Rivista "IBC" XIX, 2011, 3
Dossier: Lo scaffale dei sapori
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20 marzo 1911. Pellegrino Artusi muore, novantenne, nella sua casa di Piazza D'Azeglio a Firenze. Lo si celebra, cento anni dopo, come uno degli artefici dell'Unità italiana. Cerchiamo di capire perché, cominciando col chiederci come mai tutti i libri di cucina dell'Ottocento (Artusi pubblicò il suo nel 1891) sono oggi totalmente dimenticati, mentre l'Artusi - proprio così, con l'articolo: nel senso del libro - lo conoscono tutti.
Effettivamente, La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene è un ricettario diverso da tutti gli altri. Ad Artusi non interessa la cucina dei cuochi professionisti, a cui solitamente si rivolgevano i libri precedenti. A lui non interessa il "mestiere" della cucina, ma la "passione" del cibo, da preparare e da mangiare. Non gli interessa una cucina di élite come quella che, nell'Italia sette-ottocentesca, pensava e parlava francese. Nella Scienza in cucina, la polemica contro il "gergo francioso", contro i francesismi gastronomici e linguistici (linguistici perché gastronomici) è continua. Garbata, ironica, ma inesorabile. Il principale nemico è la cucina complicata, che non solo riduce la possibilità di replica e la condivisione sociale della pratica, ma rende anche meno convincente il risultato.
Trent'anni dopo l'unificazione del Paese, Artusi inserisce il tema della cucina in un programma anche linguistico di "italianizzazione", con l'esplicito obiettivo di offrire ai suoi compatrioti un ricettario nazionale, costruito mettendo in comune il meglio delle tradizioni locali, selezionate e "spiegate" in modo semplice ed esauriente, per favorire la circolazione dei saperi, la condivisione di una cultura fatta di alcuni elementi comuni ma poi soprattutto di diversità, di declinazioni "dialettali". Proprio in questa ricchezza di esperienze si è definito, storicamente, il carattere originale e distintivo della cucina italiana.
Artusi, che ne è perfettamente consapevole, non ambisce a codificare la cucina nazionale. Semplicemente la vuole descrivere, raccontare. Nel nome di poche regole e di molte libertà. Quelle poche regole e quelle molte libertà che trova nelle tradizioni delle famiglie, nella cucina di casa che è il regno della variante, della differenza eretta a simbolo - talvolta a "segreto" - della propria identità. Ecco perché Artusi diffida dei libri: "Diffidate" - scrive nel Prefazio del ricettario - "dei libri che trattano di quest'arte; sono la maggior parte fallaci o incomprensibili". Ecco perché preferisce affidarsi all'esperienza diretta: "Il miglior maestro è la pratica", scrive ancora nel Prefazio.
In effetti Pellegrino Artusi, come risulta dall'inventario dei beni lasciati alla morte, aveva pochi libri di cucina nella sua biblioteca. Lavorava soprattutto con le persone, "sul campo". I suoi strumenti non erano i libri, ma il treno, che gli consentiva di viaggiare e conoscere, e la posta, che gli consentiva di dialogare con i suoi lettori. In questo, il suo metodo di lavoro fu assolutamente innovativo, direi rivoluzionario, se questo aggettivo non suonasse inappropriato a un vecchio signore benestante della borghesia romagnolo-fiorentina di fine Ottocento.
Eppure è proprio così: l'Artusi è un libro rivoluzionario. Un libro modernissimo, scritto dall'autore - per giunta, da un autore con enorme personalità e con uno stile inconfondibile - non per i suoi lettori, ma con i suoi lettori. Fin dall'inizio, Artusi trasforma La scienza in cucina in una sorta di grande "blog" a cui molti partecipano, con richieste, consigli, suggerimenti.
Tra le ricette stesse del testo, questo emerge con chiarezza. Maccheroni con le sarde alla siciliana: "Di questa minestra vo debitore a una vedova e spiritosa signora il cui marito, siciliano, si divertiva a manipolare alcuni piatti del suo paese...". La ricetta mancava nella prima edizione del manuale ed è invece inserita nella seconda, uscita nel 1895. Pasticcio di magro: "Mancherei a un dovere di riconoscenza se non dichiarassi che parecchie ricette del presente volume le devo alla cortesia di alcune signore e specialmente della signora Rosita Mosquera che mi favorì anche questa...". E così via.
Ma è soprattutto la corrispondenza artusiana a rivelarci il meccanismo interattivo con cui il manuale poté crescere, nell'arco di vent'anni (1891-1911) e di quindici successive edizioni, da 475 a 790 ricette. I lettori gli chiedono precisazioni: "Ho fatto la conserva di susine regolandomi con la ricetta che lei dà nel suo libro... Essendo però alle mie prime armi, non ho saputo regolare bene la cottura, e mi è riuscita troppo dura. Sembra quasi una gelatina soda. Come potrei rimediare?" (Nelda Barbacini, da Bobbio, il 26 agosto 1910). Gli suggeriscono nuove ricette da inserire nel manuale: "Mi permetto di inviarle due ricette... La minestra la trovo gustosa e sostanziosa a un tempo... mi sembra adatta per gli stomachi deboli, e convalescenti di malattia" (Giulietta Cavina, da Bologna, l'11 febbraio 1906). "Mi prendo la libertà di inviarle due ricette pratiche e facili... se sono riuscite bene a me, che sono tutt'altro che buona cuciniera, vuol dire che sono facili e di sicura riuscita" (Virginia Mariani Campolieti, da Milano, il 13 febbraio 1907).
La corrispondenza ci consente talvolta di ricostruire tutti i passaggi di queste piccole storie di cucina. Il 21 gennaio 1906 Leonardo Mordini scrive ad Artusi da Barga, in provincia di Lucca, spiegandogli dettagliatamente come eseguire lo "Sformato di farina dolce" e proponendogli di includere la ricetta nel suo manuale. Il 7 marzo gli scrive di nuovo, con alcune precisazioni che Artusi gli aveva richiesto, con una "gentilissima lettera" a cui Mordini allude, scusandosi del ritardo con cui risponde. Evidentemente Artusi aveva provato a eseguire la ricetta e qualcosa non gli era apparso chiaro. Ricevuti i chiarimenti richiesti, include la ricetta nella decima edizione della Scienza in cucina, pubblicata nel 1906. La ricetta tiene conto di entrambe le comunicazioni di Mordini, che si ritrova citato nel libro: "«Un signore di Barga... che non ho il piacere di conoscere personalmente, invaghito (com'egli dice), per bontà sua, di questo mio libro, ha voluto gratificarsi meco, mandandomi la presente ricetta che credo meritevole di essere pubblicata e anche lodata".
Non manca mai un appello alla discrezione, al rispetto dei gusti altrui, alla variante come carattere specifico dell'attività culinaria: se deve fornire la ricetta del risotto alla milanese, Artusi preferisce darne tre: Risotto alla milanese 1, Risotto alla milanese 2, Risotto alla milanese 3. La terza, introdotta da un meraviglioso "Potete scegliere!": proprio così, col punto esclamativo.
A questa dimensione liberale (mi è anche capitato di definirla "democratica") dell'attività di cucina, Artusi è particolarmente attento perché il suo ambito di riferimento privilegiato è quello della cucina di famiglia. Ma questo metodo, questa "filosofia" finisce poi per diventare un valore assoluto. Un paio di esempi, pescati a caso nel manuale: "Dopo tre prove, perfezionandolo sempre [il minestrone], ecco come lo avrei composto a gusto mio: padronissimi di modificarlo a modo vostro". "Non mi rimproverate se in queste minestre v'indico spesso l'odore della noce moscata. A me pare che ci stia bene; se poi non vi piace sapete quello che avete da fare".
Questo continuo richiamo alla libertà del fare, i lettori di Artusi lo condividono e lo praticano. Il 22 dicembre 1908, da Bientina, scrive Teresina Guidi: "Fra tante cose ho anche modificata una zuppa, perché come me l'avevano insegnata mi pareva di poca sostanza... È una zuppa di magro nutriente e delicata. Me l'avevano insegnata senza uovo, ma senza di questo mi pare una lava stomaco...".
La sintonia fra Artusi e i suoi lettori (che a questo punto non esiteremo a chiamare coautori) è assoluta, e non ci meravigliamo dei complimenti che gli arrivano: "Il gran vantaggio del suo libro è la chiarezza, la semplicità, e la sicurezza delle ricette", scrive Isabella Paladuri dalla Spezia, il 9 gennaio 1904. Gli elogi arrivano da ogni parte: da Napoli scrive, il 3 aprile 1903, Ada Mariani: "Di tanti libri del genere... esso è l'unico che a me sembra più pratico, economico e intellegibile". Artusi ha compiuto il miracolo: il suo libro è intellegibile in ambito nazionale.
L'importanza e il significato del progetto artusiano, il suo contributo niente affatto secondario alla costruzione di una cultura e di un linguaggio nazionale, non sono una scoperta degli storici. I protagonisti stessi di quella vicenda - le donne e gli uomini che nelle case di tutt'Italia mettevano in pratica le ricette di Artusi, dopo aver contribuito a raccoglierle - ne sono perfettamente consapevoli. E ancora una volta sottolineo il carattere testuale ma al tempo stesso extratestuale dell'opera artusiana. Un'opera che riesce, con straordinaria abilità, a mantenersi in equilibrio fra la dimensione scritta e quella orale della cucina, fra l'esigenza di codificare (ma piuttosto raccontare) le ricette, e quella di suggerire la non obbligatorietà delle scelte, la non univocità delle pratiche.
"Lo sa il popolo e il comune che per ottenere il brodo buono bisogna mettere la carne ad acqua diaccia e far bollire la pentola adagino adagino e che non trabocchi mai". Con queste parole inizia la prima ricetta del ricettario, e immediatamente siamo proiettati fuori dal testo. Un testo appena iniziato, e già superato. Perché Artusi è per definizione il Libro, ma questo Libro vuol essere testimone di un sapere non scritto, di pratiche insegnate e tramandate oralmente nelle case in cui si fa cucina.
Ecco perché Artusi - il metodo Artusi - è molto di più di un libro: è lo specchio di tutto ciò che gli sta attorno e lo rende possibile; la sintesi di una cultura domestica del cibo che, pur filtrata da ogni sorta di interpretazioni e riscritture, nel libro riesce a esprimere i suoi tratti distintivi, i suoi interessi, i suoi princìpi. La cucina di casa Artusi è il luogo di incontro di tante altre cucine, di tante altre case. Ecco il perché dello strepitoso successo di Pellegrino Artusi. Nessuno, prima di lui, aveva mai scritto un libro di cucina insieme ai suoi lettori e alle sue lettrici. I suoi lettori e le sue lettrici lo hanno ripagato, decretandogli un successo che a distanza di oltre un secolo non pare destinato a finire. Successo imprevisto ma in fondo prevedibile, per il semplice motivo che il manuale firmato da Pellegrino Artusi non fu scritto da lui solo, ma da tutti gli italiani.
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