Rivista "IBC" XVIII, 2010, 4
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / editoriali
Il 2011 è, come si sa, l'anno in cui si celebra il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia: un anno, quindi, di commemorazioni e discussioni, dopo gli antecedenti celebrativi del 1911 e del 1961. Ancora una volta siamo chiamati, come cittadini, a definire il nostro rapporto con il passato, con un Risorgimento - per citare un nome glorioso, seppure insidiato dalle ambivalenze della retorica - che comporta anche, come sua antitesi complementare, un anti-Risorgimento. E più che una festa è forse una prova, alla vigilia di una possibile svolta federalista e nel corso di un processo istituzionale che Bernard Manin identifica con il passaggio da una democrazia dei partiti a una democrazia del pubblico. Ricordare il passato è uno dei vincoli identitari che fanno di una nazione una patria, una terra comune, e occorre accantonare pregiudizi, diffidenze, dissonanze, opposizioni, riconoscendo quella che Alessandro Manzoni (sì, proprio lui) chiamava in un senso tutto positivo ed europeo la "rivoluzione" italiana del 1859.
Ma quanti sono, poi, gli italiani che conoscono questa storia, questa "formazione mirabile", per dirla ancora con il Manzoni? Di qui (ecco un compito per la nostra scuola) la necessità di un'operazione conoscitiva che va di là dall'occasione, la quale vuole essere un'analisi critica dei fondamenti del nostro vivere civile, un atto di fedeltà, un confronto, un esame di coscienza, un viatico per un presente che è già futuro. Così, commemorare la nascita di una nazione riafferma una continuità, una lunga durata che è insieme una trasformazione, affidata alla responsabilità critica delle generazioni che vengono dopo, con la speranza di ritrovare un entusiasmo che vorremmo fosse, per così dire, neorisorgimentale.
E poiché il 2010 è stato il quarantesimo anno dell'assetto repubblicano delle regioni, ci è parso che convenisse chiudere l'anno con una franca interrogazione dell'esperienza dei governi regionali: anche in questo caso è un confronto critico, dove le conquiste comportano anche lacune e deficienze, a cominciare dalle tensioni fra governi centrali e governi locali. Ragionare delle seconde significa più che mai un esame critico di quanto si è fatto, un orientamento che è anche un impegno per il futuro. E forse per questo gli uomini del Risorgimento sono ancora i nostri compagni di strada e di destino, in un tempo in cui la globalità va insieme con la complessità dei problemi e dei rapporti umani. L'invito di Guido Fanti, primo presidente della Regione Emilia-Romagna, a pensare, nel presente del presente, al presente del passato e al presente del futuro, vale anche oggi.
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