Rivista "IBC" XVIII, 2010, 3
Dossier: Le lingue di un incontro - L'Emilia-Romagna parla con Cuba
territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi, dossier /
Non c'è quasi opera di Carpentier che non sia attraversata da una tensione affettiva profonda verso la sua città natale, L'Avana: da ¡Écue-Yamba-Ó!, il suo primo romanzo, pubblicato a Madrid nel 1933, a Los pasos perdidos, del 1953,1 l'opera che lo fece conoscere al mondo intero, da El acoso, del 1956,2 a El Siglo de las Luces, del 1962,3 da El recurso del método, del 1974,4 a Concierto barroco, sempre del 1974,5 e a La consagración de la primavera, del 1978.6
Ma se L'Avana fornisce, in genere, il telón de fondo alla immaginazione narrativa di Carpentier, è nelle brevi cronache e negli articoli affidati, fin da giovanissimo, a diverse pubblicazioni periodiche, che si costruisce e si radica il suo "amore per la città". Amor por la ciudad è proprio il titolo di una di queste sue cronache e di un volumetto che le raccoglie, pubblicato per iniziativa della vedova Lilia nel 1996.7 Esso contiene un saggio, stampato per la prima volta in Tientos y diferencias nel 1964, che si distacca nettamente dalla prosa immediata degli articoli scritti per i giornali: si tratta di La ciudad de las columnas, pubblicato in seguito in Italia insieme alle fotografie di Paolo Gasparini.8
Il giovanissimo Carpentier, appena ventunenne, subisce, sin dal primo momento, la fascinazione del porto, patente in tutti i suoi scritti sulla capitale cubana. Cercando di evitare la calle del Obispo, in Divagaciones urbanas (24 luglio 1925) scrive a proposito della trafficata via di negozi, caffè e alberghi (come l'Ambos Mundos, prossimo alla Plaza de las Armas, che pochi anni dopo avrebbe ospitato Hemingway), una via a quell'ora solitamente frequentata da intellettuali: "Sin saber muy bien cómo, o con terrible espíritu vagabundo, fui a dar a los barrios viejos que rodean el puerto".
Racconta di come si stavano trasformando, al riparo dei moli, quei barrios, sempre più popolati di immigrati: l'antica e bella piazza della cattedrale divenuta un feudo di polacchi; gli ampi portici invasi da tappeti su cui si esibivano merci di dubbio valore e giocattoli tanto brutti da mettere tristezza; i vecchi palazzi, dalle cui finestre si affacciavano "rostros de mujeres pálidas, cuyas miradas hablan otro idioma". Ciò che vede nascere intorno ai moli, in quel luglio 1925, è un ghetto, abitato da gente che condivide la "misma melancolía!": alle soglie dell'America - "El Dorado de mil imaginaciones" - più povera che mai.
Nel 1927, vittima della repressione machadista, Carpentier finisce in carcere per aver firmato, insieme ad altri scrittori, il Manifiesto Minorista. Dopo sette mesi di detenzione riesce a fuggire in Francia, dove resterà fino al 1939, quando le avvisaglie di quello che stava per accadere lo determineranno a "cruzar el Océano antes de que tronaran los cañones sobre una Europa enferma".9 Rientrato in patria, lavora alla radio e riprende l'attività giornalistica; fra l'ottobre e il dicembre del 1939 scrive per la rivista "Carteles" una serie di articoli raccolti sotto l'eloquente titolo di La Habana vista por un turista cubano. Vi narra il suo ritorno sulla nave Rotterdam, via New York, fino all'apparire dell'Avana, "que se dibuja, crece, se define, sobre el cielo luminoso del atardecer".
In queste pagine sottolinea la spettacolarità non comune del porto, del suo accesso, che sembra l'opera di un abilissimo scenografo. Così come a Bruges, dove un geniale architetto ha adattato a stazione ferroviaria una cattedrale gotica, il turista si trova, entrando al porto dell'Avana, davanti a visioni destinate a non deludere le sue più ardite fantasie romantiche: castelli coloniali, con torri e fossati, scorrono al fianco della nave, accompagnandone lo scivolamento fin dentro la città e ravvivando la memoria di avventure corsare, in mezzo a una persistente incredulità. Il "turista cubano" Carpentier riscopre l'Avana con un insospettato piacere e, questa volta, forte dell'esperienza europea, tende a mettere in risalto ciò che della sua città è più apprezzabile, contrariamente a quanto aveva fatto all'inizio della sua attività giornalistica.
Si può dire che nasca in questo momento, consapevolmente, l'amore di Carpentier per la sua città, della quale "vede" e coglie, come ebbe ad ammettere egli stesso, ciò che prima non riusciva a percepire. Un vero entusiasmo si diffonde da una cronaca all'altra, toccando i più diversi aspetti della vita quotidiana: non si creda che tutto si esaurisca con la bellezza della cattedrale, dei palazzi municipali e degli altri monumenti. L'arte popolare riserva più di una piacevole sorpresa e, all'Avana, è palpabile a ogni passo. Lo scrittore descrive varie attività, come la costruzione di navi in bottiglia, o la realizzazione di sculture lignee e pitture murali (favorite, queste ultime, da caffè, pollerie e osterie, che ne sono i principali committenti). Non manca la divertita allusione allo spirito popolare, colto nelle insegne di molti locali, come in quella rivendita di caffè, chiamata "Alfredo, fatti un bagno in mare", o nel nome "El Escorial" (che, come si sa, è il palazzo fatto costruire da Filippo II con una pianta in forma di griglia) assegnato a una polleria.
Il testo più meditato, più letterariamente raffinato, dedicato da Carpentier all'Avana è senza dubbio, come si è anticipato, La ciudad de las columnas. In esso spiega, dimostra, quale sia lo stile di una città apparentemente priva di stile. Sorta a partire da un "cattivo tracciato delle strade", come aveva sostenuto Alexander von Humboldt, in realtà la città antica fu costruita per creare e mettere a frutto l'ombra: "Il sole è, alle nostre latitudini, una presenza sontuosa, spesso molesta e tirannica, sicuramente, ma che ci si deve sforzare di tollerare, [...] cercando di mettersi d'accordo con lui, di addomesticarlo per quanto è possibile".
Da questa esigenza di trovare riparo dal sole, gli stili sovrappostisi nel tempo, buoni o cattivi che fossero, hanno generato, "per simbiosi, per amalgama", un peculiare barocchismo, che ha costituito uno stile in sé. Da elementi eterogenei, "rubati, mescolati, incastonati in realtà differenti", sono derivate le costanti che fanno dell'Avana una città unica e irripetibile.
Note
([1]) A. Carpentier, I passi perduti, traduzione italiana di M. Vasta Dazzi, Milano, Longanesi & C., 1960.
(2) A. Carpentier, La fucilazione. Un romanzo e tre racconti, traduzione italiana di M. Vasta Dazzi, Milano, Longanesi & C., 1962.
(3) A. Carpentier, Il secolo dei lumi, traduzione italiana di M. Vasta Dazzi, Milano, Longanesi & C., 1964. Ripubblicato a Palermo da Sellerio nel 1999, con la traduzione di A. Morino.
(4) A. Carpentier, Il ricorso del metodo, Roma, Editori Riuniti, 1976.
(5) A. Carpentier, Concerto barocco: romanzi brevi e racconti, traduzione italiana di A. Morino e V. Martinetto, Torino, Einaudi, 1991.
(6) A. Carpentier, La consagración de la primavera, Madrid-México, Siglo XXI, 1978.
(7) A. Carpentier, L'Avana, amore mio, traduzione italiana di G. Maneri, Milano, Baldini & Castoldi, 1998.
(8) A. Carpentier, P. Gasparini, La città delle colonne. La casa está en la calle, a cura di G. Manfredi, traduzione italiana di M. Minicuci, Reggio Emilia, Edizioni Diabasis, 2002.
(9) A. Carpentier, La consagración de la primavera, cit., III, 17.
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