Rivista "IBC" XX, 2012, 1
territorio e beni architettonici-ambientali / convegni e seminari, immagini, mostre e rassegne, progetti e realizzazioni, pubblicazioni
Per favorire il dibattito sull'attuazione dell'articolo 133 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che prevede la costituzione di osservatori regionali per il paesaggio a fianco di un osservatorio nazionale, tra novembre e dicembre 2011 si sono tenuti a Seravezza (Lucca) il convegno e la mostra "Verso un Osservatorio apuano del paesaggio". Nell'occasione è stato presentato il volume contenente il progetto, la metodologia e le linee guida per l'istituzione di un osservatorio del paesaggio.1 Si tratterebbe del primo esempio in Italia di un osservatorio che utilizza la fotografia come riferimento sistematico di analisi. Dal punto di vista metodologico, lo strumento fotografico appare infatti il più idoneo per il suo stretto legame funzionale al monitoraggio e alla verifica della "congruità" dei risultati delle politiche regionali e locali in materia di paesaggio (così come previsto dal PIT, il Piano di indirizzo territoriale della Regione Toscana, e dall'articolo 33 della Legge regionale 1-2005).
Tale iniziativa nasce come esito di una ricerca di dottorato in Geografia storica per la valorizzazione del patrimonio storico-ambientale, sviluppata dallo scrivente al Dipartimento di Storia moderna e contemporanea dell'Università di Genova diretto dal professor Massimo Quaini, ed è stata organizzata nella convinzione e nella prospettiva che lo strumento osservatorio (così come indicato dalla Convenzione europea del Paesaggio), una volta istituito e attivato in modo permanente, potrebbe riportare il tema del "paesaggio come valore" al centro dell'attenzione delle politiche territoriali del nostro Paese e aprire una riflessione sui temi della memoria collettiva, degli stili di vita e delle dinamiche di trasformazione collegate all'uso del suolo ma anche al suo non uso/abbandono. Un osservatorio, in altri termini, costituirebbe un buon punto di partenza per indirizzare la gestione dell'area apuana verso una sua valorizzazione in chiave ecosostenibile e territorialista, nel senso di un recupero, o sarebbe meglio dire di una conservazione attiva, dell'identità storica dei luoghi e della cultura locale.
La parte applicativa di questa ricerca di dottorato ha prodotto un'attività sperimentale sul campo, in cui è andata a costituirsi una metodologia, analogamente a quanto accadde tra il 1968 e il 1971 per le campagne appenniniche di rilevamento e censimento dei beni culturali promosse dalla Soprintendenza alle Gallerie di Bologna e al cui svolgimento è geneticamente collegata l'istituzione dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna. Il progetto presenta appunto questa metodologia, basata sull'utilizzo della "fotografia ripetuta" (repeat photography), già utilizzata soprattutto in ambito naturalistico negli USA (per esempio dal Land Use History of North America) o nel panorama europeo con una maggiore attenzione verso le relazioni tra cambiamenti del paesaggio e pratiche di utilizzo del suolo (si pensi alla Francia, con la rete degli OPP, gli Observatoires photographiques du paysage).2
La metodologia in oggetto è stata descritta in un articolo della "Rivista Geografica Italiana",3 a cui si rimanda per un approfondimento tecnico, tematico e bibliografico e da cui si riporta un passo, che di questa metodologia riassume le tre fasi fondamentali:
La prima prevede la realizzazione di un'immagine di confronto dallo stesso punto e angolo di ripresa (spot, viewpoints) di una fotografia obliqua precedentemente realizzata. La seconda è dedicata all'identificazione di ogni cambiamento visivo intervenuto nell'arco cronologico preso in considerazione e coerente con le specifiche problematiche indagate (che ovviamente orientano la ricerca e la selezione delle fonti di riferimento). La terza prevede l'incrocio con altre fonti documentarie e/o di terreno, utile alla creazione di documenti grafici e testuali analitici. Fase parallela e fondamentale è poi costituita dalla raccolta e dalla digitalizzazione dei dati prodotti (a partire dalle fonti campionate e dalle riprese di confronto) finalizzata alla creazione di "archivi di sito".
Particolarmente qualificante, in una campagna di fotografia ripetuta di carattere geostorico, è la possibilità di utilizzo, come punto di partenza, delle fotografie storiche realizzate precedentemente all'introduzione della foto aerea, e/o scattate a varie distanze di tempo dal medesimo punto di vista, a costituire una serie. Dal punto di vista metodologico questo porta con sé i problemi legati alla ricerca, datazione e valutazione critica delle fonti visive4 - autore, contesto di produzione, destinatari, scelte tecniche eccetera5 - oltre a quelli legati alla selezione delle immagini in funzione degli obiettivi. Solo a una seconda fase appartiene la "decifrazione realistica" dell'immagine, che inizia con l'individuazione dei e la conseguente realizzazione di immagini di confronto che rispettino il più possibile le condizioni originali di ripresa e, possibilmente, analoghe condizioni stagionali e di illuminazione.6
Nel caso presente, fonti e viewpoints sono stati selezionati in funzione dell'identificazione delle componenti storico-ambientali e della (progressiva) analisi delle dinamiche e dei processi che le hanno interessate (cambiamenti negli assetti della vegetazione, nella gestione degli spazi agrari, nella superficie dell'edificato e nelle sue singole funzioni).
Il progetto di istituire un osservatorio permanente del paesaggio apuano è ispirato dalla finalità di individuare i valori identitari del territorio per conservarli e valorizzarli, e fornire così strumenti idonei per produrre conoscenza e costruire un senso comune del nostro spazio di vita.
La Convenzione europea, con il riconoscimento giuridico del paesaggio come "componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni [...] e fondamento delle loro identità", afferma una riconsiderazione in chiave antropologica e innovativa della conservazione. Il paesaggio diventa risorsa fondamentale per la vita e lo sviluppo delle comunità locali e sembra diventare il fondamento sul quale costruire ogni identità e progetto locale.
Appare quindi chiaramente indicato dalla Convenzione come la valorizzazione sia la conseguenza di un collegamento che unisce il paesaggio alla memoria collettiva e ai significati, anche simbolici, che il concetto di "paesaggio" contiene. Collegamento che, come spiega Quaini citando Gunnar Olsson, deriva dal fatto che il paesaggio è un entre deux tra la sfera dell'individuo e quella della collettività.7
Tuttavia il concetto stesso di identità territoriale è stato messo in crisi dai violenti processi di global change e deterritorializzazione, legati al fenomeno dell'inurbamento e alla diffusione delle grandi infrastrutture. La straordinaria accelerazione delle tecnoscienze, unita alla mobilità geografica di persone e merci, sta alterando, oramai da decenni, la percezione degli spazi dell'abitare, a volte anche cancellando i nessi relazionali con i territori di appartenenza, costruiti per secoli dalle popolazioni. Succede, così, che nel momento in cui si devono indicare i "valori", ovvero selezionare ciò che della "memoria territoriale" va salvaguardato, si determinano situazioni di criticità nelle attività di pianificazione.8
Nel chiamare in causa i rapporti tra società e territorio, si rivelano le contraddizioni implicite dello "sviluppo", sempre più guidato dalle grandi categorie della macroeconomia imposte dalla globalizzazione e sempre meno ispirato a una visione culturale in continuità con il passato, che, in particolare nelle aree rurali, evoca condizioni di miseria e di subalternità. Allo stesso tempo, viene evidenziata l'insostenibilità di una crescita illimitata, ovvero l'impossibilità che questo tipo di crescita duri nel tempo senza produrre guasti sociali e ambientali, nuove povertà e nuove marginalità.
Dello scenario attuale, recessivo e di depauperamento generale, fa parte in effetti anche il degrado del "paesaggio", un patrimonio che è nello stesso tempo ambientale e culturale, e che comprende, uniti relazionalmente in un solo ecosistema complesso, non solo l'edificato, ma il suolo stesso, le acque, la copertura vegetale e tutte le manifestazioni di biodiversità che la permanenza umana dell'abitare ha sedimentato. Per identificare i valori di questo paesaggio, oggi, non si può prescindere da una metodologia di ricerca storico-analitica, sul terreno e sulle fonti documentali, che soltanto istituzioni in grado di produrre ricerca (università in primis) possono garantire.
È proprio alla scala della storia locale che questa metodologia basata sulla fotografia ripetuta può dare buoni risultati, soprattutto sul territorio della montagna, dove il patrimonio rurale, quando è sopravvissuto, seppur con progressivo indebolimento, lo ha fatto grazie a una gestione locale di tipo tradizionale. E questa metodologia è utile non solo per l'identificazione dei valori, che comunque è il primo passo necessario di una governance territoriale, ma anche per fornire strumenti indispensabili per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio di conoscenze e di saper fare che è incorporato nel territorio stesso.
Un approccio scientifico capace di svelare, alla scala topografica e locale,9 i meccanismi di funzionamento di questi secolari saperi e delle relative pratiche di attivazione delle risorse, infatti, può garantirne il mantenimento e il buon funzionamento; ciò appare ancora più necessario oggi, in quanto, da un lato si va perdendo la capacità di trasmissione transgenerazionale dei saperi tradizionali, dall'altro si va affermando ideologicamente la riconquista dei "beni comuni", che custodiscono i caratteri originali ovvero le cosiddette "permanenze strutturali" del territorio.
Un punto, in effetti, rimane fermo: l'articolo 5 della Convenzione europea individua nelle popolazioni un soggetto fondamentale per il riconoscimento dei "valori" del paesaggio: ne consegue che i "valori" del paesaggio sono espressione di chi quel paesaggio lo abita o, meglio, espressione delle "popolazioni interessate", cioè anche di coloro che, con una più fedele traduzione del testo in inglese, si interessano, si prendono cura dei luoghi: "interested parties" ovvero "care takers", concetto che sembra andare oltre le tradizionali figure degli "insider e outsider" ("taking into account the particular values assigned to them by the interested parties and the population concerned").10
La diversità e la ricchezza dei valori storico-culturali e naturali presenti sulla montagna apuana costituiscono anche un capitale unico e insostituibile per il benessere e la qualità della vita dei residenti esterni all'area, ospiti temporanei (city users). Per questo, tale patrimonio paesaggistico, in quanto risorsa che non può essere delocalizzata, deve essere considerato come un'opportunità favorevole per la creazione di economie direttamente collegabili ad attività ricreative e per attivare un programma di valorizzazione ecosostenibile che, utilizzando regole e finalità socialmente condivise (statuti, patti costituzionali) e conferendo ai valori paesaggistici di lunga durata un "rango statutario", metta in moto un circolo virtuoso di attività manutentive e pratiche lavorative agroforestali.
I valori identitari, se riconosciuti in quanto valori patrimoniali costruiti socialmente nel tempo con pratiche e regole condivise, possono essere così difesi e riprodotti dalle stesse comunità, ovvero dagli stessi "attori sociali" che scelgono in quei luoghi il proprio ambiente di vita. Grazie alla riconquista fruitiva dei paesaggi e al monitoraggio di un osservatorio partecipato che potrebbe garantire efficacia e coerenza alle politiche territoriali, si attiverebbe un processo euristico di tipo socioculturale nel quale sinergie e convenienze economiche tra chi produce e chi vive il paesaggio potrebbero diventare possibili.
In tal senso, l'esito di questo processo non può che essere un modello gestionale costruito su una collaborazione partecipativa tra gli enti locali, le associazioni e le istituzioni della ricerca scientifica. Queste ultime hanno il compito di raccogliere la memoria storica, intesa come "conoscenza ecologica tradizionale", dai residenti locali, che in queste aree rurali montane sono gli ultimi depositari dei saperi contestuali e della cultura materiale dei luoghi e possono trasmetterli come saperi esperti (regole) agli attori locali, intesi come produttori di paesaggio, chiamati a condividere patti e statuti.
L'obiettivo più ampio dell'osservatorio consiste quindi nel fornire conoscenze utili alle sempre più complesse esigenze di una politica locale creativa e sostenibile, basata sulla reinterpretazione del patrimonio ambientale, economico e culturale e alla corretta "manutenzione" del paesaggio, dove l'uso possa coincidere con la cura; una politica attenta ai flussi del turismo globale, che dovrà essere sempre più preparato e consapevole dei valori storici e ambientali e messo in grado di comprenderli e apprezzarli, ma soprattutto attenta a favorire la crescita di una coscienza di luogo da parte dei suoi abitanti. I termini "paesaggio culturale" e "patrimonio territoriale" possono così acquisire un valore molto più ampio come fattori di conoscenza e identità, configurandosi come elementi imprescindibili in ogni scenario di sviluppo e in ogni progetto locale.
Note
([1]) O. Strati, Guida per un Osservatorio Apuano del Paesaggio, Pisa, Pacini, 2011.
(2) Le linee guida e la metodologia degli OPP sono contenute nel documento curato dal Ministere de l'Écologie, de l'Énergie, du Developpement durable et de la Mer: Itinéraires photographiques. Méthode de l'Observatoire photographique du paysage, reperibile on line: www.ecologie.gouv.fr/IMG/pdf/methodeOPP.pdf.
(3) C. A. Gemignani, O. Strati, Verso gli osservatori liguri del paesaggio. Una campagna di fotografia ripetuta nel sito Unesco "Cinque terre, Portovenere e le isole", "Rivista Geografica Italiana", CXVIII, 2011, 3, pp. 521-553.
(4) Sul tema della legittimità documentaria della fotografia si rimanda alla bibliografia dell'articolo sopra citato.
(5) L'attenzione, in questo caso, va a posarsi sull'intero processo di produzione della fotografia e sul suo valore storico e documentario.
(6) Le differenze stagionali possono fornire un supplemento di informazioni se applicate all'analisi di particolari problematiche paesaggistiche. Anche per questo aspetto si rimanda al contenuto dell'articolo sopra citato.
(7) M. Quaini, Il ruolo dei paesaggi storici per prescrivere il futuro, in Patrimonio Culturale e Paesaggio, a cura di M. Mautone, M. Ronza, Roma, Gangemi, 2009, pp. 125-131.
(8) Come dimostra il lungo iter di approvazione del Piano del Parco delle Alpi Apuane (1996-2010).
(9) Sul modello di analisi microstorica e sull'approccio topografico alla storia locale si rimanda all'ampia produzione scientifica di Edoardo Grendi compresa tra il 1976 e il 1999.
(10) European Landscape Convention, Florence, 20 ottobre 2000, articolo 6, Misure specifiche, lettera C, 1b.
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