma, Napoli, Bari, Palermo, Cagliari.
(8) "La formazione professionale dell'archivista", Erice, 2-4 novembre 2006: gli atti sono stati pubblicati nella rivista dell'ANAI, "Archivi", II, 2007, 1.
(9) Il documento dell'ANAI porta la data del 2 marzo 2012 ed è online (www.anai.org/anai-cms/cms.view?numDoc=258&munu_str=0_11_0_8).
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