Rivista "IBC" XVII, 2009, 4

territorio e beni architettonici-ambientali / convegni e seminari, storie e personaggi

Un convegno veneziano ha fatto il punto sull'architetto svedese Eric Gunnar Asplund, esempio di equilibrio fra tradizione locale, riflessione sull'antico e sperimentazione modernista.
Oltre la radura

Sara Cipolletti
[architetto]
Deema Mahmoud
[architetto]

Il 18 giugno 2009, a Venezia, si è svolto il convegno internazionale "Eric Gunnar Asplund. Le radici della modernità", organizzato dalla Scuola di dottorato dell'Università IUAV di Venezia in collaborazione con l'Ambasciata svedese a Roma e la Facoltà di architettura civile del Politecnico di Milano. La figura di Asplund, interprete di alto profilo del "classicismo nordico" nei primi decenni del ventesimo secolo, è caratterizzata dal sapiente equilibrio fra tradizione locale, riflessione sull'antico e sperimentazione modernista. In questo senso Asplund è un "classico": ogni rilettura della sua opera è una lettura di nuova scoperta.

Guardare, vedere, disegnare: questo percorso per gradi è una forma di autoconoscenza; l'architetto è come un registratore sempre acceso. Tra i relatori della giornata, Luis Moreno Mansilla si è soffermato sull'importanza degli schizzi e delle foto, un patrimonio personale al cui interno, a livello embrionale, c'è già gran parte dell'attività di ricerca e di progettazione: un ottimo esempio di come si può trasferire in architettura ciò che l'occhio ha captato e la mente ha immaginato. Tra i soggetti, nei disegni e nelle fotografie di Asplund, ci sono sempre le persone che abitano un mondo; sono presenti, infatti, uomini, donne, attività svolte, e mai solo architettura. C'è anche lui, a volte, ma sempre nell'ombra, appena distinguibile, per non disturbare la sensazione di ordine che sta nelle cose e nei luoghi.

Per Asplund si è parlato di "espressionismo plastico" per definire i risultati formali di un intreccio tra due tecniche di composizione che sono apparentemente in contraddizione: forme intense, inaspettate, distorte, ma anche regolarità, compostezza, equilibrio ottenuto attraverso elementi e disposizioni classici. La maniera in cui il maestro svedese manipola forme, dimensioni e colori (evidente anche negli interni audaci, nelle facciate e nei tetti) è stata apparentata alla tecnica di pittura di Gauguin. Per riuscire a creare sensazioni esatte, è indispensabile che l'artista abbia non solo un'ottima padronanza degli elementi di composizione, ma anche una sapiente conoscenza degli effetti emozionali dell'insieme degli elementi, una conoscenza istintiva di come ognuno percepisce e capisce il proprio ambiente. È per questo che nelle opere di entrambi gli artisti sono diffuse figure geometriche forti e semplici, che sono forme chiave nella percezione: un esempio è il triangolo nero che costituisce la copertura della Cappella del bosco, una delle realizzazioni più importanti di Asplund.

La forte integrazione del progetto con il luogo in cui si colloca è un impegno che accompagnerà costantemente l'architetto. La ricerca dello spazio si sintetizza, infatti, al di là di uno stile, nella necessità costante di guardare sempre all'ambiente delle cose, mai a un'architettura pura. Nella sua opera, sostiene Elias Cornell, uno dei maggiori studiosi di Asplund, "è lo spazio, che raggiunge sempre la sua sintesi, a prevalere su ogni altra cosa". La sua delicatissima ricerca architettonica oscilla costantemente tra archetipi del paesaggio che trae da una cultura nordica, e ingredienti classici "mediterranei", che trae dal mitico e quasi obbligato viaggio in Italia.

Il significato dei suoi spazi è in stretta relazione con una immagine ricorrente e forte: la radura nel bosco. Non intesa come un vuoto ma come un "portare allo scoperto", per esempio, la radura è presente nel Crematorio del Cimitero Sud di Stoccolma (1935-1940), dove il percorso crea una tensione tra la collina, le cappelle minori, la grande croce isolata, il paesaggio naturale, il portico. L'assemblea e la congregazione in una radura è l'idea dominante nella Cappella del Bosco, che sorge improvvisamente tra i tronchi verticali. Ancora: la radura come inclusione ed esclusione, interno ed esterno: ne è esempio l'Esposizione di Stoccolma (1930), dove la successione di spazi aperti e chiusi, l'alternanza tra percorso e spazi costruiti, creano un senso di scoperta e di sorpresa.

Su questa sintesi dello spazio di Asplund, mai urlata ma caparbiamente afferrata, tanti altri architetti hanno indagato e indagano ancora. Basta pensare ad Aalto e all'idea di transizione tra costruito e paesaggio, o a Utzon, alla qualità spaziale nella sua disposizione e complessità, con riferimento all'idea della piattaforma, dell'atrio, quindi dell'assemblea in una radura (per esempio, l'Opera House di Sydney); e ancora ad Alvaro Siza, all'esperienza di Enric Miralles e Carme Pinós nel Cimitero di Igualada a Barcellona. L'espressionismo architettonico di Asplund non nasce per lasciare il proprio segno, ma per "appartenere" all'uomo e per essere una parte nutriente delle sue sensazioni. Un insegnamento forte, in un momento in cui l'architettura pare abbia perso gran parte della sua capacità di comunicare.

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