Rivista "IBC" XVIII, 2010, 3
Dossier: Le lingue di un incontro - L'Emilia-Romagna parla con Cuba
territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi, dossier /
Mayerín Bello Valdés è un'intellettuale, scrittrice e traduttrice cubana, docente di Letteratura italiana presso la Facoltà di lettere e arte (FAYL) dell'Università dell'Avana, grande studiosa latinoamericana di Italo Calvino. Il Presidente Giorgio Napolitano l'ha insignita del titolo di Cavaliere dell'Ordine della Stella della solidarietà italiana. Eusebio Leal Spengler, a cui va il titolo di Historiador de la ciudad de La Habana, con il quale è conosciuto a Cuba e nel mondo, è la carismatica figura che ha saputo rilanciare il centro storico della capitale con un imponente piano di restauro, per il quale ha ottenuto il sostegno dell'UNESCO. Grande conoscitore e amico dell'Italia, ha raccolto titoli e onori in quantità. L'ultima intervista concessa in Italia è del 28 novembre 2009 al "Sole 24 Ore". In quell'occasione affermava: "La cultura è un mare che si può navigare anche quando il resto dei mari sono in burrasca".
Parlando con loro, si è cercato di compiere il percorso inverso fatto nella redazione e traduzione del volume che nel 2010 la Regione Emilia-Romagna ha dedicato al paesaggio emiliano-romagnolo.1 Si è voluto insomma capire quale sia il rapporto cubano con questo tema, forse un primo passo per un viaggio di ritorno delle idee. Questa doppia conversazione comincia parlando di letteratura e paesaggi cubani con Mayerín Bello Valdés, prosegue quindi entrando nel cuore della città vecchia, la Habana Vieja, con Eusebio Leal Spengler.
Intervista a Mayerín Bello Valdés
Qual è il rapporto che si crea fra "paese" e "paesaggio" nella letteratura cubana?
Se in Calvino le città sono i luoghi della memoria e dei sensi, anche nella nostra letteratura il paesaggio è sicuramente un aspetto più ampio del semplice dato descrittivo di uno spazio. A Cuba è profondo il rapporto tra artisti e poeti con il paesaggio. Credo che sia utile risalire al XIX secolo, il momento in cui a partire dal romanticismo il paesaggio si iscrive nei testi letterari con particolare forza, con l'obiettivo di fissare una identità personale ma anche nazionale. I nomi da fare sono quelli di José Maria Heredia e Gertrudis Gómez de Avellaneda: sono loro che cercano di rendere la relazione fra paesaggio cittadino e rurale. Particolarmente in Heredia, il nostro Leopardi, il paesaggio naturale si fa uno con il sentimento di libertà e con la passione caratteristica degli indipendentisti del tempo. In Europa avete la tradizione dello Spleen de Paris, in cui, a mio avviso, Baudelaire segna una svolta nel rapporto col paesaggio, dove la città è memoria in quanto vita quotidiana. Qui, invece, l'evoluzione del romanticismo ha caratteri diversi, che tengono conto anche delle nostre particolarità storiche. Ci sono tòpoi, segni di identità, che si affermano nel romanticismo e che durano fino a oggi: il sole, la luce, la pioggia, il mare, la palma, determinano l'immagine del paesaggio. Tanti atteggiamenti spirituali si trasmettono tramite questo rapporto. Vero è che in questo secolo il paesaggio è soprattutto urbano, ma anche ai giorni nostri la linea romantica continua tramite una mitologia dell'isola.
Subito prima della rivoluzione, il nostro poeta nazionale Nicolás Guillén, con la poesia Un largo lagarto verde,2 non offriva una visione "romantica" ma descriveva un'isola come un caimano verde, con un occhio di pietra e di acqua. Con immagini molto originali, e con grande forza espressiva, esprimeva l'insularità attraverso i segni caratteristici del nostro paesaggio: il verde, il mare, il sole, las cañas che producono il benedetto zucchero che era la nostra maggiore industria. Ma pur con tutta questa bellezza, Cuba, sottomessa a malgoverno e interessi stranieri, nascondeva una violenza pronta a scatenarsi. Pur essendo lontani dal clima romantico, questa poesia ricorda alcuni versi di Heredia, nel suo Himno del desterrado,3 l'inno dell'esule.
Per José Lezama Lima, un altro dei nostri grandi scrittori, nascere a Cuba è una festa, l'isola è aperta al vento, agli influssi positivi. Un suo contemporaneo, Virgilio Piñera, lavora sul mito dell'isola, però nel segno opposto. C'è una famosa poesia che si chiama La isla en peso,4 l'isola pesante. Il mare che la circonda è un peso, un cancro: dunque l'insularità è un dato negativo che diventa carcere. Vi si trovano anche immagini evocatrici del paesaggio urbano: il mare, per esempio, è visto anche tramite il porto, con i suoi marinai che cercano in città squallidi piaceri. La città è presente con molta forza nella letteratura del nostro Novecento.
Da una parte c'è dunque apertura, dall'altra chiusura; da un lato l'isola edenica, dall'altro l'isola maledetta. Sono due linee che continuano fino a oggi e che implicano un rapporto con il paesaggio che è nel cuore dei cubani e che ritorna in continuazione: il mito dell'insularità. Piñera, negli anni Quaranta, parla dell'isola maledetta, assediata dagli eventi meteorologici, del peso dello straniero e del turista. La sua poesia è polemica con gli stessi compagni della sua generazione, quelli del gruppo Orígenes cui appartiene anche Lezama, maggioritari nel loro atteggiamento positivo verso l'isola. Per lui, vivere a Cuba non è una festa ma una maledizione. Vorrei citare almeno un altro esempio di questo periodo: Eliseo Diego, origenista come Lezama e Piñera. Nel 1947 completò un libro di poesie intitolato En la Calzada de Jesús del Monte, dedicato a una strada cittadina, un percorso di segni di identità espressi dal paesaggio urbano, con le strade, le colonne, le gallerie, i caffè... Ma è anche un percorso spirituale visto a livello individuale e universale. Potrebbe essere un libro fondamentale per capire l'argomento di cui parliamo.
Questo è cuore, è poesia. Lavorando con i ragazzi, con gli universitari, si nota ancora l'idea di insularità? A volte, qui, si ha l'impressione di un planisfero nel quale Cuba è molto grande, quasi quanto un continente, ma spesso assediata. Finora si è parlato di vere icone letterarie: nel quotidiano, quanto è vivo questo tema? Nella nuova generazione dei poeti, si prosegue su queste due grandi linee?
L'idea dell'insularità, dell'identità cubana, dell'appartenere a una cultura caraibica prima e latinoamericana poi, è sempre forte nel sentire degli studiosi, degli studenti universitari, ma anche del cubano in generale. In questa cultura c'è il rapporto con il paesaggio naturale e cittadino, pur se la città come spazio umano, come abitazione, come luogo di incontro, come espressione di una identità è oggi, forse, la cifra principale. Appare frequentemente uno sguardo critico, amaro, soprattutto verso il paesaggio urbano, e in particolare quello della capitale. È più in sintonia con la visione di Piñera: la sua Isla en peso è importante tanto per chi vive qui, quanto per chi vive fuori. Consiglio di guardare le riviste culturali, i cui racconti e le cui poesie descrivono un rapporto conflittuale con il paesaggio, non solo con l'ambiente fisico ma anche con la vita quotidiana. Molto spesso lo spazio privilegiato è il solar, la casa dove abitano tante famiglie insieme, in povertà, con solo una camera a testa per famiglia.
È uno spazio soprattutto cittadino, rumoroso, sporco, pieno di grida, scenario prediletto del realismo sucio [la corrente letteraria di origine nordamericana denominata "realismo sporco", ndr]. Basta girare fuori dai percorsi turistici, e neanche troppo. Conosco persone che vivono in questi posti, ragazzi che non conoscono Piñera o Lezama, ma i ragazzi e gli scrittori si rivolgono a questi spazi del solar: che contrasto in castigliano con l'origine della parola! Questo spazio è legato a conflitti, problemi, angosce, a una intimità condivisa con altri, che non è necessariamente negativa (i vicini di casa diventano parte della famiglia), ma anche a un senso del comico, il chotéo che è il nostro umorismo: vi si vive la marginalità anche in chiave umoristica. L'altro elemento è la rovina: le case che stanno per crollare... È un termometro che si coglie nelle riviste culturali: forse non perdureranno, ma è lì la letteratura di oggi, in "Siempre viva", nella "Gazeta de Cuba", nella "Unión", in "Revolución y cultura".
Nel volume intitolato La città della colonne. La casa está en la calle,5 Alejo Carpentier ha scritto un bellissimo saggio a commento delle foto di Paolo Gasparini, un venezuelano di origini friulane che ha fatto un album di foto sulla città negli anni Sessanta. In questo saggio, Carpentier spiega come l'immagine dell'Avana sia legata al clima, come si diceva prima, e getta uno sguardo architettonico all'interno e all'esterno. Basta pensare ai nostri medios puntos [le lunette in vetro colorato che ornano le porte e le finestre, ndr], che filtrano la luce, ne scompongono il colore, ma sono anche un filtro con l'esterno e ridisegnano lo spazio chiuso dedicato all'interiorità.
E poi non dimentichiamo il Malecón! Il lungomare dell'Avana è presente nella nostra letteratura, perché è il limite, la frontiera, sia per chi adotta la chiave positiva sia per chi usa quella negativa. Dal Malecón sono andati via con le zattere i balseros, ma è qui che si comunica con il mare, con questo immenso spazio complice dell'amore. Qui si incontrano le coppie (io stessa ho dato il primo appuntamento a mio marito sul lungomare), qui si prende il fresco... A questo proposito, infine, vorrei raccomandare la visione di Suite Habana, il film pluripremiato di Fernando Pérez. Curiosamente non c'è dialogo ma anche questa può essere una risposta alle vostre domande.
Intervista a Eusebio Leal Spengler
A quasi 25 anni dall'avvio del programma che sta consentendo il recupero della Habana Vieja, vuole indicarne le tappe principali e gli elementi più caratterizzanti dell'operazione?
In realtà, la mia relazione con il destino della città vecchia risale al 1967, quando cioè fui investito della responsabilità del restauro dell'antico Palazzo dei Capitani Generali (una volta, sede del governo municipale), lavoro iniziato dal mio stimato predecessore Emilio Roig de Leuchsenring. Allora eravamo lontanissimi da quel riscatto del centro storico di cui siamo oggi testimoni; c'era bisogno, innanzitutto, di dare continuità al lavoro che proprio Roig aveva iniziato nel 1935 e che, dopo la sua scomparsa nel 1964, rischiava di affondare sotto i colpi di vento dei tempi nuovi. Fu con questo animo e con tanta speranza che incominciammo i lavori archeologici e museografici per dar forma al Museo della Città, come esiste oggi [nell'antica sede del Palazzo dei Capitani Generali, ndr]. È stata la prima tappa, pur se dilatata nel tempo, di quello che si può definire oggi il progetto di restauro della Habana Vieja.
Certamente, nel 1982, fu molto importante che il nostro centro storico, con il suo sistema di fortificazioni, fosse inserito nell'indice del Patrimonio mondiale.6 Questo evento servì a rianimare l'interesse patrimoniale per la Habana Vieja e varie istituzioni culturali aderirono al proposito di recuperarne gli spazi. Tuttavia, il fatto decisivo che definì il corso del nostro progetto fu la decisione di investirci delle prerogative giuridiche e amministrative del Decreto Legge 143, riconoscendo la maturata raccolta di esperienze tangibili che lo stesso Presidente Fidel Castro aveva potuto constatare durante le sue visite al centro storico, tanto a titolo personale quanto accompagnando invitati dalle più diverse latitudini.
Fra i tanti monumenti recuperati, a suo avviso quali hanno un posto privilegiato nel cuore dei cubani e perché? Dove o quando il paesaggio urbano diventa anche paesaggio della mente?
L'Avana è una città ad alto valore monumentale ed epigrafico. Tanti sono i monumenti recuperati ad abbracciare tipologie ed epoche diverse: quindi è difficile segnalare quelli che rivestono un significato particolare per i cubani. Certo ci sono quelli legati ai padri della patria: José de la Luz y Caballero, José Martí, Antonio Maceo, Calixto Garcia... Molti sono opera di scultori italiani, che lasciarono un'impronta nel marmo dopo che i loro progetti furono scelti, non senza polemiche, in vari concorsi.
È il caso, per esempio, del complesso monumentale dedicato al Generalissimo Máximo Gómez, opera di Aldo Gamba, che nacque nel 1881 fra le colline marchigiane in provincia di Pesaro; il suo progetto fu scelto fra 41 proposte, molte delle quali di provenienza italiana, anche se si obiettava sulla sua eccessiva ornamentazione, che ricorda lo stile di Angelo Zanelli nell'Altare della Patria a Roma. Oggi tuttavia, è proprio quella combinazione eclettica delle sue varie parti (cripta, fontana, scalinata, spianata...) che gli conferisce un sigillo distintivo e che ne decreta l'imponenza nella piazza costruita attorno, dove sventolano le bandiere di Cuba e della Repubblica Dominicana, suo Paese natale.
Sul litorale della città, sopra a un tempietto greco a colonne doriche, si erge la figura equestre del Generalissimo, su un cavallo ben piantato sulle quattro zampe, a ricordo della scomparsa di Máximo Gómez in tempo di pace, dopo avere portato a termine la guerra di indipendenza dalla Spagna. È, senza dubbio, uno dei più belli esempi scultorei che abbiamo. Ci siamo dati come compito di preservare questi monumenti non solo dai rischi ambientali, ma anche dall'incuria sociale, vigilando sulla loro sicurezza. Contrariamente ad altre parti del mondo, per esempio, è molto difficile vedere a Cuba una statua vandalizzata.
Il paesaggio urbano è sempre un paesaggio della mente. Lo abbracciamo con lo sguardo mentre cerchiamo il nostro spazio proprio nel paesaggio, secondo la nostra scala di grandezza nella vastità della città. Altro è quando lo sguardo si è nutrito e, pieno di riferimenti culturali diversi, possiamo fare un paragone con i nostri propri elementi paesaggistici. Allora ci convinciamo che la rada dell'Avana, con il suo sistema di fortificazioni, sia di una bellezza senza eguali, come riconobbe l'architetto paesaggista francese di fama mondiale Jean-Claude Nicolas Forestier, cui l'Avana deve molta della sua monumentalità.
Quali sono state, negli anni, le reazioni degli abitanti e quelle dei visitatori? C'è stato un cambiamento nella composizione o nei comportamenti del tessuto sociale che abita la Habana vieja?
Tutto ciò che facciamo nel centro storico ha una ripercussione sul tessuto sociale. La rinascita culturale e turistica della città antica si è tradotta, negli anni, non solo nella creazione di migliaia di posti di lavoro, ma anche in una sorta di dinamica sui generis grazie alla quale abitanti e visitatori entrano davvero in contatto. Credo che una singolarità del nostro progetto di riabilitazione integrale del centro storico sia precisamente di essersi sviluppato con il concorso e la partecipazione di chi ci abita. La Habana Vieja è una città viva, sempre in fermento, sempre cangiante...
Quale appare essere la sostenibilità dei progetti di restauro portati a termine?
La nostra missione è stata quella di riabilitare il centro storico armonizzando i valori culturali con lo sviluppo socioeconomico. A tal fine è stato creato uno specifico sistema di impresa, nel quale si segnala la presenza della compagnia turistica Habaguanex S.A., il cui essenziale apporto economico garantisce il principio di sostenibilità, insieme con lo sfruttamento delle risorse immobiliari e del terziario, alla tassazione delle imprese produttive del territorio e a quella dei lavoratori autonomi. Questi fondi sono stati investiti nel recupero di edifici di alto valore patrimoniale (una buona parte fra questi è di interesse turistico), in programmi abitativi e sociali, così come nel graduale miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti.
A riprova, si vedano i programmi di sostegno ai sistemi municipali di salute pubblica, istruzione, cultura e abitativi. Inoltre, abbiamo fatto ricorso alla cooperazione internazionale in progetti di sviluppo locale in corso. Oltreché per la dimensione economica o l'indiscutibile valore dello scambio tecnologico e di esperienze, abbiamo valutato positivamente questa cooperazione perché esalta di per sé la dignità dell'azione e contribuisce alla concordia fra popoli e Paesi diversi. Il nostro motto è basarci sul nostro sforzo, ma accogliendo con gratitudine la mano che, amorosamente, si stende verso di noi da qualunque latitudine della terra.
Note
(1) Leggere e guardare l'Emilia-Romagna. Leer y mirar Emilia-Romaña, a cura di M. G. Muzzarelli, con la collaborazione di A. Campanini, V. Cicala, V. Ferorelli, M. Spinazzola, postfazione di E. Raimondi, Bologna, Regione Emilia-Romagna, 2010.
(2) "Por el mar de las Antillas / (que también Caribe llaman) / batida por olas duras / y ornada de espumas blandas, / bajo el sol que la persigue / y el viento que la rechaza, / cantando a lágrima viva / navega Cuba en su mapa: / un largo lagarto verde, / con ojos de piedra y agua. // Alta corona de azúcar / le tejen agudas cañas; / no por coronada libre, / sí de su corona esclava: / Reina del manto hacía fuera, / del manto adentro, vasalla, / triste como la más triste / navega Cuba en su mapa: / Un largo lagarto verde, / con ojos de piedra y agua. // Junto a la orilla del mar, / tú que estás en fija guardia, / fíjate guardián marino, / en la punta de las lanzas / y en el trueno de las olas / y en el grito del las llamas / y en el lagarto despierto / sacar las uñas del mapa. / Un largo lagarto verde, / con ojos de piedra y agua" (Nicolás Guillén, Un largo lagarto verde, 1958).
(3) "[¡Dulce Cuba!...] ¿Ya qué importa que al cielo te tiendas, / de verdura perenne vestida, / y la frente de palmas ceñida / a los besos ofrezcas del mar, / Si el clamor del tirano insolente, / del esclavo el gemir lastimoso, / y el crujir del azote horroroso / se oye solo en tus campos sonar? [...]" (José Maria Heredia, Himno del desterrado, 1825).
(4) [Prima stanza:] "La maldita circunstancia del agua por todas partes / me obliga a sentarme en la mesa del café. / Si no pensara que el agua me rodea como un cáncer / hubiera podido dormir a pierna suelta. / Mientras los muchachos se despojaban de sus ropas para nadar / doce personas morían en un cuarto por compresión. / Cuando a la madrugada la pordiosera resbala en el agua / en el preciso momento en que se lava uno de sus pezones, / me acostumbro al hedor del puerto, / me acostumbro a la misma mujer que invariablemente masturba, / noche a noche, al soldado de guardia en medio del sueño de los peces. / Una taza de café no puede alejar mi idea fija, / en otro tiempo yo vivía adánicamente. / ¿Qué trajo la metamorfosis? // [...]" (Virgilio Piñera, La isla en peso, 1941).
(5) A. Carpentier, P. Gasparini, La città delle colonne. La casa está en la calle, a cura di G. Manfredi, traduzione italiana di M. Minicuci, Reggio Emilia, Edizioni Diabasis, 2002.
(6) L'inserimento fu stabilito, con il numero 27 dell'indice, durante la sesta riunione del comitato intergovernativo della Convenzione del Patrimonio mondiale, culturale e naturale, celebrata nella sede dell'UNESCO dal 13 al 17 dicembre 1982.
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